domenica 20 dicembre 2009
Gypsy Soul #1
A margine dei primi anni settanta alcuni songwriters furono influenzati dalla musica afroamericana, a partire dal R&B per arrivare al jazz, quasi in netto contrasto con la tensione folkie dei loro rispettivi colleghi degli anni sessanta, in primis Bob Dylan.
Nacquero così dischi come Moondance di Van Morrison, The Wild and The Innocent di Springsteen, Alias I di Dirk Hamilton, The Heart Of Saturday Night di Tom Waits, Solid Air di John Martyn.
Ad un certo punto all’inizio degli anni settanta, dopo che i bagliori dei sixties si erano spenti o avevano perso di luminosità, ci furono artisti e songwriters che rivolsero la loro attenzione verso la musica nera, sentendo l’esigenza di rinfrancare la loro musica e le loro composizioni con il soul, il jazz, il R&B, in nome di una maggiore libertà espressiva. Questi autori e cantanti, alcuni dei quali provenivano dal movimento folk e rock degli anni sessanta, trovarono naturale contaminare la loro ispirazione coi suoni della musica afroamericana , non tanto per emulare i loro colleghi di colore o per appropriarsi di una tradizione come era invece successo col british blues ma piuttosto per adeguare la loro creatività ai fremiti libertari di un epoca che stava vivendo un particolare momento culturale e sociale.
La psichedelia aveva già offerto ampi margini di libertà ad esplorazioni di vario tipo ma questa costituiva terreno di battuta soprattutto per le band e i gruppi che facevano della sperimentazione strumentale la loro innovazione ma per i solisti e i songwriters legati alla forma canzone il campo era più ristretto perché c’erano tempi e metriche da rispettare. Questo nonostante che Like a Rolling Stone di Dylan avesse affermato la rottura di certe barriere e il superamento dei tre minuti della canzone folk e della sequenza strofa/ritornello/strofa della canzone pop.
Contò molto in questa evoluzione stilistica una generale liberazione delle coscienze , quell’ autoconfessarsi in un pubblico che aveva investito vari ambiti del movimento giovanile e che si tradusse nel rock in un modo di cantare e scrivere molti simile ad un letterario stream of consciousness. L’esempio più calzante è offerto da Astral Weeks nella musica bianca e What’s Goin’On in quella nera, archetipi di questo fiume di suoni, parole, silenzi e note in cui poesia e musica si confondono e si abbracciano.
Inner City Blues
Fu la musica afroamericana ad offrire ad autori come Van Morrison, Dirk Hamilton, Laura Nyro, la spregiudicatezza melodica e ritmica per evolvere a livello di scrittura e di interpretazione, liberando la propria creatività in composizioni lunghe ed elusive, fatte di silenzi e di improvvise impennate liriche, di ballate dai toni introspettivi, di rocamboleschi shuffle di soul, blues e jazz in cui ritmo e improvvisazione rispondevano ad una anarchia stilistica a volte difficile da maneggiare.
Quello che fino a poco tempo prima era stato un mondo a parte, con proprie città, proprie etichette, proprie classifiche ovvero la black music adesso irrompeva nei Cafè del Village, nei club del Sunset Boulevard e nei campus universitari. Fu importante il periodo, il passaggio tra i sessanta e i settanta, due epoche più che due decadi e alcuni dischi. Il 1970 è l’anno di Bitches Brew di Miles Davis, di John Barleycorn dei Traffic e di Layla ma è anche l’anno di un album a torto considerato minore come Curtis di Curtis Mayfield, un artista che ha lasciato traccia in un numero incredibile di artisti rock (la sua Gypsy Woman è stata cantata un po’ da tutti).
Protagonista della scena musicale di Chicago dalla fine degli anni cinquanta come elemento di punta- assieme a Jerry Butler-del gruppo vocale degli Impressions, Curtis Mayfield entra con Curtis nella seconda fase della sua avventura artistica e imprime al soul scelte rivoluzionarie. Il suo tipico falsetto e la sua chitarra pizzicata diventano il veicolo di un soul politico che abbraccia temi e problematiche sociali, razziali e sessuali, sullo sfondo di un’ America attraversata da una profonda crisi ma anche arricchita da fermenti di rinnovamento ideale.
L’impegno artigianale e la fiducia verso la propria musica spinge Mayfield a fondare una propria etichetta discografica, la Curtom, con cui pubblica il suo primo disco solista. La portata innovativa del disco è un soul urbano ritmico e trascinante, di scrittura nuova e matura, che si apre ad arrangiamenti e accompagnamenti strumentali di grande ricercatezza, ad interpretazioni grintose e sensuali in cui ballate romantiche si alternano a momenti di più rabbiosa consapevolezza politica e culturale. Epica è Move On Up, un inno di straordinario potere ritmico e altrettanto indimenticabili sono (Don’t Worry) If There’s a Hell Below We’re All Going To Go, The Other Side Of Town e Miss Black America, sincero omaggio quest’ultima alle giovani donne che si affacciano alla vita pubblica con orgoglio e senza timori reverenziali.
L’edizione rinnovata del 2000 della Rhino aggiunge alle otto tracce originarie nove bonus tracks tra cui i demo di Power To The People, Underground e Ghetto Child.
