“Il mio nome è Joe
Roberts e lavoro per lo stato, sono sergente di polizia stradale a
Perrineville, ho sempre fatto un lavoro onesto, quanto onesto possa io essere,
ho un fratello di nome Frankie e Frankie non è buono”. Questo verso apre una
delle canzoni più toccanti di Nebraska, Highway Patrolman, una desolata ballata folk all’interno del disco
più amaro di Springsteen, un lavoro cantato in solitario con uno stile
asciutto, un’opera ruvida e misteriosa sull’impossibilità del sogno americano e
di come questo fosse irrimediabilmente messo in crisi dal nuovo ordine
liberista con l’elezione all’inizio degli anni 80 di Ronald Reagan. Le dieci
canzoni del disco trattano dell’assoluta impossibilità di comunicare e
dell’isolamento che ne consegue, di quello che succede alle persone quando
vengono separate dai loro amici, dalla loro comunità, dal loro lavoro. E’ un
disco tetro, crudele, profondamente onesto, è spoglio come l’inverno, cupo come
l’angoscia che si porta dentro, netto come il bianco e nero sporcato di rosso
della copertina, un’istantanea del fotografo David Kennedy scattata su una
strada del Midwest, colta al volo attraverso il parabrezza di una macchina. Nebraska
venne pubblicato nel 1982, nemmeno due anni dopo The River e fu un
autentico shock sia per i fans del Boss che per il mondo del rock. Il critico
Greil Marcus scrisse al tempo “Nebraska è la più completa e
convincente affermazione di resistenza e rifiuto che l’America di Reagan abbia
strappato ad un artista”. Quaranta tre anni dopo Nebraska 82:Expanded Edition documenta
la storia per intero.
E’ labile, pressoché inesistente il confine tra Nebraska e Born in the Usa. L’anno è il 1982 e così lo racconta Bruce Springsteen nell’imperdibile libro di Warren Zanes, Liberami dal nulla (Jimenez, 2024) da cui è stato tratto il film attualmente in circolazione. “Born in the Usa nacque insieme a Nebraska, le prime canzoni che ho inciso per quell’album erano canzoni di Nebraska. Ero reduce da Stolen Car e Wrecking on the Highway, da quelle storie narrative, per cui in un certo senso cercai di seguire un po’ quel filone per capire dove mi avrebbe portato. E mi condusse dritto a Nebraska. BITUSA risaliva allo stesso periodo ma col tempo prese un’altra strada, quanto meno nella versione con la band al completo, era una cosa del tutto diversa. Il mio più grande errore fu lasciare la versione di Born in the Usa che avevo fatto per Nebraska fuori da quello stesso album. Avrei dovuto mettercela, avrei potuto facilmente inserirla in entrambi i dischi. Avrebbe avuto totalmente senso, sarebbe stata perfetta per quel disco”. Sicuramente la scarna versione acustica avrebbe evitato tutti i fraintendimenti circa il suo presunto significato patriottardo, finì poi per essere esibita in quella veste nel tour di Tom Joad.
In
quel momento balenava nella mente di Springsteen l’idea di un doppio album,
subito scartata perché a ridosso del doppio The River, ovvero prendere
il materiale destinato a BITUSA e affiancarlo a un secondo
disco registrato con la band e così Nebraska finì per essere l’unica
uscita ufficiale nel suo catalogo senza che l’autore fosse consapevole di stare
facendo un disco. Dopo il tour di The River in un momento di
ripensamento si era isolato in una casa parzialmente ammobiliata a Colts Neck
nel New Jersey e a ridosso del Natale 1981, nel tentativo di ritrovare
quell’identità lontana dalle lusinghe dello star system e il conseguente
bisogno di riflessione, con un rudimentale Teac Tascam144 a quattro piste che
il roadie Mike Batlan aveva comprato
in un negozio di musica del posto, mise insieme in poco tempo un ciclo di
canzoni. “Seduto ai piedi del letto cantavo e suonavo la chitarra e avevo
ancora due piste libere, per un’altra chitarra e l’armonica. Avevo piazzato dei
microfoni economici Shure SM57 collegandoli al registratore. Si poteva sentire
il suono della sedia scricchiolare, alcune canzoni come Highway Patrolman e State
Trooper le ho fatte in una volta
sola, altre le ho incise un paio di volte, tre al massimo. La prima canzone che
ho finito è stata Mansion on the Hill, l’ultima
My Father’s House” (Bruce
Springsteen). La canzone Nebraska prendeva
spunto dalla vicenda di Charles Starkweather e Caril Ann Fugate, una coppia di
giovani responsabili tra la fine del 1957 e l’inizio dell’anno successivo di
una serie di brutali omicidi nel Nebraska e nel Wyoming, portata sullo schermo
da Terence Malick nel film La Rabbia Giovane. Quella storia aveva proiettato Springsteen nel buio
di un’America violenta e disperata, sprovvista di una luce che potesse
suggerire se non un sogno almeno una salvezza. Non c’era da parte di Bruce la
volontà di giudicare i personaggi ma solo narrare di persone che reagiscono a
quello che li sta distruggendo, distruggendo a loro volta qualcos’altro. Se c’è
un tema che attraversa il disco è quello della sottile linea che divide la
stabilità dal momento in cui il tempo si ferma e le cose che ti legavano al tuo
mondo, alla tua famiglia, ai tuoi amici, alla tua fede e ai tuoi amori,
capitombolano. Furono altresì importanti i racconti di Flannery O’Connor e l’interesse nel confronto degli ambienti rurali
e degli outsider, ed in generale dal punto di vista musicale la tradizione
americana classica ovvero il Delta blues di Robert Johnson, il folk di Woody
Guthrie, la country music di Hank Williams, il gospel. Ma Nebarska è solo
apparentemente un disco folk perché trova connessioni con ciò che stava
avvenendo in quel periodo nel sottobosco del punk, in particolare con la
nichilistica visione del rock n’roll intentata dai Suicide. Una chitarra acustica Gibson J200 ed un’armonica (ma fu
usata anche una chitarra elettrica, ibrido di Fender Telecaster ed Esquire)
furono sufficienti per consegnare alla storia un’opera ancora oggi chiacchierata.
