Tre dischi che si
distinguono per la delicatezza, la grazia, i suoni tra l'acustico e
l'elettrico, la bellezza di canzoni senza trucco, make up, ridondanze varie,
dischi affatto soporiferi o zuccherosi, anzi, ricchi di bella musica e liriche
ispirate. Il primo è un tributo, categoria che non apprezzo particolarmente,
salvo quei lavori che ridanno lustro ad artisti scomparsi da tempo e
dimenticati, meritevoli di quelle
attenzioni che non hanno avuto da vivi. Non amo i tributi ad artisti ancora in
attività, grandi o piccoli essi siano, ma questo Looking Into You-A Tribute to
Jackson Browne mi ha sciolto il
cuore e conquistato, per come è stato realizzato (copertina compresa), per gli
artisti coinvolti e le loro versioni, per la calibrata uniformità del contenuto e per il fatto che qui c'è uno
dei migliori songbook dell'intero american songwriting. Felice anche per aver
rimesso sotto i riflettori uno degli artisti più meritevoli, sensibili e umani
di tutta la musica rock, oggi ancora argomento di conversazione grazie
all'opera di giovani come Jonathan Wilson e i Dawes che hanno riportato in circolazione la sua musica, il suo nome e
lo spirito della west-coast music. Sono ventitre le canzoni di Jackson Brown
interpretate, divise su due CD con tanto di libretto annesso, con belle
fotografie, note ed elenco di musicisti. Un tributo prezioso, allestito con
artigianalità sopraffina e versioni stupende, alcune riflettenti la personalità
dell'interprete, altre evocative dello stile e della dolce e malinconica voce
dell'autore Jackson Browne. Di questa
seconda schiera fa parte l'iniziale These
Days interpretata da Don Henley
coi Blind Pilot, pacata, rilassata, perfettamente in sintonia col mood del
Laurel Canyon dei seventies. Più o meno sulla stessa falsariga una rarefatta e
lenta, oltre ché splendida e notturna, Running
On Empty di tale Bob Schneider, coadiuvato da un
ensemble di chitarre, contrabbasso, batteria e pianoforte. Veramente pregevole,
come la lunga Fountain of Sorrow delle
Indigo Girls dove spicca l'impasto
vocale tra le due voci femminili ed il backing vocale al maschile oltre all'ottimo
lavoro di Chuck Leavell con piano e Hammond. Cadenze rock in Doctor My Eyes di Paul Thorn, molto simile all'originale l'uso della chitarra di Bill
Hinds e applausi a scena aperta a Jimmy
LaFave per la sua For Everyman,
un interprete che ogni volta lascia di stucco per come sa immergersi nelle
composizioni altrui, rispettandone la sensibilità e nello stesso tempo ricavandone
originalità ed emozioni. Lo conoscevo nelle sue magnifiche interpretazioni di
Dylan ma qui supera sé stesso regalando una versione di For Everyman che non ha nulla da invidiare all''originale, specie
in quel crescendo finale di violino, pianoforte e archi. Chapeau. Voce simile a
Jackson Browne quella di Griffin House
con Phil Hurley alla chitarra, Glen Fukunaga al basso e Rodoslav Lorkovic alle
tastiere, per una bella copia di Barricades
of Heaven mentre Lyle Lovett non rinuncia alla sua
nasalità e al suo appeal texano (in particolare la steel guitar di Dean Parks)
per una melodicissima Our Lady of The Well dove si fanno sentire Leland Sklar e Russell
Kunkel della stessa band di Browne ed il bravo Matt Rollings al pianoforte. Poi
Lovett si stacca dalle pianure del Texas e con la stessa band si sposta sul
Laurel Canyon e con Rosie stempera la
malinconia di un abbandono col profumo magico di quei luoghi. Ben
Harper impugna Jamaica Say You Will e
Bonnie Raitt in compagnia di David Lindley, antico compagno di
viaggio di Browne, tratta alla giamaicana Everywhere
I Go buttandola sul reggae. Tocca il cuore Eliza Gilkynson con una Before
The Deluge unplugged che è una
confessione notturna , un lirismo da brividi accentuato dal violino di Warren
Hood. Le risponde un sontuoso Kevin
Welch con una Looking Into You da scafato crooner che vale il titolo del tributo.
