C'è un titolo di un
disco di Lou Reed che esemplifica la maturazione di un'artista o di una band sul campo, growing up in public, ovvero la capacità
di un musicista o di un collettivo di musicisti di assorbire dal contatto col
pubblico e dall'esperienza live ciò che serve per la propria evoluzione, la
propria crescita, definire il proprio suono imparando l'arte dell'esibirsi
migliorando il proprio livello espressivo. E' quello che è successo alla Tedeschi Trucks Band il collettivo nato
dal matrimonio fisico e artistico tra la cantante e chitarrista Susan Tedeschi
e Derek Trucks, uno dei chitarristi emergenti più personali e creativi della
scena americana. Sebbene in pista da diversi anni, da quando alla fine del 2009
le loro rispettive band si dissolsero lasciando spazio alla nuova unione, la
Tedeschi Trucks Band ha progressivamente maturato un' amalgama da family band con un organico che è
passato da otto a dodici elementi e grazie ad una incessante attività live ha
costruito i presupposti per un disco, Let
Me Get By, che finalmente ha tradotto
in studio le loro potenzialità.
Un percorso iniziato con Revelator nel 2011 dopo che marito e moglie avevano già
accumulato ognuno parecchia esperienza. Alle spalle i due lasciavano una
illustre e significativa gavetta e parecchi dischi, Derek Trucks con la sua band poteva contare su una discografia di almeno dieci titoli tra
quelli realizzati in studio e i live, alcuni e mi va di ricordare Songlines
e Already Free tra i primi e Live at
Georgia Theatre e Roadsongs tra i secondi davvero notevoli, la bella
Susan da par suo come solista almeno sette titoli, tra cui il "nominato
grammy" Back To The River. A ciò bisogna aggiungere un tour come Soul
Stew Revival dove i due avevano mischiato le loro forze in una serie di
esibizioni prima di creare la vera TTB. Se ciò non bastasse aggiungete la
straordinaria militanza di Derek nella Allman Brothers Band, di cui lo zio
Butch fu tra i fondatori, iniziata ufficialmente nel 1999 e conclusasi col
concerto finale il 28 ottobre del 2014 al Beacon Theatre di New York. Con un
pedigree simile è facile immaginare quali fossero le aspettative di una simile fusione, due personalità musicali così
importanti e diverse tali da offrire una succosa proposta in merito ma come
accade spesso nell'arte (e nello sport)
l'unione degli addendi non sempre è pari alla somma e nel caso della TTB si è
dovuto attendere tre dischi ( in studio) e diversi anni on the road prima di
vederne i risultati. Né Revelator, ancora acerbo nella
composizione delle canzoni e piuttosto monotono nelle parti vocali, né il seguente Made Up Mind del 2013 con tutti quei versi sulla salvazione,
l' amore e la fede religiosa ma di nuovo sofferente nelle canzoni , avevano
soddisfatto le aspettative ed appagato
il gusto dei tanti cultori di quel sound che dal southern rock si espande verso il soul, il blues, il rhythm
and blues, e nel caso della TTB anche il
jazz modale, il gospel e la musica indiana. La parziale delusione era stata
mitigata dai live, il disco Everybody's Talkin del 2012 aveva
messo un po' di benzina nelle canzoni di Revelator e sfoggiato un ampio raggio d'azione in
termini di cover, spaziando dal folk di Fred Neil (Everybody's Talkin') al blues di Muddy Waters (Rollin' and Tumblin'), dal soul di Sam Cooke (Wade in the Water) al folk-rock dei Lovin' Spoonful (una magnifica
resa di Darling Be Home Soon), dal
rhythm and blues di Stevie Wonder (Uptight)
al funky-blues di Bobby Bland ( That Did It). Dimostrazione di una band,
ma sarebbe più logico definirla un'orchestra soul-blues, che non pone limiti
alla propria verve interpretativa e dal vivo è un insieme di energia, coesione,
tecnica e conoscenza. Della musica americana innanzitutto ma soprattutto di quel
triangolo sonoro che fa capo a Memphis, Muscle Shoals e New Orleans, con tutte
le derive sudiste che ne
conseguono.
