lunedì 26 novembre 2012

LED ZEPPELIN

CELEBRATION DAY

La reunion dei Led Zeppelin all'O2 Arena di Londra il 10 dicembre 2007 è stato un evento che ha generato un interesse ed un'attenzione fuori dalla norma tanto che ne è stato  fatto un film proiettato in anteprima nelle sale di tutto il mondo il 17 ottobre scorso. Chi ha visto il film o ha avuto la fortuna di partecipare direttamente allo show ha avuto parole entusiaste, io mi limito a recensire, all'oscuro della parte visuale, il doppio CD audio che ne è stato ricavato. 16 brani tra i più famosi del repertorio dei Led Zep, il grande inizio con Good Times Bad Times e Ramble On rispettivamente dal primo e dal secondo album del gruppo e poi via con il riff torcibudella di Black Dog qui in versione granitica da far impallidire i Gov't Mule e la tempesta elettrica di In My Time Of Dying con Jimmy Page che si diverte a slidare e distorcere prima che la sezione ritmica diventi una acciaieria.  For Your Life è muscolosa  come mai, con la batteria implacabile di Jason Bonham, degno figlio del padre, il martello degli Dei,  Trampled Under Foot, ripescaggio di Physical Graffiti, è contrassegnato dal lavoro di tastiere di John Paul Jones, forse il più fresco dei tre originali Zeppelin. Robert Plant ha difatti perso il suo falsetto giovanile ma riesce a stare al gioco con l' abilità del grande cantante, la sua voce è più aspra e disperata ma riesce a far volare alto il dirigibile anche se ormai sembra più a suo agio in lavori meno "esuberanti" tipo il disco con Allison Krauss e quello con Band Of Joy, Jimmy Page è quello più invecchiato di tutti, non tanto per i suoi capelli bianchi ma perché il suono della sua Gibson ha perso lo smalto e la limpidezza di un tempo. Gioca di forza e di durezza, il suono è sporco, cruente e monocorde, non c'è l'eleganza di una volta quando pur in mezzo alla tempesta di watt sapeva essere lirico, fantasioso, geniale. Oggi è solo la copia di se stesso, ad alcuni può anche bastare visto che l'originale è un musicista che tra il 1972 ed il 1975 è stato il miglior chitarrista sulla faccia della terra, almeno per quanto riguarda il rock, ma dopo un'ora non ne puoi più della sua violenza  e delle sue raffiche.

sabato 17 novembre 2012

CHEAP WINE BASED ON LIES


 Nasce, come dice il cantante Marco Diamantini, nel periodo più brutto della loro esistenza il nuovo disco dei Cheap Wine e i testi cupi, a tratti pessimisti ma profondamente ancorati alla precaria situazione sociale traspongono questo stato d'animo. Ma i Cheap Wine sono un grande gruppo rock e sanno che solo con una sferzata di energia, delle canzoni che siano di tutti ed il sano rumore delle chitarre ci si può opporre alla barbarie e alle menzogne che girano attorno perché loro non sono ne dei politici ne dei pifferai magici, il che spesso è la stessa cosa ma una real and true  rock n'roll band e allora Based On Lies è qui col suo carico di resistenza umana e artistica, con le sue ballate che  offrono nuovi orizzonti, con il suo rumore terapeutico. Sono pochi in Italia tra quelli che hanno scelto di rimanere veramente indipendenti ad essere arrivati al nono disco, i Cheap Wine ci sono riusciti e questa è già  una dichiarazione di forza, caparbietà e tenacia. Unite poi la loro bravura sugli strumenti, la loro onestà intellettuale ed una evoluzione che li ha portati fin dove sono arrivati e avrete, come già detto in passato, una band che non teme confronti nemmeno sul piano internazionale. Non era facile dare un seguito a Spirits un disco che ha avuto una accoglienza sensazionale e i Cheap Wine si devono essere sentiti un po' ad un bivio, continuare su quella strada o cambiare radicalmente. Hanno scelto di seguire l'istinto, non hanno fatto calcoli e tra le canzoni registrate hanno scelto quelle che piacevano di più a loro senza pensare ad altro. Certo l'ombra di Spirits si allunga su diversi brani del nuovo disco ma alla fine  Based On Lies ha finalmente raggiunto la quadratura del cerchio: ci sono le ballate con degli squarci melodici mai così tersi e chiari e c'è l'irruenza del loro tagliente rock n'roll elettrico, ci sono gli arrangiamenti e le sfumature del pianoforte del bravo Alessio Raffaelli elemento cardine nella loro evoluzione sonora e ci sono i ganci elettrici e visionari di Michele "psychotic razor blade" Diamantini, c'è il pulsare di una sezione ritmica che è una garanzia e c'è la voce, la chitarra acustica ed il songwriting  di Marco che tengono fermi i riferimenti verso un sapiente folk-rock di matrice urbana. Con Based On Lies i Cheap Wine sono ormai pronti ad allargare l'audience senza dimenticare i vecchi fans. Alcuni brani come Breakaway, Waiting On The Door, la country-eggiante The Big Blow, la stessa Based On Lies hanno l'appeal e la schiettezza per poter ottenere  una giusta attenzione da parte dei media radiofonici se l' Italia non fosse, in tal senso, quel paese di merda che é e ci sono brani come The Vampire davvero tosti, a me ha fatto venire in mente il disco di Lou Reed con i Metallica, o To Face A New Day  dove viene fuori il fragoroso Neil Young and Crazy Horse pensiero con un assolo leggendario di Michele o The Stone  una ballata segnata dal banjo e da una coralità vocale che  spinge verso gli Appalachi. Senza dimenticare il graffio punk alla Freak Show di Give Me Tom Waits ed il pianoforte di Alessio che jazzeggia nella canzone che dà il titolo all'album e classicheggia in On The Way Back Home.  Magari Based On Lies per alcuni potrà non essere il miglior disco dei Cheap Wine ma è sicuramente il più completo, quello che esprime tutte le loro sfaccettature.

