Non
è detto che chi arriva tardi si deve accontentare con quello che trova, può
capitare che l'ultimo minuto sia
migliore del resto dell'ora o addirittura dell'intero anno. Senza togliere
nulla agli ottimi dischi di rock italiano
non cantato in italiano usciti precedentemente in questo 2013 e mi
riferisco a Temporary Happiness degli W.I.N.D, The Roadkill Songs dei
Mojo Filter, Happy Island di Hernandez & Sampedro, Wake Up Nation di Daniele
Tenca, Pontchartrain di Cesare Carugi, Black Strawberry Mama dei
Nandha Blues, Lost for Rock n' Roll di Luca Milani, tutti lavori che non
soffrono il confronto internazionale, mi va di segnalare due dischi arrivati in
zona
Cesarini assolutamente da non trascurare. Il primo, Exile on Backstreets di
Paolo Bonfanti è uscito poco più di un mese fa, il secondo, Far
Out dei Mandolin' Brothers addirittura non è
ancora uscito ufficialmente e sarà disponibile nei negozi dall'11 gennaio 2014 e
presentato live allo Spazio Musica di Pavia il 25 gennaio, appuntamento da non
perdere.
Chi
bazzica il blues made in Italy sa che Paolo
Bonfanti, genovese emigrato a Casale Monferrato, è musicista che gira da
parecchio, dagli anni ottanta quando
militava nei Big Fat Mama, storica band del blues italiano. Nel 1992 con
On
My Backdoor, Someday Bonfanti si è messo solista affacciandosi
sulle sponde del rock americano di strada, con l' occhio puntato verso quei singer/songwriter che mischiano
blues e roots alla maniera di Dave Alvin, Steve Earle, John Mellencamp. Gradualmente
si è costruito una identità riconoscibile, grazie ad un cantato credibile
e ad un buon lavoro in fase di scrittura, oltre che ad una tecnica
chitarristica sopraffina che gli ha consentito recentemente di pubblicare il
manuale La chitarra elettrica secondo Bonfanti. Bonfanti è andato oltre il blues, anche se le
dodici battute costituiscono le fondamenta, le sue canzoni sconfinano nel rock,
nelle roots e nel country- folk-rock,
per lui Dylan e Springsteen valgono quanto Muddy Waters e John Lee Hooker, può
suonare con chiunque, recentemente ha
aperto per Black Crowes e Ian Hunter e ha anche trovato il tempo, belìn, per
registrare un disco, Canzoni di schiena, cantato in
italiano ed in genovese. Affabile,
educato, preparato, Paolo Bonfanti è uno dei musicisti di punta del blues
nazionale ed il nuovo suo disco, giocato su un famoso titolo dei Rolling
Stones, Exile On Main Street non fa che confermare la sua bravura e le
sue vedute aperte. Trattasi di disco che spazia dal blues (da brividi il lungo strumentale Slow Blues For Bruno)ad un irriverente tentativo di rap (la sincopata Black Glove), dal r&b in odore di
Stones anni '70 con tanto di trombe e sax (Craig Dreyer e Jeff Kievet) ovvero
la bella Father's Things, dedicato al
padre scomparso, al rifacimento western
swing di I'll Never Get Out Of This World Alive di Hank Williams, velocizzata come la poteva fare Dylan in Modern Times e con
tanto di fisarmonica. Echi di Dylan si
sentono anche nella incalzante My Baby
Can , ma qui viene in mente Love and Thieft mentre l'elettrica
gracchia cattiva in Up To My Neck in You, una vecchia canzone dei primi AC/DC, dimostrazione che per
Bonfanti le barriere non esistono. Exile On Backstreets batte le
secondarie del blues e del rock e lo fa con orgoglio non puntando all'assolo
plateale o al sangue, sudore e lacrime ma creando i diversi mood della musica
da strada. E'quindi un disco vario e piacevole il suo, suonato come Dio comanda
da Alessandro Pelle alla batteria, Nicola Bruno al basso,Roberto Bongianino
alla fisarmonica, più un nugolo di musicisti amici ( Fabio Treves, Marco
Fecchio, Rigo Righetti, Stefano Risso, Andrea Manuelli e Henry Carpaneto,
questi ultimi due con Hammond e pianoforte), oltre alle chitarre del leader. Un ultima menzione va alla title track,
ballatona con dentro chitarre, sax, tastiere, cori, romanticismo, gospel e
anche un po' di You Can't Always Get What
You Want, una delle canzoni più belle del rock made in Italy del 2013, omaggio agli Stones del periodo Exile
On Main Street anche se qui, visto l'origine genovese dell'autore, la
strada è diventata un caruggio. E menzione anche per la protest-song alla Billy
Bragg, I Hate The Capitalist System, fisarmonica da chanson francais e testo e
titolo che si commentano da soli. Bravo Bonfanti e bravo anche il
co-produttore Giorgio Ravera.
