giovedì 12 dicembre 2013

LOU REED (1942-2013) Morte di un Rock n'roll Animal Parte II



 

"Non ho mai voluto essere altro che la rappresentazione del negativo". Queste parole esprimono quello che è stato Lou Reed negli anni settanta, il narratore del mondo delle ombre, dei devianti, il cantore dell'autodistruzione e della decadenza , il rock n'roll animal. " Lou Reed è l'uomo che ha dato legittimità e liricità all'eroina, alle anfetamine, all'omosessualità, al sadomasochismo, all'omicidio e alla misoginia, per poi smentire tutte le conclusioni e trasformare il tutto in un monumentale scherzo di cattivo gusto". Così scriveva il defunto giornalista americano Lester Bangs, per poi aggiungere " Lou Reed è un ruffiano che ha vissuto di quello stupido nichilismo della generazione degli anni 70 che non ha avuto il cuore e l'energia di suicidarsi".

Lou Reed non è stato solo un cattivo maestro perché se gli anni sessanta lo hanno visto vestire i panni del temerario capace, coi Velvet Underground, di sconvolgere il normale ascolto musicale e l'estetica del rock, e gli anni settanta lo hanno visto scendere all'inferno e ritornare illeso,con un pugno di album che da soli basterebbero a spiegare le contraddizioni di quella decade,gli anni  successivi hanno conosciuto un artista capace di riconsiderare sé stesso e le proprie opinioni senza rinnegare il suo passato, continuando a sperimentare nuove vie con cui leggere e decifrare la complessa realtà del vivere. 

    

     Ci sono cose che hanno profondamente inciso nella vita di Lou Reed, nato come Lewis Allan Reed il 2 marzo 1942 a Brooklyn da una famiglia ebrea, il padre contabile fiscale e la madre casalinga. La prima è una educazione yiddish che gli regala un umorismo sarcastico ed un cinismo terribile, la seconda è il trattamento di elettroshock cui fu sottoposto all'età di 17 anni per volontà dei genitori nel tentativo di "curare" i suoi atteggiamenti disturbati, in primis una latente omosessualità, scoperta a 13 anni, e poi la sua volontà di diventare un musicista rock. Un incubo per una famiglia ebrea americana di classe media degli anni 50 ed un patimento per il giovane Lou che a fatica e non senza conseguenze uscì da quella terribile esperienza, su cui, anni più tardi, riuscirà perfino a scriverci una canzone, Lady's Godiva Operation.

La terza cosa che incise profondamente sulla sua educazione fu la frequentazione della Syracuse University dove a 22 anni conseguì il diploma di Arts and Sciences. Qui, in sequenza, incontrò il jazz di Ornette Coleman, gli scritti di William Burroughs e Hubert Selby Jr., in particolare Ultima Fermata a Brooklyn, l'anfetamina, il futuro chitarrista dei VU Sterling Morrison, amori maschili e femminili e soprattutto Delmore Schwartz.

Delmore Schwartz è uno scrittore/poeta che ebbe una notevole influenza sugli scrittori newyorchesi degli anni 30 e 40, morto in solitudine a 53 anni all'Hotel Marlon di New York dopo che per ben  due giorni nessuno, nemmeno la direzione dell'albergo, si accorse del suo decesso. Era stato promosso a ruolo di insegnante di scrittura creativa all'Università di Syracuse nientemeno che da Saul Bellow, premio Nobel per la letteratura. Schwartz era uno scrittore di razza, aveva scritto Nei Sogni Cominciano Le Responsabilità, un testo divenuto una sorta di culto tra i lettori e gli altri scrittori, un racconto capace di impressionare il giovane e curioso Lou Reed. Ma per istinti autodistruttivi, complici l'alcol e le pillole, Schwartz oscillava dentro e fuori la depressione. Reed ne fu affascinato, probabilmente perché si identificava in un personaggio ancora più disturbato di lui. Bevevano insieme, usavano insieme l' anfetamina  ma soprattutto Lou fu stregato dal suo modo semplice ed intenso di scrivere. "Parole semplici che messe su tre accordi potevano suscitare una emozione". Questa fu la lezione che Reed imparò da Delmore Schwartz e fu questo che fece con la musica. Cominciò con lo scrivere canzoni a 25 dollari la settimana per l'agenzia Pickwick e poi conobbe John Cale, studente gallese coi capelli lunghi e lo sguardo torvo che suonava in un ensemble di musica d'avanguardia diretto dal compositore La Monte Young. Fu una scintilla, una rivelazione ed una rivoluzione. Dopo un tentativo maldestro di incidere una canzone col nome di Primitives, gruppo che nemmeno esisteva, i due diedero vita ai Velvet Underground rubando il nome ad un libro tascabile di poco prezzo sul sesso che avevano trovato dalle parti di Ludlow Street, nella Lower East Side, dove Reed e Cale in quei giorni abitavano. Un nome appropriato per quella che sarebbe divenuta la band alternativa underground più importante della storia del rock. I VU si formarono nel 1965 nella parte meridionale di Manhattan, la malfamata Loisiada e alla musica fiori, amore e buone vibrazioni della California e del Sergente Pepper contrapposero un rock oscuro, dissonante, sgraziato, che parlava di perversioni sessuali, suicidio, droga pesante, femmine fatali e sadomaso, rifiuti urbani e arte mistica, con un suono che rasentava quello di un rasoio elettrico impazzito, frutto della combinazione tra lo stridio della viola elettrica di Cale, il tambureggiare delle percussioni di Maureen "Moe" Tucker ed il feedback delle chitarre, col tempo che accelerava e rallentava a seconda delle esigenze del testo. I quattro VU, con Reed e Cale, c'erano il chitarrista Sterling  Morrison  oltre alla batterista  Maureen Tucker, si presentavano vestiti di nero e con occhiali scuri, iettatori di un mondo malsano che trovava sfogo in canzoni dai titoli inquietanti: Venere in Pelliccia, Eroina, Sarò il tuo Specchio, Sto Aspettando il mio Uomo, Canzone di Morte dell'Angelo Nero. Sorella Raggio, Femmina Fatale, Luce Bianca/Calore Bianco.

