È il secondo anno consecutivo che vado a Narcao un luogo perso in mezzo al nulla del Sulcis-Iglesiente ovvero estremo sud della Sardegna che da 21 anni organizza il blues festival più a ovest d’Italia. Il luogo sa molto di west americano, montagne, arbusti, eucalipti, fichi d’india, macchie verdi che si mischiano al marrone della terra arsa dal sole, pecore, silenzi e strade vuote che vanno dritte al mare, lontano una trentina di kilometri, passando da villaggi che più che l’Italia ricordano il Messico. E’ un posto suggestivo e ci torno sempre volentieri anche perché gli appassionati volonterosi di Narcao con la loro ciurma di giovani volontari ogni anno mettono in piedi una rassegna che oltre ad essere l’evento dell’anno di quelle terre dimenticate e colpite dalla crisi è anche una festa del blues, della musica, delle sorprese e delle buone vibrazioni. Centra eccome un’organizzazione che pur professionale mantiene i crismi della passione e dell’amatoriale e stabilisce quel rapporto molto understatement che fa sì che una rassegna non sia solo una esibizione di nomi quanto mai importanti ma una occasione di festa. Venite a sentire il calore del blues strillava il manifesto della XXI edizione di Narcao Blues e così è stato.
Il festival è iniziato il 20 luglio con una serata tutta dedicata al british-blues. Sono saliti sul palco Danny Bryant’s Redeyeband e i redivivi Dr.Feelgood. Il primo, un chitarrista dal fisico imponente e dallo sguardo dolce, coadiuvato dal padre bassista e dallo zio batterista ha dato vita ad un set rauco, sanguigno e aspro dove è risuonato un blue-collar blues bilanciato tra assoli torcibudella e sofferte ballate che sembrano uscite da una città di minatori inglesi colpita dalla crisi. Blues proletario, intenso e sudato con titoli del suo repertorio, Everytime the devil smiles, Love of Angels, Heartbreaker, Last Goodbye e applaudite cover come l’immancabile Voodoo Chile di Hendrix e una bluesata resa di Girl from The North Country di Dylan. Un set, quello di Danny Bryant che ha convinto per onestà e cuore.
Di tutt’altro tenore l’esibizione di Dr. Feelgood. Li credevo dei cadaveri ed invece ho avuto una bella sorpresa. Trainati dal cantante e armonicista Robert Kane, un passato con gli Animals e soprattutto dall’irresistibile chitarrista Steve Walwyn, la vera anima del gruppo, i Dr. Feelgood hanno divertito e catturato il pubblico con un set brillante, veloce, spumeggiante dove si è respirato lo spirito degli esordi, quello spirito che ha reso Stupidity un piccolo capolavoro del pub-rock. Ritmi serrati e tiro nervoso, fulminei e lancinanti assoli di chitarra, l’armonica che soffia il fuligginoso R&B dei pub inglesi, velocità e sintesi, quello di Dr.Feelgood è stato uno show adrenalinico dove rock n’roll, blues e punk sono stati con la maestria dei pub-rockers di classe. Brani come Hoochie Coochie Man, Milk and Alcohol, Back in The Night, Down by Teh Jetty, Who Do You Love, I Can Tell hanno mischiato passato e presente con frizzante disincanto e hanno messo in evidenza l’attitudine di chi, cinquantenne, suona come un ventenne. Magnifici.
Ma non è stato il loro l’ highlights di Narcao 2011 perchè l’esibizione di Robert Randolph and The Family Band ha scioccato come nessuno osava credere e i clichè del blues sono andati a farsi benedire con una musica che è pura energia jam. Prendete il blues e sparatelo su Marte, mettete Sly Stone a suonare nei Widespread Panic, resuscitate Hendrix e aggiungetelo ai North Mississippi AllStar, centrifugate Led Zeppelin e John Lee Hooker, gospel, funk e rock e lasciate liberi di suonare e improvvisare una band costituita da tre neri, un bassista che è la quintessenza del groove, un batterista che sembra Buddy Miles e Robert Randolph, mago della sacred steel guitar e voce strappata ad una chiesa battista e due bianchi, un chitarrista che ritma come fosse nei Talking Heads ed una corista e tastierista, Alaina Terry, che mette gusto, stacchi e sex appeal e avrete uno show sconvolgente, devastante ed unico. Tutti cantano, i tre neri ad un certo punto si scambiano ruoli e strumenti, Randolph incita il pubblico a salire sul palco e ballare, la musica viene giù come un fiume in piena, travolge, è un trance che porta il pubblico a partecipare al sabba e vivere l’estasi.
