HARD
TRAVELIN'
WOODY
GUTHRIE'S NIGHT LEONCAVALLO 21 SETTEMBRE
2012
Lo vedi lì magro, ossuto, fragile con la
chitarra con su scritto "questa
macchina uccide i fascisti" e pensi sia solo uno di quegli altri disperati
magari anche comunisti che lui cantava, uno di loro, di quelli che fuggivano le
tempeste di polvere dell'Oklahoma e del midwest per andare a cercare la terra
promessa nell'ovest, in California, la terra del lavoro e del sogno americano.
Più tardi arriva a New York e la definisce
"una città di poliziotti, predicatori e schiavi" dove se Gesù predicasse ancora come faceva in
Galilea, lo inchioderebbero di nuovo sulla croce. Testimonia la rinascita
economico che il new deal porta nel depresso nord-ovest e scrive la sua canzone
più famosa This Land Is Your Land che ancora adesso tanti americani credono sia
una canzone patriottica. Vive le speranze antifasciste della seconda guerra
mondiale, compone canzoni sulla storia del movimento operaio americano, canzoni
per i bambini, canzoni sulla amata Ingrid Bergman perché Guthrie non era un santo e nemmeno un eroe,
gli piacevano le donne e il cinema, Stalin e il vino, era guascone e aveva un
caratteraccio. Vive gli ultimi anni alle
prese con una terribile malattia del sistema nervoso, la chorea di Huntington
che lo costringe infermo a letto in una clinica ma ancora lucido. Sentendo le
sue canzoni ci si accorge che l'America di allora è ancora così adesso ed è
forse la ragione perché ci sono stati così tanti Woody's children, figli di
Guthrie, a cominciare da quel tipetto arrivato dal Minnesota a trovarlo quando
già era ammalato in clinica. Scrisse per lui Woody's Song si chiamava Bob Dylan
anzi Robert Zimmermann e trovò nella musica di Guthrie un linguaggio semplice e
diretto per parlare della dignità dell'essere umano, la cosa più grande della
vita come diceva sempre Woody. Poi arrivarono tanti altri, Phil Ochs, Billy
Bragg, Bruce Springsteen, Steve Earle, John Mellencamp, Ani Di Franco, Utah
Phillips, qualcuno noto altri sconosciuti, tutti a cantare una musica che
potesse migliorare la vita e gli esseri umani.
Cantare le sue canzoni senza dimenticare le sue
ragioni questo è il messaggio che ha lasciato Woody Guthrie e Veronica Sbergia (ukulele, autoharp,voce),
Max DeBernardi (chitarre e voce), Massimo Gatti (mandolino) e Dario Polerani (contrabbasso) hanno
ricordato attraverso un concerto imperniato sulle sue canzoni, un set toccante e
coinvolgente dove il materiale di Guthrie è stato interpretato con spigliatezza
e freschezza nonché con l'usuale bravura
tecnica del quartetto. Il feeling, le voci e gli strumenti hanno contagiato il
centinaio e più di presenti, trasformando il Leonka in un club dell'East
Village. Suoni cristallini, impasti
vocali magnifici, l'atmosfera pura del folk senza le pesantezze del
rigore a tutti i costi, anzi il brio e l'ironia che anche Guthrie metteva nella
sua musica e che Max, Veronica, Massimo e Dario hanno riversato nelle loro
interpretazioni. La Woody Guthrie's Night di venerdì 21 settembre al
Leoncavallo, un appuntamento snobbato da
molti addetti ai lavori che si precipitano non appena è di scena l'ultimo degli
sfigati d'oltreoceano ma non si accorgono che alle nostre latitudini c'è chi
interpreta la roots music ad un livello eccellente, è stato il modo migliore
per ricordare e far conoscere uno dei più grandi poeti della musica popolare
americana. Sono cento anni che Woody Guthrie è nato ma la sua musica non ne
risente, i quattro hanno fatto vivere lo spirito e le ragioni della sua musica
offrendo una versione musicale ricca, suggestiva, colorata anche quando era la
polvere la protagonista delle storie, supportati dalle immagini che scorrevano
alle loro spalle, dalle eloquenti letture di Michele
Buzzi che con dei flash approfonditi ha commentato l'opera di Guthrie e
dalla recitazione dei testi delle canzoni da parte del Gruppo Teatrale
Leoncavallo.Una serata assolutamente fuori del comune, uno spettacolo che, si spera, possa avere delle repliche.
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