Il tempo di tre album, la Banana  con la voce candida e malata di Nico, anno 1967,il dissonante ed estremista White Light/White Heat del 68 ed il contemplativo The Velvet Underground  dell'anno seguente, ed il rock non fu più lo stesso. Meno male, saremmo ancora in American Graffiti senza la meteora dei Velvet Underground. Quando uscì nel 1970 Loaded, bello da morire con quelle prime arcane e semi acustiche versioni di Sweet Jane e Rock n' Roll, il gruppo non c'era già più, almeno nella sua formazione originaria. Nico era stata estromessa già in White Light/White Heat, Cale se ne era andato al momento di registrare il terzo omonimo album e Lou Reed era tornato nella casa paterna di Freeport, a Long Island, dopo contrasti col manager Steve Sesnick. L'ultima sua apparizione coi Velvet fu il 23 agosto 1970 al Max's Kansas City, uno dei locali prediletti da Warhol e dalla sua corte, concerto registrato per caso da un'attricetta e pubblicato su disco solo due anni dopo.

Non passò molto tempo prima del suo ritorno in scena,grazie all'aiuto di David Bowie e alle compiacenze del glam rock. La trasformazione fu radicale, dopo la partenza falsa di un album solista prodotto come un campo di patate, avvenne nel 1972 quando a New York sbarcò Candy, venuta da fuori Manhattan a spassarsela con tutti nella stanza sul retro,senza mai perdere la testa nemmeno quando lo prendeva tutto in bocca, Holly era appena arrivato da Miami, attraversando gli States in autostop, si era rasato le sopraciglia, depilato le gambe e così era diventato una lei, Little Joe faceva una botta qui ed una botta là e tutti dovevano pagare e Sugar Plum Fairy era venuto a battere in cerca di bocconcini neri ed un posto per mangiare. Sono i pittoreschi protagonisti di quella balade  immortale ed immorale nota come Walk On The Wild Side, una canzone su cui tutti in seguito, a cominciare da Willy DeVille, ci avrebbero costruito quel modo di cantar-parlando al ritmo vizioso di uno sculettare nella parte selvaggi della città. Una canzone tanto semplice  quanto inarrivabile, col sax che chiude il passeggio con un assolo che nel rock è l'equivalente della entrata di John Coltrane in Round Midnight di Miles Davis.Transformer, appunto si intitolava quell'opera sui vizi del sottobosco urbano del West Village contenente Walk On The Wild Side, fu prodotto da David Bowie e dal suo chitarrista Mick Ronson,un lavoro in grado di annoverare almeno altri quattro flowers in the dirt ovvero Vicious, bozzetto ironico di un masochista omosessuale tra fiori e depravazione, Perfect Day, nostalgico ricordo di una persona amata, usata nella drogata colonna sonora del film Trainspotting e poi titolo di uno splendido unplugged del 1998 di Lou Reed, Live In London, la gelosia ossessiva di Satellite of Love ed il pastiche jazz in stile dixieland di Goodnight Ladies, bizzarra canzone di un uomo ingannato da una donna. Nella carriera di Lou Reed Transformer  significò  una nuova partenza dopo l'avventura art-rock coi VU,gruppo che all'epoca non si filò nessuno sebbene diventato nel tempo il maggior responsabile di rock n'roll bands nate per emulazione .

