venerdì 20 dicembre 2013

LAST MINUTE: Paolo Bonfanti e Mandolin'Brothers

 


Non è detto che chi arriva tardi si deve accontentare con quello che trova, può capitare che l'ultimo minuto sia migliore del resto dell'ora o addirittura dell'intero anno. Senza togliere nulla agli ottimi dischi di rock italiano non cantato in italiano usciti precedentemente in questo 2013 e mi riferisco a Temporary Happiness degli W.I.N.D, The Roadkill Songs dei Mojo Filter, Happy Island di Hernandez & Sampedro, Wake Up Nation di Daniele Tenca, Pontchartrain di Cesare Carugi, Black Strawberry Mama dei Nandha Blues, Lost for Rock n' Roll di Luca Milani, tutti lavori che non soffrono il confronto internazionale, mi va di segnalare due dischi arrivati in  zona Cesarini assolutamente da non trascurare. Il primo, Exile on Backstreets di Paolo Bonfanti è uscito poco più di un mese fa, il secondo, Far Out dei Mandolin' Brothers  addirittura  non è ancora uscito ufficialmente e sarà disponibile nei negozi dall'11 gennaio 2014 e presentato live allo Spazio Musica di Pavia il 25 gennaio, appuntamento da non perdere.

Chi bazzica il blues made in Italy sa che Paolo Bonfanti, genovese emigrato a Casale Monferrato, è musicista che gira da parecchio, dagli anni ottanta quando  militava nei Big Fat Mama, storica band del blues italiano. Nel 1992 con On My Backdoor, Someday Bonfanti si è messo solista affacciandosi sulle sponde del rock americano di strada, con l' occhio puntato  verso quei singer/songwriter che mischiano blues e roots alla maniera di Dave Alvin, Steve Earle, John Mellencamp. Gradualmente si è costruito una identità  riconoscibile, grazie ad un cantato credibile e ad un buon lavoro in fase di scrittura, oltre che ad una tecnica chitarristica sopraffina che gli ha consentito recentemente di pubblicare il manuale La chitarra elettrica secondo Bonfanti.  Bonfanti è andato oltre il blues, anche se le dodici battute costituiscono le fondamenta, le sue canzoni sconfinano nel rock, nelle roots  e nel country- folk-rock, per lui Dylan e Springsteen valgono quanto Muddy Waters e John Lee Hooker, può suonare con chiunque, recentemente  ha aperto per Black Crowes e Ian Hunter e ha anche trovato il tempo, belìn, per registrare un disco, Canzoni di schiena, cantato in italiano ed in genovese.  Affabile, educato, preparato, Paolo Bonfanti è uno dei musicisti di punta del blues nazionale ed il nuovo suo disco, giocato su un famoso titolo dei Rolling Stones, Exile On Main Street non fa che confermare la sua bravura e le sue vedute aperte. Trattasi di disco che spazia dal blues (da brividi  il lungo strumentale Slow Blues For Bruno)ad un irriverente  tentativo di rap (la sincopata Black Glove), dal r&b in odore di Stones anni '70 con tanto di trombe e sax (Craig Dreyer e Jeff Kievet) ovvero la bella Father's Things, dedicato al padre scomparso,  al rifacimento western swing di  I'll Never Get Out Of This World Alive  di Hank Williams, velocizzata come la poteva fare Dylan in Modern Times e con tanto di  fisarmonica. Echi di Dylan si sentono anche nella incalzante My Baby Can , ma qui viene in mente Love and Thieft mentre l'elettrica gracchia cattiva in Up To My Neck in You, una vecchia canzone  dei primi AC/DC, dimostrazione che per Bonfanti le barriere non esistono. Exile On Backstreets batte le secondarie del blues e del rock e lo fa con orgoglio non puntando all'assolo plateale o al sangue, sudore e lacrime ma creando i diversi mood della musica da strada. E'quindi un disco vario e piacevole il suo, suonato come Dio comanda da Alessandro Pelle alla batteria, Nicola Bruno al basso,Roberto Bongianino alla fisarmonica, più un nugolo di musicisti amici ( Fabio Treves, Marco Fecchio, Rigo Righetti, Stefano Risso, Andrea Manuelli e Henry Carpaneto, questi ultimi due con Hammond e pianoforte), oltre alle chitarre del leader.  Un ultima menzione va alla title track, ballatona con dentro chitarre, sax, tastiere, cori, romanticismo, gospel e anche un po' di You Can't Always Get What You Want, una delle canzoni più belle del rock made in Italy del 2013,  omaggio agli Stones del periodo Exile On Main Street anche se qui, visto l'origine genovese dell'autore, la strada è diventata un caruggio. E menzione anche per la protest-song alla Billy Bragg, I Hate The Capitalist System,  fisarmonica da chanson francais e testo e titolo che si commentano da soli. Bravo Bonfanti e bravo anche il co-produttore  Giorgio Ravera.     