Lui canta, ci sono i cori, il pianoforte e l'Hammond B3, da leccarsi i baffi. Keb Mo'
apre il secondo CD con la bluesata Rock
Me On The Water, Lucinda Williams lacrima dolente in una
The Pretender intinta nella desolata e profonda
provincia della Louisiana, si rivedono Karla
Bonoff in Something Fine e Marc Cohn in Too Many Angels prima che i coniugi Springsteen faccino il loro
compitino con Linda Paloma, pezzo al
sabor mariachi, già di per sé non eccelso ma che avrebbe comunque bisogno di un po' di pachuco rock che qui manca assolutamente, e chi ha
orecchie per intendere, intenda. Il finale è all'insegna dell'intimismo, Shawn Colvin fa tutto da sola in Call It A Loan, Bruce Hornsby affronta I'm
Alive con dulcimer, mandolino, violino e chitarra acustica, Joan Osborne si perde nella malinconia
di una Late For The Sky mai così
elegiaca, JD Southern chiude con
classe (e con una tromba) con My Opening
Farewell, splendida conclusione di un tributo che dopo settimane è lì
ancora che gira nel mio lettore.
Eliza
Gilkyson già presente nel tributo a Jackson Brown è
autrice di un album di ballate notturne e crepuscolari intitolato The
Nocturne Diaries , suoni delicati e rarefatti che sfiorano il folk ed
il country ma mantengono una forte impronta cantautorale, un raffinato ed
intimista songwriting al femminile. Amo
quelle canzoni che ti vengono in mente di notte e quando le suoni all'alba
perdono un po' di quella speciale magia notturna, ecco, No Tomorrow è
un'eccezione, è quello che dice la Gilkyson a proposito di una canzone
dell'album ma racchiude tutto il senso del disco, un disco che si ascolta nel
silenzio della notte, soli e meditabondi. Eliza Gilkyson è nata ad Hollywood
più di sessanta anni fa in una famiglia d'arte, sia il padre Terry che il
fratello Tony (Love Justice) sono musicisti e anche il figlio Cisco, produttore
di questo disco, lavora nell'ambiente musicale. Eliza Gilkyson ha inciso il suo
primo lavoro nel lontano 1969 ed in questo lungo arco di tempo ha inciso solo
una ventina di album. The Nocturne Diaries è un disco
baciato dalla grazia, intenso, ispirato, dove lei racconta i suoi sentimenti ed
il suo stato d'animo trasmettendo all'ascoltatore quel particolare spirito che
si avverte e si vive soltanto di notte. Un album fatto con poche cose, nessuna
sovraincisione, strumentazione spartana, prevalenza di suoni acustici ma non
solo, canzoni semplici che arrivano al cuore. Anche qui la copertina è complice
delle suggestioni create, lei, magra, bionda, capello corto e camicia country imbraccia
la chitarra acustica attorno ad un falò nell'oscurità, i suoi diari notturni posseggono l'intimità delle confessioni ed il
fascino dei grandi spazi all'aperto.