Capelli cortissimi, la t-shirt nera attillata, i jeans d'ordinanza ed il mascara sugli occhi,Lou Reed con Transformer  diventa un idolo del glam rock sponda americana, ed il movimento di liberazione omosessuale si identifica in lui e nelle sue canzoni trasgressive. Lui sfrutta l'opportunità, evita accuratamente di mettersi zeppe e lustrini come l'amico Ziggy Stardust ma gioca sull'ambiguità esistente tra persona ed immagine, tra uomo e attore e porta alla ribalta senza vergogne la sua inquietudine, la sua diversità, i suoi vizi. Non passa inosservato, in Italia a metà degli anni settanta viene contestato dall'ala più radicale e oltranzista del movimento, lo accusano di essere un "cattivo esempio per le masse", uno sporco decadente dalle sfumature nazistoidi e quando, capelli ossigenati biondi,movenze androgine, pelle nera e borchie ovunque,simula sul palco una pera con tanto di siringa, il concerto viene interrotto. Ma c'è chi lo ama e lo idolatra, sono molti a subirne il fascino maledetto da junkie aristocratico, nutrono nei suoi confronti un morboso compiacimento e finiscono con l'imitare "sul campo" il cattivo maestro, rimanendo imprigionati   nella spirale senza ritorno dell'eroina.

Transformer  diventa un successo, a ben vedere erano tempi più spregiudicati dei nostri, nonostante tutto, se un disco che fa emergere la bellezza e la sensibilità interiore anche in forme eccentriche e in situazioni scabrose che contrastano con la morale comune e dominante, in cui si fa esplicito riferimento al sesso, all'omosessualità e al travestitismo, con personaggi scandalosi ed estremi, vende migliaia di copie scalando le classifiche inglesi e americane. Siamo nel 1972 e la rivoluzione sessuale è solo faccenda di pionieri.

Walk On The Wild Side ha di per sé una genesi suggestiva. Ispirata all'omonimo romanzo del 1956 scritto da Nelson Algren che Andy Warhol intendeva mettere in musical, viene "trasformata" da Reed in canzone. Dall'originale ambientazione a New Orleans la ricollocò a New York sostituendo i personaggi di Algren con una galleria di figure tratte dai film e dalla Factory di Warhol, come Holly e Candy, due travestiti che recitavano nei suoi film, Sugar Plum Fairy soprannome di uno spacciatore che occasionalmente frequentava la Factory e Little Joe, che altro non era che l'attore Joe Dallessandro, macho sex symbol di film come Trash ed Heat. Con Walk On The Wild Side, Lou Reed descrive personaggi di un mondo che la gente trovava affascinante e misterioso. "Fatti una passeggiata sul lato selvaggio" era un modo di dire un po' provocatorio a New York ai benpensanti di avventurarsi in posti sconosciuti e viziosi. Alla gente piaceva chi si era inoltrato nella parte selvaggia della città (o della vita) e ne era tornato sano e salvo. Lou lo aveva fatto.

 

 

70's FLOWERS

      Per tutti gli anni settanta Lou Reed rimase un modello di trasgressione ma anche di violenza sonora e di innovazioni soniche, e quando la quiete subentrava alla tempesta c'erano vinili come  Coney Island Baby (1976) che dietro il testo sadico e brutale di Kicks (un rapporto sado-maso protratto fino alle estreme conseguenze) celava delle calde ballate dai toni dolci con cui raccontare lo spirito gay che albergava a New York o almeno nella zona del West Village.Canzoni sull'amore e l'amicizia al suono di un rock melodico che traeva spunto dal soul newyorchese anni '50, dal doo-woop dei tanto amati Dion & The Belmonts,dal lavoro di Jack Nitzsche negli arrangiamenti e con la lenta e affascinante Coney Island Baby dedicata espressamente a Rachel, il vistoso travestito con cui Lou visse per gran parte degli anni settanta. Lo stesso trans, disegnato a tinte forti,labbra vogliose e sigaretta pendula,è sul retro copertina di Sally Can't Dance (1974), party record poco amato dai fans per le sue aperture funky e dance sfacciatamente glam, troppo molle per piacere ai fans ma primo e solo Top Ten della sua carriera, giunto sugli scaffali a ruota dell'ostico e tetro Berlin (1973). Lì si racconta la storia di una coppia di tossicodipendenti americani trapiantati a Berlino, Jim e Caroline ed il loro travaglio sentimentale tra droga, dipendenza, perversioni sado-maso, crudeltà domestiche e violenze psicologiche, "E' una storia- ha affermato Lou Reed- di gente che esisteva negli anni '70, non solo a Berlino ma ovunque. Molti mi sconsigliarono di fare un disco su una storia così violenta ed angosciante ma finalmente traducevo quello che mi aveva insegnato Delmore Schwartz, fare delle pop songs con storie vere, tragiche, drammatiche". Orchestrato e arrangiato,(nel 2006 ne farà una trasposizione live in un teatro di  Brooklyn con cori ed orchestra, da cui disco e film, Berlin: Live at St.Ann's Warehouse),Berlin  risente della cultura teatrale mittleuropea, in particolare del cabaret tedesco di Kurt Weill e Bertolt Brecht, l'atmosfera è plumbea, cupa, funerea, in The Kids il pianto straziante dei figli portati via alla madre Caroline, junkie e prostituta, e affidati al padre, sono tra le cose più raccapriccianti ascoltate in un disco di rock. Un album angosciante come pochi, ma lucido nella rappresentazione di un ambiente che negli anni settanta conobbe morti, disperazione e follie, il prologo di una generazione distrutta dalla droga e dall'Aids.