Nato a Chicago ma cresciuto nel ghetto nero di St.Louis, Donny Hathaway ha saputo ampliare con la sua versatilità, inquietudine ed ambizione i confini armonici ed espressivi della musica soul, forte di una voce ricca e flessibile, in grado di creare una particolare tensione aerea con acuti dal vibrato aperto e accorati passaggi introspettivi.
Scoperto da Curtis Mayfield, Hathaway compì un rapido tirocinio come arrangiatore e pianista di studio prima di approdare alla Atlantic e incidere nel 1970 Everything Is Everything, un album viscerale, emozionante e romantico. Un album che costituisce il trampolino di lancio verso una fulminante carriera corredata da singoli da classifica, diverse produzioni, ottimi dischi solisti, uno splendido Live del 1971 e diverse collaborazioni con Roberta Flack. Un’ avventura artistica interrotta bruscamente da una prematura morte nel 1978, causa un suicidio non del tutto chiaro all’Hotel Essex di New York mentre era in procinto di portare a termine un nuovo album con la Flack e la sua esistenza correva tranquilla.
L’avventuroso Everything is Everything contenenti le antemiche The Ghetto, solare ritratto della città nera e sorta di riflessione sulle “gioie della gente in un’area oppressa” e To Be Young, Gifted and Black di Nina Simone , introduce un soul-blues per molti versi simile a quello di Curtis, un flusso ritmico ed emozionale, vibrante di orgoglio nero e di sensibilità jazzistiche, dominato dal piano elettrico e dalle percussioni, con la chitarra di King Curtis che presenzia nella versione di I Believe To My Soul di Ray Charles.
Ma è l’epocale What’s Goin’ On di Marvn Gaye (consiglio l’edizione deluxe del 2001 in doppio cd) la vera rivoluzione in termini di soul, un disco che traccia un solco definitivo tra quello che c’era prima e quello che ci sarà poi e annuncia un radicale differenza con la precedente produzione della Motown. Un lavoro che influenzerà una generazione di artisti neri, a cominciare dal compagno di scuderia Stevie Wonder e che illuminerà anche molti autori e songwriters bianchi. Una sorta di concept album attorno ai temi dell’amore, della fratellanza, dell’ecologia e dell’infanzia, contrassegnato da un modo di cantare a ruota libera, seguendo un inarrestabile flusso interiore di conoscenza e spiritualità. What’s Goin’ On può considerarsi l’equivalente “nero” di Astral Weeks anche se, per la fede nella vita profusa dalle sue canzoni e per lo spirito che anima la musica, si sono sprecati accostamenti alle meditazioni di Miles Davis in A Love Supreme.
Ascoltare ancora oggi What’s Goin’On è ascoltare il suono di un miracolo, sia per le condizioni tribolate in cui è nato, con Marvin Gaye proveniente da due anni di depressione conseguenti alla prematura scomparsa della partner Tammi Terrell, sia per la rivoluzione in termini di suoni, liriche e arrangiamenti di cui è portatore. Un disco romantico e solare che irradia un amore per la vita incredibile anche se le considerazioni sui problemi sociali ed umani da cui parte sono tutt’altro che positive.
Marvin Gaye non fu il primo a indirizzarsi verso quell intreccio di vecchio soul e nuovi grooves, anni prima Isaac Hayes, soul-singer della scuderia Stax, si aveva stravolto il pop ultramelodico e in odore di country di Jimmy Webb secondo modalità a dir poco sconcertanti. Un classico brano da cantare sotto la doccia, che non superava i quattro minuti ovvero By The Time I Get To Phoenix veniva allungato fino a diciotto minuti e quaranta secondi in una sequenza di parlato, tensione, violini e arrangiamenti tale da stravolgere la connotazione originaria. Era il 1969 e il disco si intitolava Hot Buttered Soul.
(1 - continua)
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3 commenti:
Buon Natale a te e alla tua famiglia e un 2010 pieno sempre della tua "penna" musicale!!
Sergio di Verona (il fan dei Muli all'Alcatraz!)
grazie dell'augurio ed un buon anno anche a te.
questa sera mi sono incontrato con la redazione del Buscadero per una cena di Natale a base di rock n'roll. Ho visto il DVD sul 25ammiversario del Hall of Fame, ci sono chicche incredibili come una Satisfaction con Jagger e Springsteen, una Honky Tonk Woman da antologia con Jagger e Richards, Green River con Fogerty, Springsteen e Robertson ed altre amenità tipo Buffalo Springfield, Mama's and Papa's. Ho poi comprato il box Europe 2009 della Dave Matthews Band e a da un assaggio veloce reputo straordinario. Naturlamente ho accompganato il tutto con del rosso Conero e del Calvados. Son rientrato con la neve ghiacciata che fustigava strade e macchine ma sembrava ci fosse l'aurora boreale. Buon Natale and rock on!
Grazie per il racconto della serata con lo staff del Buscadero tra musica e buon vino...sai, continuo a rileggere il tuo articolo sul Busca dei Rollins di Get Yer-Ya’s Out!, è sempre più bello ogni volta che lo leggo.....
Buona serata
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