domenica 12 ottobre 2025

Nebraska 82: Expanded Edition Il suono di un uomo solo



 

 “Il mio nome è Joe Roberts e lavoro per lo stato, sono sergente di polizia stradale a Perrineville, ho sempre fatto un lavoro onesto, quanto onesto possa io essere, ho un fratello di nome Frankie e Frankie non è buono”. Questo verso apre una delle canzoni più toccanti di Nebraska, Highway Patrolman, una desolata ballata folk all’interno del disco più amaro di Springsteen, un lavoro cantato in solitario con uno stile asciutto, un’opera ruvida e misteriosa sull’impossibilità del sogno americano e di come questo fosse irrimediabilmente messo in crisi dal nuovo ordine liberista con l’elezione all’inizio degli anni 80 di Ronald Reagan. Le dieci canzoni del disco trattano dell’assoluta impossibilità di comunicare e dell’isolamento che ne consegue, di quello che succede alle persone quando vengono separate dai loro amici, dalla loro comunità, dal loro lavoro. E’ un disco tetro, crudele, profondamente onesto, è spoglio come l’inverno, cupo come l’angoscia che si porta dentro, netto come il bianco e nero sporcato di rosso della copertina, un’istantanea del fotografo David Kennedy scattata su una strada del Midwest, colta al volo attraverso il parabrezza di una macchina. Nebraska venne pubblicato nel 1982, nemmeno due anni dopo The River e fu un autentico shock sia per i fans del Boss che per il mondo del rock. Il critico Greil Marcus scrisse al tempo “Nebraska è la più completa e convincente affermazione di resistenza e rifiuto che l’America di Reagan abbia strappato ad un artista”. Quaranta tre anni dopo Nebraska 82:Expanded Edition documenta la storia per intero.






E’ labile, pressoché inesistente il confine tra Nebraska e Born in the Usa. L’anno è il 1982 e così lo racconta Bruce Springsteen nell’imperdibile libro di Warren Zanes, Liberami dal nulla (Jimenez, 2024) da cui è stato tratto il film attualmente in circolazione. “Born in the Usa nacque insieme a Nebraska, le prime canzoni che ho inciso per quell’album erano canzoni di Nebraska. Ero reduce da Stolen Car e Wrecking on the Highway, da quelle storie narrative, per cui in un certo senso cercai di seguire un po’ quel filone per capire dove mi avrebbe portato. E mi condusse dritto a Nebraska. BITUSA risaliva allo stesso periodo ma col tempo prese un’altra strada, quanto meno nella versione con la band al completo, era una cosa del tutto diversa. Il mio più grande errore fu lasciare la versione di Born in the Usa che avevo fatto per Nebraska fuori da quello stesso album. Avrei dovuto mettercela, avrei potuto facilmente inserirla in entrambi i dischi. Avrebbe avuto totalmente senso, sarebbe stata perfetta per quel disco”. Sicuramente la scarna versione acustica avrebbe evitato tutti i fraintendimenti circa il suo presunto significato patriottardo, finì poi per essere esibita in quella veste nel tour di Tom Joad.