Due anni dopo Berlin,  Lou Reed rincarò ancor di più la dose in quanto a provocazioni sonore, obbligando la Rca a pubblicare Metal Machine Music, una stridente cacofonia di distorsioni e suoni elettronici che dura 64 minuti ma non finisce mai perché l'ultimo solco, uno scricchiolio, si ripete all'infinito, come se la puntina  "saltasse" sul vinile. La rivista Rolling Stone lo votò come il peggior disco dell'anno e furono migliaia i dischi riconsegnati ai negozi, tanto che la casa discografica fu costretta ad applicare in copertina uno sticker con scritto: questo non è un disco cantato.

Beffardo e sarcastico, Lou Reed non ne fu affatto turbato, quasi volesse con quel lavoro cancellare l'immagine pop che gli aveva cucito addosso Transformer. Scrisse: "alla maggior parte di voi questo disco non piacerà, non vi biasimo, non è per voi. Una mia settimana vale un vostro anno". Amen.  Lo si poteva benissimo perdonare, se non altro perché nell'impossibilità di portare on tour un'opera scabrosa come Berlin, il manager e produttore Dennis Katz aveva allestito il Rock n' Roll Animal Tour  con gli stessi musicisti. Ne uscì un album fenomenale, la quintessenza  del sound degli anni settanta in tutta la loro violenza e febbricitante eccitazione. Rock n'Roll Animal (1974), ancora oggi svetta come  il live più devastante nell'ambito di un rock metropolitano potente e cruento, nervoso e tossico, che si divide tra scudisciate metalliche e  ballate da scimmia sulla schiena. Sentire ancora oggi quella band che suona col coltello tra i denti, quella vertiginosa escalation di Rock n'Roll col duello al calor bianco delle chitarre di Dick Wagner e Steve Hunter, mai più così risolutori, ed il basso di John Prakash che pompa ossesso, sono brividi alla schiena come fosse la prima volta, il trionfo di una jungleland urbana priva di qualsiasi orpello romantico,  pura energia  rock che esce dalle viscere della città e diventa salvazione di un esercito di mutanti in cuoio nero che ha come ultima spiaggia una sferragliante violenza elettrica  dai risvolti nichilisti. Altro che Sex Pistols,non ci sarebbe stato bisogno del punk se il rock della negazione si fosse espresso sempre a quei livelli. Un disco pericoloso,contagioso, da maneggiare con cura, un titolo esemplare,una registrazione ottima per l'epoca ma una operazione discografica discutibile: perché dividere quell'incredibile ed irripetibile show  all'Howard Stein's Academy di New York in due dischi singoli? Rock n' Roll Animal appunto, con l'indimenticabile Intro che sfocia in Sweet Jane e poi chiude la prima facciata con la terrificante Heroin, e la seconda con White Light/White Heat, Lady Day e l'apoteosi di Rock n'Roll,  e l' altro capitolo,tratto dallo stesso concerto e pubblicato come Lou Reed Live nel 1975 con Walk On The Wild Side, I'm Waiting For My Man, Vicious, Satellite of Love, Oh Jim, Sad Song. D'accordo le lunghezze ridotte consentite dal vinile, ma non si poteva forse  farne un doppio album, pratica così diffusa in quei giorni di grandi album dal vivo. Nemmeno le varie edizioni in CD hanno rimediato a ciò, rimettendo l'intero show in un unico supporto.

      