Robert Randolph ha cominciato come cantante e musicista nelle funzioni religiose ma nella sua chiesa è entrato il diavolo. Orgiastici e pentecostali, innovativi e ancestrali, torrenziali ed ipnotici, Robert Randolph e famiglia hanno metabolizzato 70 anni di black music secondo una visione nuova e apocalittica, lasciando il pubblico senza fiato dopo una lunghissima Blues Jam dove si è sentito di tutto, compreso Voodoo Chile, You Gotta Move e Whola Lotta Love. Il loro ultimo CD We Walk This Road è prodotto da T-Bone Burnett ma non centra nulla con il loro live-set perchè alcuni titoli del disco come Traveling Shoes, Walk Don’t Walk, Back To The Wall, Dry Bones sono presi, dilatatati, centrifugati, stravolti, riempiti di riff, assoli, ritmi in una micidiale jam music che è una delle cose più eccitanti che mi sia capitato di sentire quest’estate.
Agli antipodi il set di John Hammond Jr. la sera seguente. Qui è andato in scena un blues classico, spartano e rigoroso, con Hammond seduto sullo sgabello a deliziarci con le sue chitarre acustiche e National mentre la band, tra cui il fenomenale organista Bruce Katz, uno specialista dell’Hammond sottolineava un sound elegante e asciutto che abbracciava Muddy Waters e Bo Diddley, Junior Wells e Walter Jacobs. Blues, country e urban-blues e quando Hammond soffiava stridulo nell’armonica come il Dylan degli esordi un inconfondibile sentore di antico folk-blues newyorchese.
Al combo italiano dei Red Wine Serenaders è stato affidato il compito di chiudere la 21esima edizione del Narcao Blues prima del ballo collettivo finale al ritmo del funky di Sir Waldo Weathers un sopravvissuto dell’orchestra di James Brown. Con la loro fresca, pimpante e spiritosa rilettura della musica rurale americana degli anni ’20 e 30’, RWS hanno dimostrato di avere talento, gusto e feeling e di sapere aggiornare country-blues, old time e ragtime con una eleganza degna di Leon Redbone. Due donne, la spigliata e surreale cantante Veronica Sbergia, abile con l’ukulele e l’washboard e la maliziosa contrabassista Alessandra Cecala, magnifica quando intona lo yodel lunare di Out on the western planes e due men, il maestro delle corde Max De Bernardi, eccelso con tutto quanto abbia delle corde, dalle chitarre al mandolino, dall’ ukulele al dobro e il barbuto Mauro Ferrarese (chitarre, banjo, National) uno che sembra preso di sana pianta da un ensemble bluegrass di Jerry Garcia compongono un quartetto che rilegge la tradizione americana di blues, old time music, jug band e hokum con l’atteggiamento giovane e disincantato di chi il passato non lo vuole relegare agli archivi ma farlo vivere e pulsare di nuova energia, spirito e modernità. Anche a Narcao i Red Wine Serenaders hanno colpito pubblico, organizzatori e giornalisti per il loro progetto colto e divertente al tempo stesso. Sono bravi a tenere la scena e con gli strumenti, si scambiano le voci e si amalgamano perfettamente, non sono ripetitivi ma fanno della varietà un punto di forza, sono simpatici e hanno feeling quando presentano le canzoni, regalano una lezione di musica tradizionale americana lontana dalle accademie e dalle spocchie. Non predicano ma suonano e divertono. E questo è quello che vuole il pubblico e la musica.
1 commento:
:)
è stato un piacere conoscerti... e un dispiacere non averti potuto salutare perchè son dovuto andar via un po' prima della fine...
al prossimo anno spero!
gianfilippo
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