Nel passare da otto
elementi a dodici musicisti che suonano e viaggiano insieme ( e non è facile
mettere d'accordo dodici musicisti ma basta
guardare la fotografia interna del loro recente album con quella posa da
family band unita e sorridente che
rimanda alla comune allmaniana di Brothers and Sisters, ) le varie
parti si sono incastrate alla perfezione, ognuno dei nuovi ha portato qualcosa
e aggiunto idee ad un sound che si è ampliato e approfondito.
La differenza con altre band del settore è proprio la chimica che si è
sviluppata all'interno, la disinvoltura
con cui suonano e la capacità di ognuno di cambiare al momento la direzione
della musica, la leggerezza delle melodie e l'ariosità delle armonie tanto da
trovarsi di fronte, come nella traccia iniziale del nuovo disco, Anyhow, a ballate che sembrano arrivare
dalla West-Coast più che dal sud. Oltre ad una sopraffina tecnica strumentale,
in primis quella di Derek Trucks chitarrista che sa evocare i toni celestiali
del maestro Duane Allman e nel contempo mettersi a disposizione degli altri, la potenza non esibita ma sostanziale di una
sezione ritmica (i due batteristi J.J
Johnson e Tyler Greenwell, il
bassista jazz Tim Lefebvre) che ha
negli Allman e nei Little Feat i progenitori, oltre alla pienezza con cui
tastiere di vario genere (il bravo Kofi
Burbridge) e fiati (tromba, trombone, sax e flauto) riempiono gli
interstizi e si prodigano in arrangiamenti originali, esotici in qualche
frangente. E poi c'è la voce di Susan
Tedeschi, che nei dischi precedenti a Let Me Get By aveva suscitato qualche
perplessità, troppo monocorde, melodiosa
ma al tempo stesso tediosa, una cantante che è stata paragonata, a torto, a
Janis Joplin e Bonnie Raitt ma sarebbe più appropriato accostare a Bonnie Bramlett,
per via che la TTB è un po' la
riproduzione della comune viaggiante di
Delaney and Bonnie and Friends. E proprio come loro danno il meglio di
sé quando salgono su un palco e allora le raffinatezze si mischiano alla
potenza, all'energia e all'improvvisazione. Provate ad esempio a rintracciare
l'esibizione della TTB al Mountain Jam di Hunter Valley, NY del giugno 2014 per
averne un assaggio oppure recuperare l'esibizione che la band fece nel 2015 al
Lockin' Festival quando vennero raggiunti in scena da Leon Russell, Chris
Stainton e Rita Coolidge per omaggiare
l'intero Mad Dogs and Englishmen di Joe Cocker.
Ma è con Let Me Get By che la TTB ha fatto il grande salto e mostra un' anima che prima veniva fuori a tratti.
Registrato nelle pause del tour del 2015 nell'home studio di Jacksonville in
Florida, un luogo rilassante proprio a ridosso delle paludi e di cui c'è
testimonianza nella lunga e meditativa Cryng
Over You quando la porta dello studio venne tenuta aperta e i rumori della
fauna locale sottolinearono la coda Swamp
Raga For Holzapfel, il disco è frutto di un lavoro collettivo sia nella
creazione delle canzoni che nella registrazione, ed un ruolo di primo piano lo
ha avuto il tastierista Kofi Burbridge,
che in uno dei tanti sound-check ha cominciato a giocare con un riff che poi ha
coinvolto tutti gli altri e indotto Susan Tedeschi e Mike Mattison a scriverne
il testo, diventando così Let Me Get By, il
titolo dell'album. Riff, liriche e
ritmiche sono nate attraverso il collaborative
recording tra i dodici e come già accaduto per Made Up Mind anche Doyle Bramhall II, chitarrista molto
richiesto in dischi di questo orientamento, è stato della partita lasciando la
firma in più parti. Oltre alla splendida Anyhow,
nel morbido blues di Just As Strange,
nella melodiosa Hear Me dove paiono i
Fleetwood Mac californiani fusi dentro il clima pastorale delle ballate country
degli Allman e nella lunga I Want More, un
pezzo che parte quasi banale, poi si carica di un incalzante ritmo Stax e
infine diventa una dilatazione psichedelica degna di Chris Robinson Brotherood
con flauto (Kofi Burbridge) e chitarre che dialogano nel cosmo.