    Se la prima metà degli anni settanta vide Lou Reed assurgere a Principe Nero di New York, il resto della decade non fu certo una passeggiata nel parco. Così la racconta Lou Reed " dopo Metal Machine Music ero stato citato a giudizio da un manager e dal fratello produttore, non avevo soldi e non avevo chitarre, i roadies se le erano portate via non avendo ricevuto i pagamenti, ero indebitato con tutti, anche col sindacato dei musicisti. La Rca mi aveva sistemato al Gramercy Park Hotel, lì c'era la Rolling Thunder Revue pronta a partire in tour ma io non stavo andando da nessuna parte se non dai sindacati, dagli avvocati e dai contabili per cercare di tirarmi fuori dal casino in cui mi ero cacciato. Ero tra l'altro inadempiente ad una ingiunzione del giudice perché non pagavo le tasse da cinque anni. Poi Ken Glancy, che era il presidente della casa discografica e anche mio amico mi fece promettere di non fare un altro Metal Machine Music , di scegliermi uno studio e di fare un disco di rock. E così ho fatto". Fu l'ennesima ripartenza per Lou Reed, la terza dopo i VU e Walk On The Wild Side, proprio a metà della decade Coney Island Baby, un disco praticamente perfetto, sparse armonie, accordi semplici, ritmi maliziosi, chitarre nitide e precise ma anche magistrali colpi di rock, oltre a quella Kicks  che evocava il secondo album dei VU e contrastava con l'apparente quiete dell'album. Che i toni si fossero smussati lo si capì pochi mesi dopo quando venne pubblicato Rock n' Roll Heart (1976), l'equivalente di una seduta dallo strizzacervelli in una clinica di riabilitazione,disco troppo sedato per chi solo un anno prima cantava di sadomasochismo e sottomissione con la leggerezza  di chi fa sembrare tutto così pulito anche se c'è così tanto sporco. Fu Street Hassle  nel 1978 a rimettere le cose a posto, un disco per certi versi innovativo e a tratti perfino sperimentale, una sorta di ritorno alle sonorità dei VU con l'introduzione del violoncello e i morsi di un dissonante ed imbastardito rhythm and blues metropolitano. Lou gioca sui doppi sensi, in I Wanna Be Black attacca in modo irriverente il politically correct dell'intellighentzia bianca che sbava attorno alla cultura nera, in molte tracce del disco compare il sassofono, Real Good Time Together  è ripresa dal repertorio dei VU in  risposta alla versione che ne stando il Patti Smith Group nei suoi concerti, c'è anche un cameo di Springsteen ma dimenticatevi il romanticismo da backstreets, qui Reed è l'osservatore cinico delle strade di New York che rinfaccia al ragazzo le responsabilità nei confronti della sua ragazza morta sull'asfalto per un overdose. Nera la copertina, nero il sound, Street Hassle  è una New York convulsa e pericolosa,il cui suono sale dal Cbgb. Il suo rumore musicale e qualche schizzo sonoro avanguardistico fanno pensare alla trilogia berlinese di David Bowie e forse non è un caso che il seguente The Bells  sia registrato in Germania con una nuova tecnica "biacustica". Il nuovo disco non ha lo stesso focus del precedente ma la band è la stessa con l'aggiunta di Michael Fonfara alle tastiere.  Giunto in un periodo di diete biologiche e passeggiate nei boschi del New Jersey, dopo che Reed aveva abbandonato droghe,l'appartamento di Christopher Street a New York ed il compagno/a  Rachel, The Bells  tenta con risultati non sempre all'altezza di erigere una ambiziosa opera gotica  su colpa, salvezza e pentimento. L'autore occhieggia al jazz appellandosi alla tromba di Don Cherry, non è una furba trovata ad effetto perché il jazz è sempre stato nel cuore di Reed, da Strange Fruit di Billie Holiday ad Ornette Coleman ed Albert Ayler. Per non parlare di bluesmen come Muddy Waters e Robert Johnson, poco evidenti nella sua opera ma comunque ammirati, citati a più riprese, come Dylan e i romanzieri Melville e Raymond Chandler.

Testimonianza delle sue uscite pubbliche di quegli anni a cavallo del punk, è il doppio live Take No Prisoner, lontano anni luce dalla  crudezza e dalla veemenza di Rock n'Roll Animal, registrato al Bottom Line di New York nel '78 con una band che mastica funky ed un rock urbano sporco e grasso, niente metallo urlante, piuttosto sax, piano elettrico, synth e basso nigger come fosse un ensemble di jazz-rock. I Wanna Be Black  è la fotografia di quel sound anche se persistono i classici del passato e la copertina a fumetti fa pensare a Tanino Liberatore e al suo Rank Xerox il Coatto.

 

 