Era il suono di un uomo solo. La notte del 3 gennaio 1982 fu fondamentale,
uscirono canzoni che rivoltavano il comune sentire, specie se arrivavano da un
autore in procinto di diventare una star mondiale. Canzoni molto
cinematografiche, ancora oggi quando le senti, le vedi e non ti mollano più. Una
volta realizzato il demo fu necessario trasferirlo su cassetta affinché potessero
essere suonate su qualsiasi dispositivo in commercio, “ Springsteen utilizzò un
Panasonic per effettuare il mixdown e fece passare tutte le incisioni
attraverso un Gibson Echoplex, che spalmò su voce, chitarra, armonica e
glockenspiel, una patina di slap echo modello Sun Records che ne rallentò la
velocità, incupendo ancora di più l’atmosfera” (Warren Zanes, Liberami dal Nulla). Quella cassetta
rimase nella tasca di Springsteen per qualche mese, ad aprile si imbucò negli
studi del Power Station di New York e assieme alla band rifece Born in the Usa col rullante di Max
Weinberg in grande evidenza e con Toby
Scott in regia registrò Working On
The Highway e un rifacimento radicale di Downbound
Train che provenivano da Colts Neck. Con due/terzi di BITUSA già in cantiere,
sperimentarono versioni elettriche di Highway
Patrolman, Nebraska, Atlantic City, Reason To Believe, Used Cars, Mansion on
The Hill, Johnny 99. Il tentativo fu presto abbandonato: aggiungendo gli
altri strumenti e perfezionando i brani, Springsteen ed il produttore Chuck Plotkin si resero conto che
venivano a mancare sia l’intimità che l’atmosfera originarie, la batteria
sovrastava il canto sommesso e discorsivo di Springsteen e il mistero di quella
musica di frontiera-cruda e aguzza, dalle venature blues e dalle vibrazioni
rockabilly-svaniva. Che suonasse con la band al completo, con i soli Max
Weinberg e Roy Bittan o addirittura da solo, la magia scompariva. E cosi
l’album che sarebbe dovuto diventare BITUSA fu ufficialmente messo da
parte per oltre un anno e “qualcuno, non è chiaro se Jon Landau o Steve Van
Zandt o Chuck Plotkin disse : perché non pubblichi quei demo così come sono?”.
(Warren Zanes, Deliver Me from Nowhere).
Il salvataggio dalla cassetta al vinile fu affidato a Plotkin, il disco uscì
senza riportare il nome del produttore, la responsabile grafica della Columbia,
Andrea Klein ingaggiò il fotografo David
Michael Kennedy per la copertina. Lo spoglio layout e i caratteri cubitali
contribuirono alla disadorna identità estetica del disco che fu portata dal
regista di video Arnold Levine nel suo adattamento in b/n di Atlantic City, il primo video musicale del
rocker del New Jersey.
Analogamente a ciò che è successo per BITUSA,
il Nebraska originario rimane a mio modo di vedere il testamento
migliore di quell’isolamento a Colts Neck, salvo aggiungere la Born in the Usa in acustico con cui si
apre questa edizione espansa. E’ la prima di una serie di out-takes qui
riportate che include Losin’ Kind e Child Bride, dolente e spoglia
malinconia autunnale di un work in progress che avrebbe poi portato a titoli
come Highway Patrolman e Mansion on the Hill. Del tutto differenti
da quelle pubblicate su BITUSA sono Downtown Train, qui frenetica
ed ansiosa su una base di rockabilly-punk derivato dallo stile dei Suicide,
urla comprese, e Pink Cadillac invece
rallentata a ipnotica nenia bluesy giocata sui bassi. The Big Payback, registrata quello stesso 3 gennaio e pubblicata poi in Europa come B-side
del singolo europeo di Open All Night,
e Working On The Highway preservano
una scoppiettante fisionomia rockabilly completa di fendenti di armonica. On the Prowl è molto interessante, uno
spettrale folk-blues con un secco giro di chitarra che attorciglia come una
fune e trova Bruce sfoderare una intensità vocale da lasciare attoniti. Fu
registrata in studio nel 1982 assieme alla lenta e apparentemente dolce Gun In Every Home, titolo che presumibilmente
fu pensato per BITUSA ma che oggi potrebbe aprire un notiziario americano.