MAURO ZAMBELLINI    


giovedì 8 novembre 2012

THE BIG EASY


Finalmente a New Orleans, non che la regione cajun ci abbia stancati ma dopo una settimana born on the bayou era naturale saltare in città anzi nella città più musicale del mondo dove la musica è dappertutto e come scrive John Swenson nel suo bellissimo New Atlantis-Musicians Battle for the Survival of New Orleans-viene fuori dalla terra perché è qualcosa che ha a che vedere con le vibrazioni della terra. La terra qui è una combinazione di elementi, il fatto che tanta di essa sia sotto il livello del mare, la sua storia come città di porto e portale nell'emisfero occidentale per europei e africani e poi milioni di persone che hanno vissuto qui nel passato. E' come fosse la Costantinopoli del Nuovo Mondo, ogni cosa qui è esagerata. La bellezza è esagerata, la povertà è esagerata, così la brutalità, la musica, il cibo. Se sei una persona con i sensi acuti tutto questo non lo devi cercare, lo senti addosso. Ero già stato a New Orleans una prima volta nell'inverno 1994 proprio nei giorni in cui scompariva Ylenia Carrisi la figlia di Romina Power e Al Bano, era gennaio, l'aria era fredda e la città non era per niente sicura, al di fuori del Quartiere Francese, oltre North Rampart Street, che è una specie di spartiacque tra il Quartiere Francese e i quartieri sobborgo, di sera bisognava stare attenti, addirittura un taxista si rifiutò di portarmi nella zona dove una volta sorgeva Storyville perché, a suo dire, a lot of guns. Sono tornato nel 1999  inviato da una casa discografica per un servizio sul redivivo George Thorogood. Il bluesman del Delaware tornava dopo alcuni anni di silenzio con l'album Half A Boy/ Half A Man e lo presentava alla stampa internazionale all' House of Blues di New Orleans in quello che sarebbe stato uno show tutto muscoli e slide. A quel tempo andava di moda Marylin Manson tra i giovani americani e la stessa Anne Rice coi suoi romanzi sui vampiri aveva un certo seguito, il che spiega la fauna strana ed un po' inquietante che bazzicava la città. Mi ricordo un locale, una enorme cafeteria dove andai un paio di volte incuriosito dal suo pubblico e dal buon caffè che facevano, il Kaldi's in Decatur Street che ora non esiste più,  pieno di gente con gli occhi gialli e i canini appuntiti perché quello era il look di tendenza e chi lo portava non erano certo fighetti da discoteca ma figuri di un mondo parallelo che quando li si incrociava di sera lasciavano addosso un certo non so che. New Orleans è così, città di santi e peccatori, di feste e  cimiteri, di sesso e voodoo, di bellezza e squallore, di vita e di morte, anche adesso che all'occhio del turista sembra una città del tutto normalizzata qualcosa di difficile da afferrare nasconde tra le sue case. Basta passeggiare di sera nella silenziosa ed elegante Royal Street, una sequenza di atelier, gallerie, antiquari, negozi di vestiti (non firmati ma sartoriali), maschere, oreficerie, negozi antichi e vintage, lampioni a gas e si è in mezzo ad un concentrato di bello che nemmeno Parigi ha in così poco spazio ma anche qui ad un solo blocco dalla caciara pulp al profumo di vomito che è Bourbon Street è possibile cogliere la magia non sempre rassicurante di una città che nasconde i suoi segreti. Non c'è nessuno quando ci passeggio di sera tardi, solo qualche frettoloso passante, i negozi sono chiusi e si può osservarli nella loro quiete, la luce fioca dei lampioni rende l'ambiente ottocentesco, New Orleans è una città soffusamente illuminata anche nelle arterie principali, l'oscurità penetra nei vicoli, c'è fascino e mistero in Royal Street, chissà cosa doveva essere alla fine del XIX secolo nei giorni dell'assenzio.