DIETRO LA MASCHERA

Con quel live si chiude un'epoca, gli anni ottanta al confronto delle due decadi precedenti sono per Reed un po' miseri, considerata la smorta sequenza di album come Growin' Up In Public (1980), Legendary Hearts (1983), Mistrial (1986), pallide copie di un rock sovversivo adesso piuttosto annacquato. Nel 1980 Lou Reed sposa la designer inglese Sylvia Morales,da cui divorzierà dieci anni più tardi e a cui dedicherà alcune canzoni, pur mantenendo il matrimonio lontano dalle luci della ribalta. In questi anni Reed diventa testimonial della nuova Honda Nighthawk, in Legendary Hearts  c'è difatti un casco da motociclista in copertina ma l'evento che più conta a livello musicale è la conoscenza del chitarrista newyorchese Robert Quine, transfugo dai Voidoids di Richard Hell. Lo conosce grazie alla moglie Sylvia e con lui realizza l'eccellente The Blue Mask (1982), art-work di copertina vagamente Transformer  opera della stessa moglie. In The Blue Mask  c'è il ritorno in campo di un classico ed essenziale quartetto rock n'roll (Fernando Saunders al basso e Doane Perry alla batteria) con Robert Quine protagonista di un sound urbano asciutto, tagliente,squisitamente newyorchese. Alcune canzoni lasciano il segno come in passato,The Gun, The Blue Mask, My House e Waves of Fear, nella quale confida i suoi attacchi di panico dopo la rinuncia a droghe ed alcol e The Day John Kennedy Died e The Heroine, due episodi in cui Lou Reed, a partire da uno degli eventi più traumatici della storia americana,fa uscire una consapevolezza politica mai evidenziata in precedenza . Al contrario New Sensations  del 1984 è un furbo lasciapassare per infilarsi in  MTV dalla porta principale. Il video di I Love You Suzanne entra nella heavy rotation di MTV e l'autore confessa di volere ora "un certo suono sentito alla radio", per accaparrarsi le nuove generazioni. I fans lo ignorano, in copertina  Reed gioca con un joystick davanti alla Tv, qualcuno afferma che si è bevuto il cervello. Ma sono tempi così. La produzione è in linea con l'intento, ci sono chitarre e sintetizzatori, fisarmoniche e violini elettrici, basso e contrabbasso, di tutto e di più per rendere il suono più "complesso", anche i fiati dei fratelli Brecker. Ad essere sinceri, siamo a metà anni ottanta e avete presente le tastiere della E-Stret Band ?,tanto per fare un esempio eclatante, il disco non è così paraculo, in quel periodo asfittico di musica di plastica e arrangiamenti supervitaminizzati,  anche New Sensations  sembra rock n'roll. Forse è solo un miraggio ma non nego di averci ballato sopra a qualche festa. Per rivedere la luce bisogna  aspettare il 1989 ed è luce abbagliante. New York arriva come un fulmine a ciel sereno, quando meno te lo aspetti. E'un capolavoro già dal primo ascolto, scarno, agro, povero di strumenti ma ricco di emozioni. Con il chitarrista Mike Rathke (nel frattempo si era conclusa l'amicizia con Quine), il basso e contrabbasso di Rob Wasserman e la batteria di Fred Maher (produttore del disco) Lou dipinge l'amaro affresco di una città in decadenza morale, tra declino e contraddizioni, ricchezze spropositate e corruzione politica da una parte e homeless e malati di Aids dall'altra. New York appare una città cupa di senza casa e senza speranza, di pregiudizi razziali ed ingiustizie sociali, un quadro cinico e veritiero della sua città,un album in bianco e nero che catapulta di diritto Lou Reed nella letteratura americana del secolo scorso, a fianco di Walt Whitman, Edgar Lee Masters, Raymond Chandler.  "Un disco da leggere, un libro da ascoltare" è scritto sulla copertina dell'album, opera cruda e dai colori lividi, "album di rabbia e compassione, di ricerca spirituale e schietto realismo"( Daniele Federici,Le Canzoni di Lou Reed, Editori Riuniti). Viene concepito subito dopo la scomparsa di Andy Warhol nel 1987 ed è il primo atto di un'opera al nero o trilogia del dolore in cui Reed ricompone una visione morale della vita,  differente dagli eccessi che avevano contraddistinto il suo passato. Dopo New York è Andy Warhol al centro della sua poetica. Ignorato per non essere stato invitato al matrimonio di Lou con Sylvia, Warhol scrive parole amare nei suoi confronti, rese pubbliche dai  Diaries  ma la sua improvvisa morte, il 22 febbraio del 1987, induce Lou a ritornare su una vecchia amicizia e scrivere un degno epitaffio al suo mentore. Con l'ex VU John Cale dà il via ad un progetto di musica, parole e filmati a lui dedicati che viene presentato all'Opera House della Musical Academy di Brooklyn il 30 novembre dell'89. Nell'ultima serata sale sul palco anche Maureen Tucker in una sorta di estemporanea reunion dei Velvet Underground. Una serata speciale perché da lì nasce l'idea del disco in memoria di Warhol e lì germoglia la vera reunion della storica band. Cosa  che si concretizzerà tre anni dopo quando in occasione dell'inaugurazione della Andy Warhol Exposition promossa dalla Fondazione Cartier a Joiy- en-Josas, periferia di Parigi, ai tre si unirà il chitarrista Sterling Morrison per eseguire dal vivo Heroin. Riallacciati i rapporti e messi da parte gli antichi dissapori, i quattro VU si cimenteranno in un rischioso tour europeo testimoniato da un disco ed un video (Live MCMXCIII), progetto che mostrerà presto prevedibili limiti di coesistenza, sfumando (complice l'improvvisa morte per infarto di Morrison) ancora prima dell'appendice americana del tour. Dalle serate all'Opera House di Brooklyn maturerà Songs For Drella (1990)lavoro a quattro mani di Reed con Cale in cui la parabola artistica ed umana di Warhol verrà cantata con musica trepidante ed intima, al confine tra minimalismo, classicità e avanguardia, una sorta di musica da camera semielettrica segnata dalla viola di Cale e dalle chitarre di Lou. Lavoro unico e originale, accolto positivamente da critica e pubblico, nonostante l'assenza di brani radiofonici. Con Magic and Loss (1992),ultimo capitolo della trilogia, l'esplorazione di Reed nel dolore si spinge oltre, almeno per un'opera rock, un'audace e commossa incursione nelle sofferenze e nell'agonia di due amici malati di cancro, il compositore e musicista Doc Pomus, ed una non meglio identificata Rita che molti dicono essere Rachel, il suo compagno/a degli anni settanta. Il viaggio nella sofferenza si compie in quattordici tracce che parlano di amicizie e sentimenti attraverso il dolore e la morte,riuscendo comunque a trovare magia anche nel dramma. Il sound è anche qui scarno e asciutto, in pratica il quartetto di New York  con Michael Blair al posto di Fred Maher e di una occasionale Moe Tucker. E' un Lou Reed più adulto, umano e responsabile quello che esce da questa trilogia, un musicista che riesce a coniugare la semplicità del rock con un punto di vista da vero intellettuale ed una sensibilità da raffinato poeta, un artista capace di una precisione incredibile nel visualizzare la parola. Anche la storia recente, sebbene meno ricca di colpi di scena e di popolarità, testimonia di un' artista mai pago nella ricerca di nuovi territori espressivi, coinvolto sempre di più nella poesia e nel teatro (POEtry con Robert Wilson), nella letteratura (l'adattamento rock di The Raven di Egar Allan Poe), nelle arti figurative e nella fotografia (si veda a proposito Rimes/Rhymes e Lou Reed's New York). La musica rimase comunque al centro della sua multiforme curiosità e negli anni novanta due album ribadirono la sua vivacità espressiva e la sua attitudine rock. Il violaceo Set The Twilight Reeling  arrivò dopo la fine del suo matrimonio con Sylvia ed il fallimento della riunione dei VU e corrispose, più o meno, alla nuova relazione con Laurie Anderson (conosciuta nel 1992 a Monaco durante il Festival in ricordo delle vittime della Notte dei Cristalli del 1938,che segnò l'inizio dell'Olocausto) a cui il disco è dedicato. Un lavoro rilassato privo della tensione emotiva che avevano avuto New York e Magic and Loss ma piacevole e con New York al centro dell'attenzione, questa volta vista nei termini di qualcosa che continua ad esercitare su di lui un richiamo ed un fascino irresistibile.  Il disco è chiacchierato soprattutto per la presenza di Sex With Your Parents (Motherfucker) Part II, titolo che non ha bisogno di traduzione, dove con parole al vetriolo e con rabbia  Lou riversa il proprio livore contro una serie di decreti varati dal Senato americano per la tutela degli adolescenti e la salute dei cittadini, in pratica l'imposizione dell'assurdo Parental Advisory  sui dischi contenenti insulti e parolacce, manifestazione dell'ondata di ipocrita  puritanesimo che attraversava e attraversa gli Stati Uniti. Un altro brano invece, Finish Line, offre lo spunto a Reed di ritornare sul rapporto di amore/odio che nutriva verso il chitarrista dei VU Sterling Morrison, ora deceduto, raccontato attraverso la metafora di una corsa che ha per traguardo la morte. Ma è Ecstasy  ad ottenere consensi di critica e pubblico,una estremizzazione del sound spigoloso e distorto di Set The Twilight Reeling  tra un minuetto noise ed un lirismo urbano ancora coinvolgente ed emozionante pur rapportato ai tempi che cambiano . Spiega lo stesso autore, "l'estasi è intesa nella sua accezione greca ovvero essere fuori di sé, così da raccontarla attraverso persone che l'hanno sperimentata o che la cercano, liberandosi dagli schemi".Con una veste sonora attualissima, Ecstasy  coglie la transizione tra vecchio (il rock classico) e nuovo (lo sperimentalismo e le frizioni grunge) attraverso un caleidoscopio di situazioni sonore, rumori,chitarre elettriche, distorsori,fraseggi acustici  e tensioni dominato dal lucido e funereo talking di Lou Reed, la cui voce è sempre più quella di un confessore al giaciglio di un morente. La stessa voce che si ritrova ancor più mortifera nel plumbeo e drammatico Lulu ,  doppio CD realizzato con la co-partecipazione dei Metallica,ispirato all'omonima opera teatrale di Alban Berg. Un disco assolutamente scomodo e difficile, dal suono tetro e pesante, ma grandioso e solenne, che sembra rivangare a tratti la urticante sperimentazione dell'eccesso intentata dai VU in Sister Ray (racconto di violenza ed autolesionismo degno di un Hubert Selby. Jr) e il melodramma autodistruttivo di Berlin. Lulu è stato rinnegato dai fan dei Metallica e ha avuto recensioni per lo più negative, conferma di un artista sui generis non omologabile, trasmette un senso di morte che non è cosa che si vuole sentire dopo una giornata di lavoro ma regala ai posteri l'ultima provocazione di un artista geniale che non ha mai voluto essere consolatorio e accomodante ma solo raccontare il lato oscuro dell'animo umano.

