Basta guardarsi una cartina stradale e ci si rende conto di come vanno le cose specie se la geografia che ci interessa è quella americana. Tra un reticolo di highways e freeways che corrono da est a ovest, da nord e sud, c'è tutto un dedalo di strade minori che la letteratura americana ha battezzato come blue highways, termine per designare le strade secondarie e poco frequentate tipiche dell'America interna e rurale, un tempo tracciate in blu sugli atlanti della Rand McNally, la bibbia stradale Usa. Non sono le più piccole, per quelle bisogna ricorrere a Strade Blu di William Least Heat-Moon o a qualche libro sugli Stati Uniti del nostro autorevole Mario Maffi, ma servono come riferimento culturale per chi voglia osservare l'America (ed il rock) in maniera orizzontale. Nel rock, almeno quello che piace a noi, c'è il mainstream e poi i percorsi alternativi, le blue highway come le chiamò Graham Parker in una sua bellissima canzone, musica estranea ai grandi laboratori di registrazione di Los Angeles e New York, strade provinciali dove il rock pulsa con quell'ardore e quel genuino entusiasmo che nei piani alti spesso evaporano. Di solito è la provincia la più prolifica in tal senso, lungi dal volere fare retorica, oggi scene musicali, anche periferiche come l'alternative country di un decennio fa, non ne esistono, per cui bisogna accontentarsi di barcamenarsi tra le cose più valide del mainstream, troppo spesso tiepido, e qualche fiammata che arriva dalle strade minori, quando queste non ripropongono clichè triti e ritriti o semplici imitazioni. L'estate del 2014 climaticamente parlando è stata una merda, almeno alle latitudini dove vivo io, per fortuna la produzione di rock americano ha alleviato lo spirito contro bombe d'acqua, trombe d'aria, acquazzoni tropicali, piogge autunnali. Il mainstream ha fatto il suo dovere in maniera dignitosa, sono usciti il disco di Eric Clapton, The Breeze, dedicato a J.J Cale, Hypnotic Eye di Tom Petty and The Heartbreakers, Live at Town Hall di John Mellencamp, pur essendo questo un concerto risalente al 2003, Terms of My Surrender di John Hiatt, tutti dischi apprezzabili almeno per quanto mi riguarda, e neppure le blue highway sono rimaste asciutte. Con l'immensa e spesso inutile produzione discografica è arduo districarsi nella giungla delle strade blu, la ridondante proliferazione di nomi e album che a volte brillano solo per qualche canzone, non aiuta alla selezione a meno di non avere un portafoglio gonfio al riguardo o passare la vita accanto al computer per downloading e Spotify.
Ma questa è la serie B, prendere o lasciare, convulsa e imbottita di nomi che a volte fanno solo il verso a qualcuno di più famoso, comunque vitale per capire cosa accada dietro le quinte e cosa bolle nel sottoscala, che idee ed entusiasmo circolano a fianco del mainstream. Tra la primavera e l'estate di questo 2014, mi è capitato di imbattermi in diversi album che hanno superato la prova del 3 ascolti filati e poi via tra gli scaffali a morire di polvere. Album magari ancora acerbi ed imperfetti ma in qualche modo portavoce di un fare rock sincero e fresco, dischi almeno interessanti ed in grado di scaldare quel tanto che basta i lunghi pomeriggi di questo autunno chiamato estate. Da primi sono arrivati i Lake Street Dive che con il loro Bad Self Portraits hanno portato una ventata di aria fresca ad una stagione che non ne aveva bisogno. Quattro nerds, due ragazze e due ragazzi, incontratisi al New England Conservatory di Boston poi convertitesi al jazz grazie alle virtù canore e strumentali della cantante e contrabbassista Bridget Kearney, versione da buona borghesia bostoniana di Amy Winehouse con un pizzico della nostra brava Alessandra Cecala, infine finiti a suonare dalle parti di Brooklyn una sorta di free-country con innesti di soul, pop, jazz, gospel, old-time music. Fossimo negli anni ottanta i LSD sarebbero stati arruolati in quella corrente di absolute beginners inglesi che movimentarono la scena pop col loro intellettualismo jazzy e i loro modi cool, ma siamo nelle blue highway americane e allora la loro musica si impolvera di radici e blues, fa venire in mente i bravi Alabama Shakes ma strizza l'occhio anche ai Mama's and Papa's e ai Beatles per via delle armonie vocali. La strumentazione è quella di un combo tra jazz e grass, più acustico che elettrico, le canzoni sono ammalianti ed hanno uno spumeggiante pop-appeal, i testi spaziano dal sesso frustrato alle confusioni affettive, le armonizzazioni vocali arrivano a lambire il doo-wop ed un antico fascino da combo folk-rock si stempera in una esecuzione sbarazzina ma non banale. I LSD, pur avendo alle spalle un altro disco ed un video, posseggono lo stile per poter diventare un prodotto di moda caro al pubblico urbano degli happy hours, se supportati adeguatamente dalle stazioni radio, prima che ciò avvenga procuratevi Bad Self Portraits, sentitelo un paio di volte e poi stappatevi un Prosecco D.O.C. E' la musica giusta per una euforia light.