Dall'Oltrepò
Pavese arrivano i Mandolin' Brothers anche loro "del mestiere" visto
che l'esordio risale al 1979, quando erano semplicemente un duo di
country-blues con Jimmy Ragazzon, voce, armonica, chitarra acustica e Paolo
Canevari, chitarre e National steel. Dall'inizio degli anni novanta la line up
si è allargata e adesso i Mandolin' Brothers
sono in sei, una vera roots band con chitarre, sezione ritmica (Joe
Barreca e Daniele Negro), mandolino (Marco Rovino), tastiere e fisarmonica
(Riccardo Maccabruni),oltre ai due originari fondatori. Nel loro
curriculum c'è la partecipazione al Blues Challenge di Memphis e concerti in Florida ma è nei festival
nazionali che il loro set è diventato sinonimo di allegria, energia, buona
musica, dove rigore e fantasia vanno a braccetto e loro dimostrano una ottima
conoscenza dell'american music. Il debutto discografico è avvenuto con For
Real ma la maturità l'hanno
raggiunta nel 2008 con Still
Got Dreams, a cui è seguito 30 Lives! e Moon Road , sorta di diario di
viaggio musicale, registrato ad Austin con la produzione di Mel Bregante. Il
nuovissimo Far Out, realizzato grazie al crowdfounding di amici ed
estimatori, è un po' la summa delle
varie facce espresse dai Mandolin' Brothers nella loro avventura, una solida
piattaforma di roots-rock venato di blues su cui la band inventa le diverse soluzioni, dalle ballate rock come Come On Linda e Nightmare In
Alamo, gran pezzo, con un ottimo
dualismo chitarre-tastiere al fosco voodoo blues di Ask The Devil, dal romantico mainstream rock (la splendida My Last Day) al valzer messicano
intrecciato col jazz di New Orleans di Hey Senorita. Dispongono di un team di autori
intercambiabile, Ragazzon, Maccabruni e Rovino, il che consente varietà e
brio, la solidità chitarristica friziona in modo positivo con la voce malinconica e nasale e l''armonica di Jimmy Ragazzon (
tra Dylan e l'epica western) mentre il mandolino e la fisarmonica portano a galla l'America profonda che pulsa
nei loro cuori e pianoforte e organo pensano ad amalgamare il tutto come hanno
insegnato all'Università di Memphis. Il sound dei Mandolin' Brothers è antico e
moderno al tempo stesso, e non sfuggono i riferimenti al groove rock delle jam
band, Someone Else occhieggia ai
Doobie Bros., da qualche altra parte si sente odore di Little Feat, Short Long Story si dibatte tra
accelerazioni e rallenty, Lotus Eaters è
California ariosa e solare e Sorry If sta
tra Pogues e Blues Traveller con la
pindarica armonica di John Popper in
azione. La brava Cindy Cashdollar
mette invece la sua Weissenborn guitar al servizio del dolente Delta blues di Circus mentre Jono Manson è un po' dappertutto, produzione compresa. Un plauso ai
testi, in Black Oil si parla di disastri ambientali e profitti delle
compagnie petrolifere, in Bad Liver
Blues, Jimmy Ragazzon ci racconta con coraggio del suo fegato.
Veri e autentici, non c'è che dire, anche se nati nel pavese e non sulle strade
che dal Mississippi corrono verso la Louisiana, Far Out è frizzante come un prosecco dell'Oltrepò. Ottime le foto e la grafica di copertina, molto Grateful Dead.
MAURO ZAMBELLINI
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