Strano che
l’anno in cui Born To Run venne pubblicato, il 1975, si era in
piena crisi petrolifera e il mito della strada e dell’automobile, tema centrale
dell’album, assieme a quello dell' “l’amore è vero”,veniva sottoposto a dura
prova.
Sebbene
quell'album uscito il 25 agosto di quaranta anni fa costituisca l’espressione
più perfetta e compiuta del mito americano della strada, del viaggio e
dell’auto, con tutte le sue promesse di libertà e indipendenza, la sua realizzazione non fu certo una corsa
nel vento. Ad un certo punto della sua genesi Bruce Springsteen, ancora lontano
dall’essere the boss, fu sul
punto di mollare tutto e la Columbia (la Sony di oggi) in procinto di
licenziarlo preferendo puntare su Billy Joel invece che su un artista i cui primi due album avevano venduto quasi
nulla. Furono una serie di situazioni più o meno causali, oltre all’ostinazione
e alla pignoleria di Springsteen a far sì che Born To Run venisse
portato a termine e, una volta pubblicato, a tramutarsi nel breakthrough album
della sua carriera. Una grande opera,
uno dei più esaltanti, romantici, febbrili e contagiosi dischi della
storia del rock, capace di riportare tante persone a credere nel rock n’roll
come stile ed energia di vita.
“La gente
vide in quel disco un po’ delle proprie speranze e dei propri sogni”. (Roy
Bittan)
Nel 1974
erano sempre meno quelli che in casa Columbia nutrivano ottimismo riguardo al
futuro di Springsteen. In suo favore giocavano John Hammond, l’uomo che lo
aveva scritturato due anni primi ma che in quel periodo si trovava
ospedalizzato per un attacco cardiaco e Clive Davis nuovo boss della Cbs, ma
l’umore era di generale diffidenza e le attenzioni sembravano rivolte più verso
Billy Joel e il nuovo album degli Aerosmith, Toys In The Attic. Le vendite dell’album d’esordio di
Springsteen Greetings From Asbury Park
si erano rivelate poca
cosa, misere undici mila copie vendute
in Usa e solo l’appassionata recensione
su Real Paper del critico musicale Jon Landau che, dopo aver assistito a
un concerto a Cambridge nel Massachussetts, scrisse “ho visto il futuro del
rock n’roll ed il suo nome è Bruce Springsteen” aveva fatto lievitare le
vendite del secondo album The Wild The Innocent and The E Street Shuffle portandole a quota 150 mila.
La
situazione non era certo rosea e il
manager di Springsteen Mike Appel dopo aver sottoposto ad alcuni dirigenti
Columbia il demo della canzone Born To Run si sentì rispondere da
Charlie Koppelmann : “i nostri giorni con Springsteen sono alla fine “
mentre Irwin Segelstein fu ancora più brutale : “ questo non è nato per
correre, è nato per strisciare”.
Tempi duri
insomma. Con Born To Run Springsteen si stava giocando tutta la
sua vita e la sua carriera e palese era la convinzione che se non avesse sfondato
sarebbe tornato nell’oscurità da cui era venuto. La frase di Jon Landau fu
quindi un bagliore in un mare di tempesta, “l’’articolo di Landau arrivò in
un momento in cui molte persone, incluse quelle della casa discografica si
domandavano se io valessi davvero qualcosa”. (B.S)
“Con
quella frase, ho visto il futuro del rock n’roll e il suo nome è Bruce
Springsteen volevo affermare che
finalmente avevo trovato una nuova forma di purezza, energia e sincerità, in quel momento assenti nel mondo del rock
n’roll”. (Jon Landau)
Un'
affermazione importante che indusse la casa discografica a cambiare le proprie
strategie, innanzitutto lanciare una campagna pubblicitaria con al centro il
disco a cui Bruce stava lavorando da alcuni mesi.
