domenica 18 settembre 2011

Come il Rock ci ha salvato la vita


Come il rock ci ha salvato la vita è un libro che si legge come un long playing, c’è il lato A ed il lato B e raccoglie una serie di scritti di autori diversi aventi come comune denominatore il grande potere consolatorio ed emotivo della musica, in particolare del rock. E’ stato ideato e curato da Fabio Fedrigo e Roberto Muzzin per la piccola e coraggiosa editrice L’Ippogrifo di Pordenone e conta sui contributi offerti dai più disparati autori:  giornalisti, musicisti, cantanti, bluesmen, cantastorie, social rocker, ristoratori anarchici, periti metal(rock)meccanici, studentesse, artigiani, storici, psicoanalisti, tutti rigorosamente poco noti ma ricchi di spirito.
Il libro è stato realizzato nel 2010 ma l’idea viene da lontano, dalla metà degli anni ’80 quando in Italia, paese refrattario a simili fenomeni, si cominciò a formarsi un insieme di individui che ben presto diventò un popolo che non era semplicemente fruitore di musica e consumatore di dischi come lo potevano essere collezionisti e puristi maniacali del vinile ma un popolo che si  identificava emotivamente nella musica che ascoltava, in particolare il rock n’roll. Non era il gesto ribellistico e spesso ingenuo al conformismo degli anni ’50 consumato con i jeans e il ciuffo di capelli dei rockabilly e nemmeno i capelli lunghi dei beat e i fiori e le collanine degli hippies, identificazione estetica con gli artisti del sex and drugs and rock n’roll degli anni ‘60//70, no, era qualcosa di nuovo e più profondo che avrebbe costituito una piccola e sotterranea rivoluzione culturale tanto che dalla musica si passò a  collegamenti con la letteratura e con il cinema, specie quello americano crepuscolare della new-Hollywood  che non faceva apologia di american dream ma rovistava nelle pieghe di quel sogno in cerca di eroi che erano losers and loners. Qualcuno non colse, altri capirono benissimo : mai prima o perlomeno non in modo così netto e radicale era stato riconosciuto al rock un esplicito valore culturale tale da poter rispondere, non tanto o solo d’un influenza artistica, bensì di una formazione soggettiva. I testi delle canzoni avevano la loro importanza, come fossero messaggi di filosofia del vivere o poesie ma non era questo il nodo perché si potevano anche non capire le parole e come scrisse Wim Wenders “ascoltare per anni i Rolling Stones senza sapere di cosa parlassero. La loro forza evocativa era insuperabile.”
Si cominciò a usare il NOI, una moltitudine di individui si riconosceva in una comunità in cui i sogni facevano da legame, contava l’emozione che si provava per un disco, un concerto, un film, ritmo e letteratura divennero nutrimento per corpo e mente. Si formava un modo di vedere il mondo, veniva a crearsi una idea della vita in cui il rock n’roll era un modo di vivere la vita, di avvicinarsi alle cose, dare un senso al diventare adulti, crearsi una realtà parallela non artificiale, salvarsi la vita con la mente e perché no, quando le corde della Fender tremavano di eccitazione, anche coi sensi. Corpo e mente, niente di meglio e di più definitivo. Il paradiso qui in terra, adesso, con una band che suona rock n’roll, un songwriter che sussurra amore e dolcezza ed un ragazzo della porta accanto che urla no surrender.
Molti artisti vennero presi ad identificazione di questa nuova emotività collettiva, l’ascesa di Springsteen coi suoi dischi, le sue canzoni e i suoi concerti fu il simbolo, per qualche tempo, di questo rinascimento e ci furono giornali, in particolare il Mucchio Selvaggio e poi qualche tempo dopo il Buscadero, che fecero da catalizzatore di questo nuovo soggetto culturale con articoli appassionati nel quale chi scriveva si sentiva appartenere a questo popolo e si identificava, qualche volta a scapito della obiettività di giudizio, nelle parole e nei suoni della musica per cui scriveva. Era la consapevolezza che il rock poteva salvarci, rendere sopportabile il quotidiano e la realtà, legittimare i sogni e portare luce nella nostra esistenza. Non era fede, ma quella laica spiritualità del vivere che nel bene e nel male, nelle sconfitte (tante) e nelle vittoria (poche) ci ha mantenuto giovani dentro.
Come il Rock ci ha salvato la vita lo potete richiedere alla Libreria al Segno Editrice (tel.0434 520506) ed è stato presentato in via “ufficiale” il giorno 15 settembre al Festival Pordenonelegge. Erano circa duecento le persone accorse alla vivace ed informale presentazione/dibattito che ha visto coinvolti giovani (tanti) e meno giovani in un dibattito sul rock, i sogni  e le emozioni che ha spaziato dagli albori del beat ai giorni nostri. In veste di moderatori ( e di veterani di quel popolo del rock) erano presenti il fondatore del Mucchio Selvaggio Max Stefani, il giornalista del Gazzettino Veneto e musicista Gio Alajmo, il sottoscritto e naturalmente i due curatori Fabio Fedrigo e Roberto Muzzin, instancabili depositari di una cultura di strada diventata letteratura.

MAURO ZAMBELLINI

2 commenti:

Bartolo Federico ha detto...

Che bello Zambo che eri con Max.
Io non c'ero ma ero tra voi.

BUICK BROS. MAGAZINE ha detto...

Grande Zambo,
Come sempre riesci a mettere nero su bianco o viceversa, quelle emozioni e sentimenti che spesso sono intraducibili e non escono da quello scrigno che custodiscono quell'intimita' necessaria per godersi la propria passione.
Saluti e baci da Coperton Buick