mercoledì 22 dicembre 2010
7 Walkers
Non finisce di sorprendere New Orleans nonostante in questi ultimi anni non sia stata risparmiata dalla sfiga. La musica continua a pulsare dentro il cuore della città ed è per questo che la Big Easy ha sette vite. Sette come i 7 Walkers che in realtà sono in quattro e si sono formati nel 2009 quando il chitarrista, autore e cantante Malcom “Papa Mali” Welbourne ha radunato attorno a sé il batterista dei Grateful Dead Bill Kreutzmann, il bassista dei Meters George Porter Jr ed il multistrumentista Matt Hubbard. Ne è nata una strana creatura, di quelle che hanno alimentato le leggende e le dicerie scure della città. Una specie di jam-band che mischia un background inconfondibilmente New Orleans con schegge di minimalismo sperimentale degne dei Latin Playboys, ballate ipnotiche e bluesy da assolati pomeriggi nel Delta, ne è esempio la splendida King Cotton Blues con la partecipazione di Willie Nelson con dondolanti nenie che paiono figlie del Gris Gris di Dr.John. Insomma un altro rito voodoo con cui festeggiare degnamente il santo Natale visto che il disco è uscito in questi giorni . Un mondo sfuggente e oscuro esce da 7 Walkers fatto di intrugli magici e di piogge scroscianti nel bayou, di strambi personaggi che rispondono ai nomi di Chingo, Mr.Okra e lady Sue di Bogalusa e di tipastri che piacerebbero tanto al compianto DeVille, lui che in queistiluoghi ci ha vissuto come un lupo mannaro. L’universo dei 7 Walkers è fosco, intrigante e la musica sgorga sinuosa, quasi improvvisata secondo una danza che evoca antichi spiriti, figure misteriose, segreti primordiali.
Un disco non collocabile in nessuna categoria di genere se non figlio di quell’immenso crogiolo di suoni e umori che è New Orleans, un lavoro affascinante che vede la voce roca e vetrosa (e un po’ Ted Hawkins) di Papa Mali innestare sghembe cantilene da Tom Waits dell’officina (Chingo) o rovistare negli armadi del classicismo americana per ricavare deviate versioni di Hey Bo Diddley ribattezzata Hey Bo Diddle o ancora sincopare con il reggae che gli è rimasto nell’ugola e nel sangue dopo l’esperienza con i Killer Bees brani che si contorcono attorno ad un briciolo di ritmo e si piazzano nella testa senza più uscirne.
Papa Mali è la voce e la chitarra di questo rito ma funzionali al suo gris gris sono il basso funky di George Porter, la batteria poliritmica di Bill Kreutzmann e i diversi strumenti usati da Matt Hubbard, le tastiere, l’armonica e il trombone. Un ruolo importante lo gioca anche Robert Hunter con le liriche, l’uomo che ha firmato tante canzoni dei Grateful Dead e ha lavorato recentemente con Bob Dylan. Ma è l’atmosfera del disco a stregare più delle presenze e delle tecniche, una musica che si insinua sotto pelle e vi rapisce in un mondo distante da quello in cui è la luce a dare vita. Blues dell’oscurità, con tutto il fascino che ne segue.
Mauro Zambellini
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1 commento:
grande disco, di quelli che entrano lentamente per non lasciarti più.
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