Dall'Oltrepò Pavese arrivano i Mandolin' Brothers anche loro "del mestiere" visto che l'esordio risale al 1979, quando erano semplicemente un duo di country-blues con Jimmy Ragazzon, voce, armonica, chitarra acustica e Paolo Canevari, chitarre e National steel. Dall'inizio degli anni novanta la line up si è allargata e adesso i Mandolin' Brothers  sono in sei, una vera roots band con chitarre, sezione ritmica (Joe Barreca e Daniele Negro), mandolino (Marco Rovino), tastiere e fisarmonica (Riccardo Maccabruni),oltre ai due originari fondatori. Nel loro curriculum  c'è la partecipazione  al Blues Challenge di Memphis e concerti  in Florida ma è nei festival nazionali che il loro set è diventato sinonimo di allegria, energia, buona musica, dove rigore e fantasia vanno a braccetto e loro dimostrano una ottima conoscenza dell'american music. Il debutto discografico è avvenuto con For Real  ma la maturità l'hanno raggiunta  nel 2008 con Still Got Dreams, a cui è seguito 30 Lives!  e Moon Road , sorta di diario di viaggio musicale, registrato ad Austin con la produzione di Mel Bregante. Il nuovissimo Far Out, realizzato grazie al crowdfounding di amici ed estimatori,  è un po' la summa delle varie facce espresse dai Mandolin' Brothers nella loro avventura, una solida piattaforma di roots-rock venato di blues su cui la band inventa  le diverse soluzioni, dalle ballate rock come Come On Linda e Nightmare In Alamo, gran pezzo, con  un ottimo dualismo chitarre-tastiere al fosco voodoo blues di Ask The Devil, dal romantico mainstream rock (la splendida My Last Day) al valzer messicano intrecciato col jazz di New Orleans  di Hey Senorita.  Dispongono di un team di autori intercambiabile, Ragazzon, Maccabruni e Rovino, il che consente varietà e brio,  la solidità chitarristica friziona in modo positivo con la voce malinconica e nasale e l''armonica di Jimmy Ragazzon ( tra Dylan e l'epica western) mentre il mandolino e la fisarmonica  portano a galla l'America profonda che pulsa nei loro cuori e pianoforte e organo pensano ad amalgamare il tutto come hanno insegnato all'Università di Memphis. Il sound dei Mandolin' Brothers è antico e moderno al tempo stesso, e non sfuggono i riferimenti al groove rock delle jam band, Someone Else occhieggia ai Doobie Bros., da qualche altra parte si sente odore di Little Feat, Short Long Story si dibatte tra accelerazioni e rallenty, Lotus Eaters è California ariosa e solare e Sorry If sta tra Pogues e Blues Traveller  con la pindarica armonica di John Popper in azione. La brava Cindy Cashdollar mette invece la sua Weissenborn guitar al servizio del dolente Delta blues di Circus mentre Jono Manson è un po' dappertutto, produzione compresa. Un plauso ai testi,  in Black Oil si parla di disastri ambientali e profitti delle compagnie petrolifere, in Bad Liver Blues, Jimmy Ragazzon  ci racconta con coraggio del suo fegato. Veri e autentici, non c'è che dire, anche se nati nel pavese e non sulle strade che dal Mississippi corrono verso la Louisiana, Far Out è frizzante come un prosecco dell'Oltrepò. Ottime le foto e la grafica di copertina, molto Grateful Dead.

 

MAURO ZAMBELLINI    

 

 

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