Ultima delicatessen è quella offerta dal nuovo gruppo dei
Delines, forse il disco più elettrico tra quelli presi esame. Per usare una
terminologia vetero-rock i Delines sono un supergruppo formato da musicisti di
band americane alt-country messo insieme da Willy Vlautin, scrittore e leader dei Richmond Fontaine, il quale
qualche anno fa si è innamorato talmente della voce della cantante dei texani
Damnations, Amy Boone, da crearle un
gruppo attorno. "Ho sempre voluto lavorare con lei fin dal
primo giorno che l'ho sentita cantare, quando me ne ha dato la possibilità ho
colto la chance e ho passato un anno a scrivere canzoni per lei, canzoni come
la sua voce". L'idea nasce nel 2012 e Colfax è il risultato di quel colpo di
fulmine, un disco dove assieme alla Boone e a Vlautin troviamo la tastierista
dei Decemberists, Jenny Conlee, la pedal steel di Tucker Jackson dei Minus 5 ed
il batterista dei Richmond Fontaine Sean
Oldham, un combo assemblato nel milieu musicale di Portland, Oregon che unisce
una consumata attitudine indie con provate esperienze nell'ambito dell'alternative
country e del roots rock. Un gruppo che proprio per essere sommatoria di
diverse personalità sfugge a facili catalogazioni e mostra un appeal davvero
intrigante. Se Willy Vlautin porta in dono una scrittura profonda e
particolareggiata, è la voce di Amy Boone, bella, cristallina, soulful, a
caratterizzare il lavoro d'esordio, una voce che si appiccica addosso e vi
conduce in un universo notturno dove si avvertono le suggestioni di un vecchio
film noir, l'eco di una Ricky Lee Jones, l'ombra dei primi, onirici Cowboy
Junkies, così come degli Spain
più impalpabili e jazzy e degli eterei
Mazzy Star. Colfax è costituito da ballate
avvolgenti e affascinanti, suoni misurati tra contemplazione e ruvidi sussulti
elettrici, con la pedal steel ad evocare i grandi spazi dell'ovest ed un
intreccio strumentale che orchestra una atmosfera sospesa tra sogno e realtà,
tra la notte che se ne va e i primi bagliori dell'alba, in una città vuota e
ancora addormentata. Il decor minimalista e splendidamente desolato dei
Richmond Fontaine è evidente, anche se la voce di Amy Bonne allenta la
crepuscolare tristezza di cui sono portatori, e le storie scritte da Vlautin
per Colfax
sono storie moderne viste
attraverso le lenti del country-soul, del folk-jazz e della roots music,
cantate con una voce che viene dall'anima, vulnerabile ed intima, a tratti,
come in Flight 31 addirittura
esausta. Canzoni come Stateline, I Got My
Shadow, I Won't Slip Up fanno
pensare alle grandi cantautrici degli anni settanta, ma tra struggenti
malinconie (The Oil Rigs At Night), e
scampoli di jazz classico (Sandman's
Coming) c'è un mondo poetico di moderno folk urbano che vale assolutamente
la pena esplorare.
MAURO
ZAMBELLINI
7 commenti:
3 belle recensioni! 3 dischi da comprare! Dato che ci sono: ho preso il primo di jake bugs.! Bellssimo! Se non si perde per strada puo diventare un grandissimo
Andrea Badlands
E per quel che riguarda certi suoni"West Coast" and Laurel Canyon oriented io ci metterei pure l'ultimo lavoro di Beck: "Morning Phase" che per quanto paga tributo ai suoni West coast non è affatto derivativo e mantiene una sua identità!!!Il tributo a Jackson Browne spero di prenderlo quanto prima e i The Delins li trovo fantastici!!!!Armando (Ba)
The Delines:Pardon!!!Armando
d'accordo con te, Armando, su Beck ma con questo piccolo pezzo volevo segnalare lavori "minori" per quanto riguarda la distribuzione discografica, fuori dalle grandi etichette
Si certo, infatti speravo di non essere frainteso!Buon lavoro (Armando)
Ottima selezione Zambo, mi ritrovo soprattutto sui primi due. Anche io non ho mai digerito troppo i tribute album...soprattutto ai vivi, ma questo di Jackson Browne ha un suo fascino indiscutibile.
Qualche riserva invece sui Delines che ho ascoltato in questi giorni: alcuni brani di grande fascino (l'ultimo è splendido), ma anche un po' "pesantuccio" e tutto appiattito sulle stesse atmosfere...problema che hanno talvolta anche i Richmond Fontaine ;-)
i Delines fanno parte di quei gruppi che giocano sulla omogeneità delle atmosfere, come gli Spain ad esempio o certi Cowboy Junkies, alla fine possono sembrare un po' monotoni ma creano una situazione di ascolto ipnotica e sognante, una sorta di low-fi ambient ai confini tra il folk, la roots e il jazz. Ci sono momenti che sono sublimi e alcune canzoni ti portano in un mondo notturno di grande fascino, e poi la voce di Amy Boone è ammaliante.......Colfax non sarà un capolavoro ma dopo la mezzanotte è un disco perfetto, da vampiri che sognano una musica senza tempo
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