Consapevole
dell’importanza decisiva del nuovo album, l’autore si infilò nell’avventura più
faticosa della sua vita, ore, giorni e mesi passati in studio di registrazione
con la band a realizzare quello che nelle intenzioni di Springsteen doveva
essere un disco esplosivo. Ma la lavorazione non fu facile ma travagliata e
interminabile. Barricato nei 914 Sound Studios di Blauvelt con Mike Appel in
cabina di regia, Garry Tallent, Clarence Clemons, Danny Federici, David
Sancious alle tastiere e Ernest “Boom” Carter alla batteria, Springsteen aveva
in mente di registrare il più grande disco di rock n’roll di tutti i tempi. “Volevo
scrivere dei piccoli poemi epici dove le introduzioni servivano a preparare la
canzone, presentavano i personaggi e creavano un contesto emotivo. Un modo di
scrivere molto teatrale che ho usato solo in quel disco. Sapevo di misurarmi
con immagini classiche del rock n’roll
che sarebbero diventate dei clichè. Dovetti lavorare tanto per ottenere la
giusta anima delle canzoni”. (B.S)
Il sogno che
Bruce aveva in testa era semplice e chiaro: cresciuto nel New Jersey con le
playlist delle radio della notte, coi singoli degli Animals e degli Stones, con
Chuck Berry e la musica soul, col pop pre-Beatles e i gruppi garage americani,
con la voce misteriosa di Roy Orbison e le good vibrations dei Beach Boys,
voleva infilare tutta quel materiale in un solo disco creando un potente suono rock capace di entrare nelle
case della gente per cambiare le loro vite. Un disco che aveva il sound di Phil
Spector, le parole di Dylan e le chitarre di Duane Eddy. Ci riuscì ma con una immane fatica. Per fare
il primo disco aveva impiegato tre settimane, per il secondo due mesi, ci
vollero quindici mesi per completare Born To Run,
lavorando dodici ore al giorno e rifacendo una canzone magari anche 56 volte. “Mangiavamo,
bevevamo e dormivamo con Born To Run”. (B.S)
Di una cosa
Bruce era certo, all’Lp necessitava un singolo devastante, un grande hit come
fu poi Born To Run, leggendaria canzone capace di sedersi al fianco di Like
A Rolling Stone e Satisfaction.
“Nel 1974
Asbury Park brulicava ancora di vita, quell’estate mi comprai la mia prima auto
per 2000 $, una Chevy del ’57 con quattro carburatori e una fiamma sul cofano.
Abitavo in una casetta a West Long Branch a nord di Asbury e un giorno mentre
suonavo la chitarra sdraiato sul letto mi venne in mente la frase born to run.
All’inizio pensai che fosse il titolo di un film o una scritta letta su
un’auto. Mi piaceva perché faceva pensare a un dramma da film che sarebbe stato
perfetto per la musica che avevo in testa”. (B.S)
Born To Run fu la prima canzone dell’album ad essere completata.
Venne registrata agli studi 415 di Blauvelt con la supervisione di Mike Appel e
con la “vecchia” E-Street Band con Carter e Sancious in formazione. Era la
perfetta canzone pop, il luogo d’incontro tra un arrangiamento sonoro di
straordinaria potenza, una cascata di suoni e rumori estrapolata dal wall of
sound di Phil Spector, in particolare da River Deep Mountain High di
Ike & Tina Turner e Be My Baby delle Ronettes, l’appeal
irresistibile delle canzoni degli anni ’60, in primis We Gotta Get Out This
Place degli Animals e l’energia del rock n’roll come lo intendevano i figli
della working class, con lo spirito di chi è nato per soffrire ma spera di
andarsene da una città di perdenti.
“Era la
combinazione della vecchia pop music che incontra il rock come forma d’arte.
Era difficile realizzare una simile cosa e penso che Born To Run ne fosse il
primo esempio, sposare l’emozionale comunicatività degli anni ’50 e dei primi
anni sessanta, quel modo di Phil Spector di fare della canzone una specie di
forma pre-artistica e unirla con le liriche
personali dell’era post Dylan. Quella canzone è diventata uno standard
per un mucchio di persone che sono arrivate dopo”. ( Miami Steve Van Zandt)
Per i
giovani americani degli anni settanta l’auto era ancora un simbolo di libertà
nel muoversi e nel viaggiare, alludeva alla libertà e all’autonomia che questi
giovani cercavano rispetto al mondo degli adulti. Era un’aspirazione che
derivava dalla rivoluzione economica degli anni cinquanta e dalle canzoni di
Chuck Berry, uno dei rocker più
influenti di quella decade, Springsteen attinse da quella fonte to per la serie
di immagini automobilistiche di cui è costellato l’album, a cominciare proprio
dal titolo Nati per correre.
Rispetto ai
primi due album così verbosi, floridi di visioni e flash dilaneschi, la
canzone Born To Run era più sostanziale, un concentrato di energia con
un accelerazione pazzesca e un inizio di batteria che è un fiotto di sangue.
L’effimero sogno americano, la città trappola, l’amicizia, il sapere se esiste
l’amore, la macchina e la strada, la terra promessa sono elementi di un messaggio esplicito e
condivisibile che non appartiene all’ utopia comunitaria hippie degli anni ’60
ma necessita di una grande forza e ha
solo bisogno di quattro minuti e non sette per farsi ascoltare, e di due
personaggi e non dodici per essere vissuto.
Una canzone
che richiese parecchio sacrificio e “conteneva gli spunti dei personaggi che
mi avrebbero accompagnato nel mio lavoro per i prossimi trentanni”. (B.S).