Il pregio di Let Me Get By è l'equilibrio tra groove e
struttura delle canzoni, scorrevoli e svettanti al tempo stesso, aperte
all'improvvisazione, all'inclusione di sfumature esotiche, ai cori gospel che
fanno tanto chiesa pentecostale e a quel miscuglio sudista che frulla Bill Withers e B.B King, Muddy
Waters e Allman Bros. Band, Delaney and Bonnie e Muscle Shoals. L' estroversa chitarra di Derek Trucks viaggia tra le crudezze della slide, il
fraseggio jazz, l'arpeggio acustico, la sinuosità del sitar, il ribollente urlo
dell'assolo blues, ma è anche la voce di Susan Tedeschi ad essere stata usata
meglio nel disco, dosata con gli interventi di Mike Mattison, fondamentale cantante e paroliere della Derek Trucks
Band trasmigrato nella nuova band e artefice della lunga estatica Crying
Over You/Swamp Raga, una delle vette dell'album, e di Right On Time specie di
marcetta avvolta in una calda atmosfera brass band di New Orleans.
Pochi dischi come Let
Me Get By, almeno nell'ultimo periodo, riescono a trasmettere un senso
di pace, di serenità, di piacere che è l'altra faccia del rock. Terapeutico.
MAURO
ZAMBELLINI
5 commenti:
Recensione utile per il prossimo acquisto!!!
Armando Chiechi
L'ho preso stamane perchè non sono riuscito a pazientare qualche altro giorno. La tua recensione mi ha trasmesso un entusiasmo che si è concrettizzato a partire dalla prima traccia,appena questo dischetto ha trovato il suo ingresso nel lettore. E' vero come tu dici sopra e questo lavoro conferma appieno la maturità compositiva della coppia Derek-Susan. Le canzoni hanno una consistenza di cui mancavano i precedenti lavori e finalmente il lato strumentale ben si sposa alle liriche e le melodie per nulla ripetitive come accadeva in"Revelator".Con le dovute differenze, mi ha entusiasmato come fece a suo tempo "Already Free" del solo Derek. Potrebbe essere tra i favoriti dell'anno in corso e se queste sono le premesse il 2016 dovrebbe far l'occhiolino al 2014. Thanks Mauro.
Armando Chiechi
Disco godibilissimo, maturo e sfaccettato. Per chi ha nostalgia di Delaney & Bonnie o dei Mad Dogs è una meraviglia!!!!
Il dischetto live compreso nella deluxe ediction conferma (se ce ne fosse stato bisogno) il potenziale dal vivo di questo combo di talentuosi musicisti. Speriamo siano brevi i tempi per una loro apparizione in terra italica (già fui entusiasta della Derek trucks Band a Faenza ai tempi dell'eccellente Already Free ma ora siamo saliti ad un altro livello).
In loro attesa trepidiamo per la discesa della Brotherhood di Chris Robinson dopodomani a Milano. Musica cosmica e vibrazioni californiane ci attendono. Io non mancherò.
Paul
Non so quante zambo's heads fossero ieri sera al Fabrique di Milano (finalmente un posto adatto per la musica, altro che Magazzini Generali, Bloom e altri tuguri)ma io, cazzo, mi sono emozionato!!!
Un Chris Robinson diverso, non istrione o front-man trascinatore, ha guidato con la sua voce(questa volta al servizio delle canzoni e sopratutto del sound)un combo magnifico di musicisti ispirati, mai eccessivi o autoreferenziali, aprendo la "porta magica" al cosmico "rituale della grande luna" e facendoci godere dei frutti del "raccolto fosforescente". Per chi, come me, non ha mai avuto la possibilità di vedere dal vivo Dead, Allman o Quicksilver credeo sia stato un modo assolutamente credibile per lasciarsi trasportare dalle vibrazioni californiane e dal fluido suond jammato che la "Brotherhood" ha saputo regalare per quasi 3 ore.
Dischi come quelli della Tedeschi/Trucks Band e concerti come questo riconciliano con il grigiore e la miseria culturale che spesso affligge questo paese. Teniamoceli stretti.
Paul
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