Atteso da tantissimi fans, l’agognato Electric
Nebraska fu il tentativo
nella primavera del 1982 di portare l’intimità di Colts Neck nella tecnologia
della Power Station riversandolo nel suono elettrico della E-Street di Gary
Tallent, Max Weinberg, Roy Bittan, Danny Federici e Steve Van Zandt. “Ci portai
la band per registrare di nuovo quelle canzoni e mixarle, e riuscii solo a
peggiorare il tutto. I personaggi erano scomparsi”. A detta dello stesso
Springsteen e dei suoi collaboratori non funzionò, era come se l’atmosfera
profonda di quella casa si fosse dispersa tra le pareti dello studio, in qualcosa che
non preservava né l’energia oscura tantomeno il potere filmico insito in quelle
storie ai margini. Ciò che oggi viene consegnato è un buon disco di ossuto rock
n’roll con venature folkie e rockabilly dove sono soprattutto la veemente e
sanguinante esibizione in trio (con Weinberg e Tallent) di Born In The Usa senza i muscoli gonfiati ed il monumentale drumming
della versione di BITUSA, una Mansion On
The Hill da lacrime agli occhi, solo di poco arrangiata con il glockenspiel
e quella Atlantic City che già nella sua stesura primitiva sembrava creata
apposta per le performance full- band,
le cose che si ergono in questa traduzione elettrica del poema originario.
Delle dieci canzoni dell’album ufficiale sono escluse My Father’s House e State
Trooper. Johnny 99 (di cui offrirà una bellissima versione un anno dopo Johnny Cash nell’album omonimo) sprizza
ritmo a palla, rock n’roll, colpi d’armonica e un nervoso strimpellare honky
tonk sopra pianure insanguinate, e Dowbound
Train è rabbioso, urlato cow-punk ai limiti di legge. Solo un po’ più
docile è Open All Night, accelerato
rispetto all’originale ma senza essere l’urlo di un lupo solitario nella notte di
Colts Neck e Reason To Believe perde di
enfasi drammatica ma non acquisisce fascino stradaiolo, in questa veste roots
la facevano meglio i Beat Farmers di Tales of the New West.
“L’unica cosa che non abbia fatto sull’album Nebraska
è stata quella di suonarlo dal vivo, quindi il mio primo pensiero
quando abbiamo discusso di celebrare il disco era di fare un’esibizione con
quel materiale, cantare questo disco dall’inizio alla fine” ha detto
Springsteen ”mi interessava catturare un po’ della qualità inquietante del
disco”. All’inizio di quest’anno al Count Basie Theatre di Red Bank a poche
miglia da Colts Neck, con il leggero arrangiamento del multistrumentista Larry Campbell e del tastierista Charlie Giordano, Bruce ha rivisitato
dopo 40 anni queste canzoni con le sottigliezze, le sfumature e la voce
dell’età matura. Rob Lebret ha
mixato il tutto cercando di mantenere l’integrità originale, Thom Zimmy ha filmato la performance,
rigorosamente a porte chiuse, in questo Nebraska 82:Expanded Edition c’è sia
il disco audio che il Blu-Ray. Recuperare il tempo perduto può
essere un nobile motivo per rivedere quello che il passato ha lasciato al bordo
della strada ed è la maggior virtù di questa performance, che regala momenti emozionanti
come il superbo singhiozzo rockabilly di Open
All Night e le commoventi
StateTrooper e Highway Patrolman. Purtroppo,
come cantavano un secolo fa i Rolling Stones, il tempo non aspetta nessuno e
quello che suonava come un autentico grido di dolore in un’ America che oggi è
solo peggiorata, si rivela un rispettabile esercizio artistico, ma, per forza
di cose, senza quella originale,
primitiva e tagliente forza che quaranta tre anni un disco cucinato in casa
senza nessun ausilio tecnico se non quello di un banale registratore seppe
trasmettere ai cuori degli ascoltatori divenendo un punto di riferimento non
solo nella musica rock ma più in generale nella letteratura americana
contemporanea.
MAURO
ZAMBELLINI SETTEMBRE 2025
p.s lo scritto qui sopra comparirà sul numero del Buscadero in uscita a novembre, completo di un ampia riflessione sull'argomento a cura di Marco Denti