Dopo la registrazione di Born To Run il tastierista David Sancious sfiduciato per
le lungaggini che impaludavano la realizzazione dell’album se ne andò portandosi
dietro il batterista Ernest “Boom”Carter e Springsteen che non voleva affidarsi a dei sessionmen interruppe per due
mesi le registrazioni in modo da
organizzare le audizioni per
“l’arruolamento” di Roy Bittan e Max Weinberg. Ci furono sessanta provini
prima della scelta giusta ma alla fine
Roy Bittan fu determinante perché il suo pianoforte definì il sound
dell’intero album.
A corto di
soldi e bloccato nelle registrazioni, Springsteen ad un certo punto si trovò disperato come colui che
vede i propri sogni sgretolarsi. “ Quindici mesi attorno a quel disco….la
miglior cosa che posso dire è che quella è l’esperienza più intensa che ho
vissuto. Non c’era mai la sensazione che tutto stesse finendo, non vedevi mai
la fine, alcuni giorni ti sentivi letteralmente morire, le cose giravano nell’aria in quello studio e ti
sembravano morte. L’unico concetto che avevo chiaro è che volevo fare un grande
disco”. (B.S)
Un primo
segnale di cambiuamento avvenne quando il demo di Born To Run circolò informalmente in alcune stazioni
radiofoniche di New York, Boston, Philadelphia e Cleveland dove Bruce poteva
contare su dj amici che lo supportavano fin dal primo album.
A Cleveland
dove già esisteva uno zoccolo duro di fans, Kid Leo sulle frequenze di WMMS iniziò
a trasmettere Born To Run ogni venerdì pomeriggio alle 5 e 55, come
inizio ufficiale del weekend. La canzone girò in modo “sotterraneo nell’etere”
e quando nel febbraio del 1975, prima dell’uscita ufficiale dell’album,
Springsteen suonò alla Carroll University di Cleveland e vide il pubblico
cantarla a squarciagola rimase di stucco.
Kid Leo, che
proveniva dai quartieri poveri e dalle palestre di boxe di Cleveland, era solo
uno dei tanti di una generazione di dj che in quei giorni nutrivano grande fiducia
in Springsteen, contribuendo a creare la leggenda dei suoi show. A New York alla WNEW c’erano Richard Neer e
Scott Mun altrimenti conosciuto come “The Professor”, colui che aveva
traghettato il pop-Am nel rock-Fm, poi seguiti dal mitico Ed Scelsa. A Boston
alla WBCN, una delle prime grandi radio underground in Fm, c’era la giovane
Maxanne che già nel 1973 aveva invitato in studio Springsteen per un’intervista
ed una audizione (per le cronache suonò Blinded By The Light, Bishop Dance,
Song To Orphans e Does This Stop at 82nd Street), infine c’era Ed Sciaky di WMMR a Philadelphia, forse il primo conduttore
radiofonico amico di Bruce che contribuì con le sue dirette a far impazzire i
kids in Philly con le leggendarie apparizioni del Boss al Main Point, in una
delle quali, nel febbraio del 75, Springsteen presentò in anteprima Born To
Run e altri brani del nuovo album
ancora inedito.
Born To Run suonato dal vivo nei club e diffuso dalle
stazioni radio amiche cominciò a muovere
le acque e a creare l’ attesa spasmodica del nuovo disco. Fu un movimento dal
basso che investì l'audizione rock,
erano gli anni ’70 e le radio, non certo impacchettate e standardizzate come
oggi, avevano il potere di veicolare gusti e attese indipendentemente da quello
che veniva deciso negli uffici delle case discografiche e dai loro lacchè
radiofonici. Fu anche questo moto dal basso a spingere la Columbia a rivedere
le proprie priorità. Decisiva fu l’entrata in campo di Jon Landau, in quegli
anni uno dei critici rock più rispettati d’ America e produttore del secondo
disco degli MC5, che, dopo la celebre frase sul futuro del rock n’roll, fu
contattato personalmente da Springsteen una notte con una telefonata di tre ore
in cui parlarono di musica come se stessero ascoltando i 45 giri della loro
gioventù.
“ Dissi
ad Appel che avevamo bisogno di qualcun altro. Ci serviva l’abilità, l’opinione
e l’energia di qualcun altro”.( B.S)
L’incontro
tra quei due disperati e solitari (Bruce era in crisi nera col disco e Landau
appena divorziato e affetto da una seria infezione allo stomaco) accelerò gli
eventi. Landau lasciò la sua carriera di giornalista e nell’aprile del 1975
divenne il produttore di Springsteen, e Bruce realizzò il disco che cambiò la
sua vita e quella dei suoi amici e compagni. Come prima mossa Landau costrinse Springsteen
ad abbandonare i 914 Studios per trasferirsi a Manhattan nei più attrezzati e
sofisticati Record Plant ingaggiando come ingegnere del suono Jimmy Iovine,
fresco della registrazioni di Rock n’ Roll di John Lennon con Phil Spector.