Più muscolari e maschili, i Reigning Sound attingono al bacino musicale di Memphis per crearsi
un garage soul-rock che pur moderno e aggiornato ha il cuore delle vecchie
incisioni dei Box Tops, dei dischi di Alex Chilton e dei Big Star, degli Ardent
Studios. Attitudine garage per canzoni che hanno la melodia del pop inglese dei
sixties ed il suono del R&B
memphisiano, mica male per un'estate piovosa. Canzoni da tre minuti tre, una
voce calda e armoniosa, quella di Greg Cartwright, cantante e chitarrista, un
collettivo che gioca d'assieme senza gerarchie pur essendo Cartwright e
l'organista/pianista Dave Amels, un piccolo Booker T., le due punte della
squadra. Sono un quintetto con agganci newyorchesi (quattro facevano parte del
gruppo soul di Brooklyn The Jay Vons) e alle spalle un paio di incisioni, il
nuovo Shattered focalizza meglio di tutte la loro fisionomia musicale.
Pop, country- soul, rock, spruzzate
acide, tastiere psycho-beat alla Doors, omaggi a oscure garage band di Memphis
come Shadden and The King Lovers, i Reigning Sound non tralasciano nulla per
cantare la loro ode alla città di Elvis passando per la Stax e gli Ardent
Studios. Candidi a volte, sporchi altre, certo ancora acerbi in qualche traccia
ma frizzanti nella loro moderna visione del r&b, i Reigning Sound cantano
con voce arrendevole di cuori infranti, perdite, rimpianti, senza piagnucolare.
Sono visi pallidi con il soul nelle vene, quel soul garagista che unisce
Memphis con la Belfast dei Them di Van Morrison.
Legati
invece ad un contesto rurale sono la Ben
Miller Band, trio balzato all'onore
delle cronache per aver supportato gli ZZ Top nel recente tour. Per produrre il
loro nuovo album si è mosso Vance Powell, uno che ha lavorato con Jack White,
Kings of Leon, Wanda Jackson, il quale negli studi Sputnik di Nashville ha
messo a punto Any Way, Sharp or Form, titolo che fa riferimento alla loro
predisposizione nell'utilizzare qualsiasi mezzo necessario per suonare e
comunicare con una canzone. Sono in tre, barba, baffi e aspetto da montanari,
vengono dalle lande di quel desolato e appartato Missouri che ha fatto da
sfondo alla pellicola Un Gelido Inverno (Winter's Bone) ma non sono bruschi,
rozzi e cattivi come i personaggi di quel film, sono dotati di ironia e piglio
ribaldo e con una filosofia "fai da te" ricompongono l'intera gamma
delle musiche povere del sud attraversando folk, country, hillbilly e mountain
music con un approccio originale e senza pretese, di basso profilo visto che si
avvalgono di strumenti inventati e costruiti da loro stessi. Uniscono lo
spirito del rock n'roll da bettole all'energia frenetica del bluegrass, l'anima down-home blues del
Delta allo spirito stregato della musica degli Appalachi coniando una personale
ricetta che hanno soprannominato Ozark
Stomp, in virtù del fatto che la loro origine è nella regione delle Ozark
Mountains.
Pur essendo solo in tre, Ben Miller, Scott
Leaper e Doug Dicharry assemblano un sound arrembante lavorando con gli arnesi
della tradizionale american music, il loro contagioso stomp possiede la ruvidezza dei primi 16 Horsepower, la follia
iconoclasta di Slim Cessna'Auto Club e l'energia delle band del nuovo bluegrass tipo gli Old Crow Medicine
Show. Nel loro carnet c'è spazio
anche per ballate e malinconia ma danno il meglio di sé nei brani tesi e
scalpitanti, Ben Miller è un dinamico chitarrista acustico, Scott Leaper suona un
contrabbasso ad una sola corda ottenuto infilando un manico di scopa in un
secchio di metallo (one string washtube bass),
Doug Dicharry si occupa di un universo dove compaiono cucchiai, assi da lavare,
rullante, tromboni, trombe, tamburi e mandolini, il loro eclettismo risalta in 23 Skidoo, esempio di come la band
sappia condensare in unica traccia la old time music di Leon Redbone, il
dixieland jazz delle marching bands e
la musica havaiana.