Lou Reed ha sicuramente ampliato le nostre vedute e la nostra percezione sulle possibilità del rock, trasformandolo in qualcosa di più reale, letterario, adulto. Non è stato un padre ma un maestro in grado di dirci senza peli sulla lingua che il rock n'roll non era solo gioia e spettacolo collettivo. Con le sue canzoni e i suoi dischi ha attraversato i tempi, li ha anticipati, prefigurati, letti e derisi con coerenza ed intatto spirito critico, spesso guardandoli a distanza con l'occhio del cronista che partecipa al dramma senza moralismi, mai barando su sé stesso. Fino alla morte.

 

 

MAURO ZAMBELLINI      

 

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Ti faccio i complimenti!,un bellissimo e articolato excursus, biografico e artistico insieme su uno dei "grandi" protagonisti del Rock.
Mi ritrovo, perfettamente nella parte conclusiva,che evidenzia l'aspetto preminente di Lou Reed messo in luce (secondo me) anche dalla moglie Laurie, nella lettera pubblica con cui lo saluta di fronte al mondo; Coerenza e Libertà Intellettuale .
Massimiliano Zerbini

Anonimo ha detto...

Mi associo al primo commento rilasciato qui sopra.Proprio ieri notte ho cominciato a leggere lo stesso sul Busca,non trovavo la tua firma ma solo quella di Denti nello spazio a lui riservato, ma qualcosa mi diceva o meglio rivelava il tuo stile ed infatti la prima parte mi sembrava proprio d'averla letta su questo blog.Bellissimo come tutti ituoi scritti!! Armando Chiechi

SoloDinamo ha detto...

complimenti, bellissimo lavoro...se ne è andato purtroppo un gran bel pezzo del r'n'roll.
l'altro giorno ho trovato in una bancarella di vinile Sally Can't Dance, vado a mettere subito la copertina originale sul mio profilo FB e scopro che qualcuno ha fatto altrettanto su youtube. Un disco che gira su un piatto, una testa finto bionda e una voce inimitabile!
addio Lou!

Claudio ha detto...

Non sono tipo da pelo nell'uovo, i tuoi scritti da sempre sono emozionalmente giusti, nella foga del narrare capita di confondere un titolo, ci si capisce lo stesso. Questo per dire che, dei tanti Lou Reed possibili, il tuo è uno di quelli in cui mi piace di più credere. La dolente nota che non posso evitare di segnalare: Fonfara c'è, in Street Hassle. Con vera stima, Claudio.

Anonimo ha detto...

Caro Mauro, ho "conosciuto" Lou Reed (e direi tanti altri grandi artisti del rock) proprio grazie ai tuoi indimenticabili articoli sul Mucchio di allora. Era il 1989avevo 16 anni e “New York” mi cambiò la vita. Senza essere stucchevole non nego che senza i tuo articoli non avrei mai amato così profondamente artisti come Lou Reed. Questo tuo ricordo così perfetto ed emozionante chiude per me il cerchio aperto proprio da te nel lontano 89. Mi auguro che avrai voglia e occasione di scrivere un libro su Lou Reed così da mettere fuori mercato le inutili quanto scadenti pubblicazione di cattivo gusto che usciranno nei prossimi mesi. Grazie.
Gianluca Serra

andrea66 ha detto...

una notte nel mio letto con la luce spenta, avrò avuto 15 anni. la radio accesa. ed all'improvviso arriva "coney island baby". and i wanted to play for the coach.... brividi.
quella notte ho fatto fatica a dormire ed il giorno dopo sono andato a comprare l'lp. ancora oggi se penso a quella notte mi viene la pelle d'oca. e poi vorrei invitare tutti a riscoprire "my house", da the blue mask, visto che, caro zambo, hai citato delmore schwarz .

bobrock ha detto...

arena di milano giugno 1980.....che figata sweet jane , real cool time together, vicious....un concerto da urlo....poi alla fine street hassle e rock n roll.....un mare di gente......e poi indimenticabile 1993 i Velvet al Forum. non ci sono parole adeguate per esprimere l'importanza e l'influenza della sua musica sulle generazioni degli ultimi trentacinque anni.
bell'articolo zambellini.......