L’avvento di
Jon Landau non fu la bacchetta magica della favola “eravamo ancora nella
fase in cui si mettono insieme gli arrangiamenti, non tutto iniziò a filare
liscio” (B.S) perché nei nuovi studi l’odissea proseguì con tutto lo stress
e il maniacale perfezionismo di cui
Springsteen era capace. La band era esausta e Bruce si trovò spesso
collassato sul mixer incapace di dare forma al sound che aveva in testa e
finire quel disco diventato un incubo. “Il
contributo più importante di Jon Landau fu l’ essere in grado di analizzare
ogni canzone e scomporla in tutte le sue parti facendola apparire meno
complicata”. (M.Appel)
Dopo un
breve periodo di relax passato con la band a suonare nei club, tra l’aprile e
il luglio del ’75 ci fu l’affondo finale in sala di registrazione. Un giorno
arrivò Steve Van Zandt che non faceva ancora parte della E-Street Band (non
sono mai stato diplomatico, arrivai in quegli studi, mi sedetti sul pavimento e
ascoltai i fiati di Tenth Ave.Freeze Out, erano tutti sbagliati. Allora
cantai loro i riffs e quello fu l’arrangiamento che finì nel disco) ma lo
stress, dopo ore di overdubbing nel tentativo di ricreare quella sorta di
grande suono rimbombante e compresso che assomigliava al wall of sound di Phil
Spector , si stemperò solo il 19 luglio quando l’album fu ufficialmente finito.
“Avevamo
le date del tour pronte e il disco non era ancora finito. L’era della
computerizzazione era ancora lontana e molte operazioni dovevano essere fatte
manualmente. Lavorammo al mixaggio fino al primo giorno del tour”. (Jon
Landau)
Nonostante
gli sforzi immani Bruce non fu contento del risultato e quando l’ingegnere del
suono Jimmi Iovine glielo presentò scaraventò il master in piscina.
“Lo
odiavo, non riuscivo ad ascoltarlo. Penso che fosse la peggior schifezza che avessi mai sentito ma ero
esausto e quando uscii dallo studio e mi infilai in auto per raggiungere il
concerto mi sentii come stessi andando in vacanza. Non ne potevo più dello
studio”. (B.S)
Il giorno
dopo vennero portati gli acetati alla Columbia ma Springsteen propose alla casa
discografica di registrare l’intero album dal vivo al Bottom Line. Naturalmente
quelli della Columbia scelsero un’altra strada e investirono 250.000 dollari
sul futuro del rock n’roll. Furono considerati diversi titoli tra cui American
Summer perché l’album avrebbe potuto
raccontare una storia lunga un’estate ma il 25 agosto del 1975 Born To
Run era nei negozi e la vita di migliaia di persone sparse per tutto il
pianeta cambiò improvvisamente.
Mauro Zambellini
5 commenti:
Che dire, caro Zambo?
Davanti a Born to Run forse è meglio tacere e lasciar parlare comunque, nonostante siano passati 40 anni, il sax di clarence nella coda di Jungleland, o l'incalzante crescendo ripetuto di Backstreet, o la tromba malinconica e il piano struggente di Meeting across the river (Dio salvi Roy Bittan!!!), o il beat Hollyano di She's the one: tutto quello che uno vuol cercare lo trova nella forma più poetica e profonda in questo capolavoro magico. Quei piccoli film epici in musica sono ancora intatti nella loro potenza espressiva e credo lo resteranno per sempre. Io sarei nato 10 mesi dopo, ma probabilmente mi aveva già cambiato la vita.
Troppo grande il disco, troppo bello questo articolo ... non c'è spazio per aggiungere commenti ...
Andrea Badlands
Complimenti Zambo,
per l' originale forma quasi documentaristica ma appassionata con la quale ai scelto di ricordare il quarantennale dell'uscita di uno dei dischi rock piu' belli di sempre e uno di quelli (una decina) che hanno segnato per sempre la mia vita.
Io lo scoprii solo all'inizio degli anni 80 e da allora la mia esistenza accompagnata da questa musica fantastica è stata certamente piu' appassionata romantica scatenata.... ,in una parola sola, piu' bella.
Per questo disco, valeva la pena scrivere qyello che ho letto e mentre lo facevo lo riascoltavo ed è stato, ancora una volta, ancora dopo 40 anni, incredibilmente elettrizzante.
Grazie.
Un caro saluto
Massimiliano Zerbini
Mi associo ad Andrea. Non c'è altro da dire. E' tutto dentro quel grande disco. Un articolo cosi potevi scriverlo solo tu o Labianca!
Armando Chiechi(Ba)
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