In quel momento balenava nella mente di Springsteen l’idea di un doppio album, subito scartata perché a ridosso del doppio The River, ovvero prendere il materiale destinato a BITUSA e affiancarlo a un secondo disco registrato con la band e così Nebraska finì per essere l’unica uscita ufficiale nel suo catalogo senza che l’autore fosse consapevole di stare facendo un disco. Dopo il tour di The River in un momento di ripensamento si era isolato in una casa parzialmente ammobiliata a Colts Neck nel New Jersey e a ridosso del Natale 1981, nel tentativo di ritrovare quell’identità lontana dalle lusinghe dello star system e il conseguente bisogno di riflessione, con un rudimentale Teac Tascam144 a quattro piste che il roadie Mike Batlan aveva comprato in un negozio di musica del posto, mise insieme in poco tempo un ciclo di canzoni. “Seduto ai piedi del letto cantavo e suonavo la chitarra e avevo ancora due piste libere, per un’altra chitarra e l’armonica. Avevo piazzato dei microfoni economici Shure SM57 collegandoli al registratore. Si poteva sentire il suono della sedia scricchiolare, alcune canzoni come Highway Patrolman e State Trooper  le ho fatte in una volta sola, altre le ho incise un paio di volte, tre al massimo. La prima canzone che ho finito è stata Mansion on the Hill, l’ultima My Father’s House” (Bruce Springsteen). La canzone Nebraska prendeva spunto dalla vicenda di Charles Starkweather e Caril Ann Fugate, una coppia di giovani responsabili tra la fine del 1957 e l’inizio dell’anno successivo di una serie di brutali omicidi nel Nebraska e nel Wyoming, portata sullo schermo da Terence Malick nel film La Rabbia Giovane. Quella storia aveva proiettato Springsteen nel buio di un’America violenta e disperata, sprovvista di una luce che potesse suggerire se non un sogno almeno una salvezza. Non c’era da parte di Bruce la volontà di giudicare i personaggi ma solo narrare di persone che reagiscono a quello che li sta distruggendo, distruggendo a loro volta qualcos’altro. Se c’è un tema che attraversa il disco è quello della sottile linea che divide la stabilità dal momento in cui il tempo si ferma e le cose che ti legavano al tuo mondo, alla tua famiglia, ai tuoi amici, alla tua fede e ai tuoi amori, capitombolano. Furono altresì importanti i racconti di Flannery O’Connor e l’interesse nel confronto degli ambienti rurali e degli outsider, ed in generale dal punto di vista musicale la tradizione americana classica ovvero il Delta blues di Robert Johnson, il folk di Woody Guthrie, la country music di Hank Williams, il gospel. Ma Nebarska è solo apparentemente un disco folk perché trova connessioni con ciò che stava avvenendo in quel periodo nel sottobosco del punk, in particolare con la nichilistica visione del rock n’roll intentata dai Suicide. Una chitarra acustica Gibson J200 ed un’armonica (ma fu usata anche una chitarra elettrica, ibrido di Fender Telecaster ed Esquire) furono sufficienti per consegnare alla storia un’opera ancora oggi chiacchierata. Era il suono di un uomo solo. La notte del 3 gennaio 1982 fu fondamentale, uscirono canzoni che rivoltavano il comune sentire, specie se arrivavano da un autore in procinto di diventare una star mondiale. Canzoni molto cinematografiche, ancora oggi quando le senti, le vedi e non ti mollano più. Una volta realizzato il demo fu necessario trasferirlo su cassetta affinché potessero essere suonate su qualsiasi dispositivo in commercio, “ Springsteen utilizzò un Panasonic per effettuare il mixdown e fece passare tutte le incisioni attraverso un Gibson Echoplex, che spalmò su voce, chitarra, armonica e glockenspiel, una patina di slap echo modello Sun Records che ne rallentò la velocità, incupendo ancora di più l’atmosfera” (Warren Zanes, Liberami dal Nulla). Quella cassetta rimase nella tasca di Springsteen per qualche mese, ad aprile si imbucò negli studi del Power Station di New York e assieme alla band rifece Born in the Usa col rullante di Max Weinberg in grande evidenza e con Toby Scott in regia registrò Working On The Highway  e un rifacimento radicale di Downbound Train che provenivano da Colts Neck. Con due/terzi di BITUSA già in cantiere, sperimentarono versioni elettriche di Highway Patrolman, Nebraska, Atlantic City, Reason To Believe, Used Cars, Mansion on The Hill, Johnny 99. Il tentativo fu presto abbandonato: aggiungendo gli altri strumenti e perfezionando i brani, Springsteen ed il produttore Chuck Plotkin si resero conto che venivano a mancare sia l’intimità che l’atmosfera originarie, la batteria sovrastava il canto sommesso e discorsivo di Springsteen e il mistero di quella musica di frontiera-cruda e aguzza, dalle venature blues e dalle vibrazioni rockabilly-svaniva. Che suonasse con la band al completo, con i soli Max Weinberg e Roy Bittan o addirittura da solo, la magia scompariva. E cosi l’album che sarebbe dovuto diventare BITUSA fu ufficialmente messo da parte per oltre un anno e “qualcuno, non è chiaro se Jon Landau o Steve Van Zandt o Chuck Plotkin disse : perché non pubblichi quei demo così come sono?”. (Warren Zanes, Deliver Me from Nowhere). Il salvataggio dalla cassetta al vinile fu affidato a Plotkin, il disco uscì senza riportare il nome del produttore, la responsabile grafica della Columbia, Andrea Klein ingaggiò il fotografo David Michael Kennedy per la copertina. Lo spoglio layout e i caratteri cubitali contribuirono alla disadorna identità estetica del disco che fu portata dal regista di video Arnold Levine nel suo adattamento in b/n di Atlantic City, il primo video musicale del rocker del New Jersey.

La riedizione di Nebraska 82:Expanded Edition include quello che è venuto fuori da quella stanza di Colts Neck ovvero il disco originario del 1982 rimasterizzato, le out-takes e i titoli scartati e la versione elettrica dell’album effettuata alla Power Station. In aggiunta c’è la performance dal vivo a porte chiuse dell’intero disco svoltasi quest’anno al Count Basie Theatre di Red Bank nel New Jersey.

Analogamente a ciò che è successo per BITUSA, il Nebraska originario rimane a mio modo di vedere il testamento migliore di quell’isolamento a Colts Neck, salvo aggiungere la Born in the Usa in acustico con cui si apre questa edizione espansa. E’ la prima di una serie di out-takes qui riportate che include Losin’ Kind e Child Bride, dolente e spoglia malinconia autunnale di un work in progress che avrebbe poi portato a titoli come Highway Patrolman e Mansion on the Hill. Del tutto differenti da quelle pubblicate su BITUSA sono Downtown Train, qui frenetica ed ansiosa su una base di rockabilly-punk derivato dallo stile dei Suicide, urla comprese, e Pink Cadillac invece rallentata a ipnotica nenia bluesy giocata sui bassi. The Big Payback, registrata quello stesso 3 gennaio e pubblicata poi in Europa come B-side del singolo europeo di Open All Night, e Working On The Highway preservano una scoppiettante fisionomia rockabilly completa di fendenti di armonica. On the Prowl è molto interessante, uno spettrale folk-blues con un secco giro di chitarra che attorciglia come una fune e trova Bruce sfoderare una intensità vocale da lasciare attoniti. Fu registrata in studio nel 1982 assieme alla lenta e apparentemente dolce Gun In Every Home, titolo che presumibilmente fu pensato per BITUSA ma che oggi potrebbe aprire un notiziario americano.