Sulle
strade d'America è nata e si è muove Alynda
Lee Segarra, voce di un combo di New Orleans chiamato Hurray For The Riff Raff. Lei è una ragazza portoricana cresciuta
nel Bronx da una zia, diventa un riot
grrrl nel Lower East Side di Manhattan e a diciassette anni se ne va di
casa per saltare come un antico hobo con la sola chitarra sulle spalle sui
treni merci in giro per gli Stati Uniti. Si unisce ad un gruppo di musicisti
itineranti, la Dead Man Street Orchestra, con cui canta, suona il banjo e
gratta l'asse dal lavare, e con loro viaggia e suona nelle strade delle città
incontrate nel loro peregrinaggio. Finisce a New Orleans e lì si adopera per un
nuovo progetto, conosce altri musicisti a si mette a suonare dal vivo
scegliendo come nome della band quel Hurray The Riff Raff che sta un po' come viva la feccia, gli emarginati, i vagabondi,
i non allineati. Dal 2007 allineano una consistente discografia, fino ad
arrivare a Small Town Heroes titolo che rimanda alla discografia di John
Mellencamp ma nelle intenzioni dell'autrice è una sentita dedica a New Orleans,
una grande città con le caratteristiche di un piccolo paese. Il suo nuovo album
costituisce una re-immaginazione femminista della canzone di protesta folk e
della musica da strada americana. Il titolo fa capire quale sia l'universo di
Alynda Segarra, Small Town Heroes racconta
di un'America marginale e periferica con l'occhio di una ragazza orgogliosa e
decisa che canta con la persuasione di una vecchia folk-singer un mondo che non
è mai come lo si vorrebbe. Pregiudizi, barriere, razzismi, Alynda Segarra li
combatte con la musica, il violinista della band è transgender e lei è
impegnata in difesa dei diritti degli
omosessuali, attinge da una parte alle teorie femministe e a dall'altra ad un
patrimonio di musica tradizionale che vede cantanti come Billie Holiday, Bessie
Smith, Nina Simone accasarsi con Bob Dylan, Townes Van Zandt, Woody Guthrie.
Small
Town Heroes è un disco denso di folk di strada dove c'è una interazione
tra la musica di Gillian Welch, quella di John Prine e di Furry Lewis (una
delle più caratteristiche tracce dell'album è la rivisitazione di San Francisco Bay Blues) ed il lascito
di una letteratura al femminile (Jeanette Winterson, Sampat Pal, Audre Lord) che
regala alla Segarra un marcato punto di vista critico e politico. Una delle
canzoni meglio riuscite dell'album, The
Body Electric, intensa e perfetta nel crescendo emotivo degli arrangiamenti,
trae spunto da alcune notizie di cronaca come il crescente numero di ragazze
vittime di abusi sessuali, in particolare il fattaccio successo su un autobus a
Nuova Delhi dove una donna è stata violentata e uccisa. A differenza degli
album precedenti di Hurray For The Riff Raff dove c'era un sacco di
sperimentazione nella scrittura delle canzoni e nella registrazione, Small
Town Heroes è un album diretto, asciutto, schietto, con le canzoni
correlate da un unico filo conduttore, un album intenso di una giovane
cantante/autrice/musicista avviata su quelle strade americane che sono di
Lucinda Williams e Mary Gauthier.
MAURO ZAMBELLINI
RAINY SUMMER of 2014
2 commenti:
Ho bisogno di questi articoli che permettono di districarci in mezzo ad una produzione caotica.
Se questo avviene da parte della mia
penna rock preferita,ancora meglio!!!
PS
Aggiunte e consigli...
Drive by truckers
Curtis harding
The men
Hollis brown
Hollis Brown disco molto buono ho fatto la recensione per il Buscadero, Drive By Truckers uno dei miei preferiti di quest'anno, come si evince anche dal live a Londra precedentemente scritto, Curtis Harding e The Men non conosco ma ho cercato di segnalare soprattutto roba uscita recentemente in estate o poco prima. Comunque grazie
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