Atteso da tantissimi fans, l’agognato Electric Nebraska fu il tentativo nella primavera del 1982 di portare l’intimità di Colts Neck nella tecnologia della Power Station riversandolo nel suono elettrico della E-Street di Gary Tallent, Max Weinberg, Roy Bittan, Danny Federici e Steve Van Zandt. “Ci portai la band per registrare di nuovo quelle canzoni e mixarle, e riuscii solo a peggiorare il tutto. I personaggi erano scomparsi”. A detta dello stesso Springsteen e dei suoi collaboratori non funzionò, era come se l’atmosfera profonda di quella casa si fosse dispersa  tra le pareti dello studio, in qualcosa che non preservava né l’energia oscura tantomeno il potere filmico insito in quelle storie ai margini. Ciò che oggi viene consegnato è un buon disco di ossuto rock n’roll con venature folkie e rockabilly dove sono soprattutto la veemente e sanguinante esibizione in trio (con Weinberg e Tallent) di Born In The Usa senza i muscoli gonfiati ed il monumentale drumming della versione di BITUSA, una Mansion On The Hill da lacrime agli occhi, solo di poco arrangiata con il glockenspiel  e quella Atlantic City che già nella sua stesura primitiva sembrava creata apposta per le performance  full- band, le cose che si ergono in questa traduzione elettrica del poema originario. Delle dieci canzoni dell’album ufficiale sono escluse My Father’s House e State Trooper. Johnny 99 (di cui offrirà una bellissima versione un anno dopo Johnny Cash nell’album omonimo) sprizza ritmo a palla, rock n’roll, colpi d’armonica e un nervoso strimpellare honky tonk sopra pianure insanguinate, e Dowbound Train è rabbioso, urlato cow-punk ai limiti di legge. Solo un po’ più docile è Open All Night, accelerato rispetto all’originale ma senza essere  l’urlo di un lupo solitario nella notte di Colts Neck e Reason To Believe perde di enfasi drammatica ma non acquisisce fascino stradaiolo, in questa veste roots la facevano meglio i Beat Farmers di Tales of the New West.

“L’unica cosa che non abbia fatto sull’album Nebraska è stata quella di suonarlo dal vivo, quindi il mio primo pensiero quando abbiamo discusso di celebrare il disco era di fare un’esibizione con quel materiale, cantare questo disco dall’inizio alla fine” ha detto Springsteen ”mi interessava catturare un po’ della qualità inquietante del disco”. All’inizio di quest’anno al Count Basie Theatre di Red Bank a poche miglia da Colts Neck, con il leggero arrangiamento del multistrumentista Larry Campbell e del tastierista Charlie Giordano, Bruce ha rivisitato dopo 40 anni queste canzoni con le sottigliezze, le sfumature e la voce dell’età matura. Rob Lebret ha mixato il tutto cercando di mantenere l’integrità originale, Thom Zimmy ha filmato la performance, rigorosamente a porte chiuse, in questo Nebraska 82:Expanded Edition c’è sia il disco audio che il Blu-Ray. Recuperare il tempo perduto può essere un nobile motivo per rivedere quello che il passato ha lasciato al bordo della strada ed è la maggior virtù di questa performance, che regala momenti emozionanti come il superbo singhiozzo rockabilly di Open All Night e le commoventi StateTrooper e Highway Patrolman. Purtroppo, come cantavano un secolo fa i Rolling Stones, il tempo non aspetta nessuno e quello che suonava come un autentico grido di dolore in un’ America che oggi è solo peggiorata, si rivela un rispettabile esercizio artistico, ma, per forza di cose, senza  quella originale, primitiva e tagliente forza che quaranta tre anni un disco cucinato in casa senza nessun ausilio tecnico se non quello di un banale registratore seppe trasmettere ai cuori degli ascoltatori divenendo un punto di riferimento non solo nella musica rock ma più in generale nella letteratura americana contemporanea.

 

MAURO ZAMBELLINI      SETTEMBRE 2025

p.s lo scritto qui sopra comparirà sul numero del Buscadero in uscita a novembre, completo di un ampia riflessione sull'argomento a cura di Marco Denti


1 commento:

Luigi ha detto...

Aspettavo questa recensione come il cofanetto ed il film .
Insieme allo splendido libro di Warren Zanes ora il quadro è completato.
In attesa di mettere le mani sul box e di sedermi in poltrona al cinema per adesso posso dire grazie Zambellini