Pure Pop for Now People? Non proprio ma quasi. Il nuovo disco di Springsteen Working On A Dream a detta dello stesso autore nasce dalla eccitazione per il ritorno delle sonorità della produzione pop e per l’energia espressa dalla band nel recente tour. Paragonato alla sua più classica produzione, è un disco eccentrico e diverso in quanto non sono le chitarre ed il romanticismo da blue-collar a condurre le danze ma uno stravagante melting di arrangiamenti, archi, di mescolanze sonore, di idee anche un po’ confuse volendo, di elaborazioni, di intro e outro, come se le canzoni fossero colonne sonore di piccoli film e anche se la E Street Band si sente più che in Magic il nuovo lavoro è sostanzialmente frutto dell’amore che Springsteen ha nei confronti del pop californiano e dei sixties. I testi sembrano più che altro incentrati sulla vita quotidiana anche se per ora non è possibile approfondirli a fondo ma in generale Working On A Dream è un bel disco di pop, anche coraggioso nel suo insistere su una certa idea di pop (che non è la schifezza che si sente oggi), con tante citazioni di Beach Boys, Roy Orbison, Dion, Brian Wilson, Mama’s and Papa’s, Kinks, Byrds e con un occhio di riguardo all’ appeal che possedevamo le canzoni dei sixties. Un disco che sale ascolto dopo ascolto, come se lavorare attorno ad un sogno necessiti tempo e pazienza e l’artista possa finalmente esprimersi svincolato da quelle catene che lo volevano a tutti costi profeta con una chitarra al collo ed una gang al fianco.
Qui è il pop nella sue leggerezza, nella sua estemporanea fruibilità a garantire emozioni come quelle scatenate dagli otto minuti di Outlaw Pete, la canzone più ambiziosa e tortuosa dell’ intero album, un saliscendi di emozioni e orchestrazioni spectoriane con pianoforte, organo, archi ed un rallenty che evoca il C’era una Volta il West di Morricone. Ci pensa My Lucky Day a smorzare l’enfasi, titolo che assieme a This Life, Life Itself, Good Eye e Tomorrow Never Knows costituisce il lotto di partenza su cui è stato costruito tutto l’ album. E’ una normale canzone di Springsteen sulla scia di My Love Will Not Let You Down dove anche Clemons fa la sua parte. Di Working On A Dream conosciamo ormai abbastanza e pur risaputa nella sua cantilena buonista a furia di risentirla sembra quasi bella, basta comunque il fatto di aver contribuito a far eleggere Obama per non contestarla più di quel tanto. Discorso diverso per il pop da discount di Queen Of The Supermarket che nasce sul ricordo della leggiadra Girls In Their Summer Clothes nel senso che è come se Bruce fosse tornato ragazzino e si fosse trovato nel più grande magazzino di riff, accordi, strofe e ritornelli e lo abbia saccheggiato pensando poi di mettere insieme tutto avendo in testa le melodie di Brian Wilson. Muscoli invece, quelli del rocker-Bruce in What Love Can Do, tre minuti giusti giusti di rock grezzo e duro, con la voce e la chitarra acustica che si interpongono sopra il beat secco della batteria. Potrebbe essere il John Mellencamp di Dance Naked. Puro e semplice rock n’roll, uno dei miei brani preferiti.
Ancora sixties mood in This Life, un connubio di Kinks, Jimmy Webb, Mama’s and Papa’s, John Phillips con in più l’affondo di sax di Clemons e la dodici corde di Lofgren. Di natura diversa Good Eye altri tre minuti di echi distorti, voce filtrata ed un’ armonica lancinante. Sembra una canzone cresciuta attorno alla versione di Reason To Believe del Devils and Dust Tour ed è sorella di A Night With Jersey Devil (bonus track nella versione deluxe del disco con tanto di dvd). Un blues da juke joint, rauco e sporco come nelle registrazioni della Fat Possum.
L’eco di una lap-steel, l’aria serena del country ed un violino pieno di nostalgia: Tomorrow Never Knows, titolo rubato ai Beatles di Revolver sembra la E-Street Band che imita la Seeger Sessions Band. Atmosfere cupe, voce bassa e gran lavoro di tastiere invece in Life Itself che naviga di traverso col grigiore di un cielo che non promette niente di buono.
Kingdom Of Days al primo ascolto sembra di una banalità sconcertante, potrei sbagliarmi ma qui l’enfasi degli arrangiamenti raggiunge livelli insopportabili, meglio il pop da British Invasion di Surprise, Surprise dove si scorgono i Kinks (ma anche i Byrds) e le chitarre lasciano spazio ad un sing-along che si sviluppa attorno ad un ritornello felicemente ossessivo.
Il finale è per le ballate, la prima, The Last Carnival, si muove nella zona folkie di Devils and Dust, la seconda, The Wrestler chiude il disco con stampato addosso la malinconia del volto malconcio di Mickey Rourke nel film omonimo. Non è un capolavoro Working On A Dream ma è un brillante e serio disco di pop, più coerente di Magic e con diverse novità (che non tutti i fans apprezzeranno) rispetto al clichè rock springsteeniano. Ma, sono sicuro, lo ascolteremo parecchio.
Mauro Zambellini
4 commenti:
Quello che è venuto in mente a me.
Pop, molto pop, anche troppo.
Nuovi mercati per Springsteen.
Molto orecchiabile.
Arrangiamenti in certi passaggi imbarazzanti, a mio parere
Ma se devo sentire il pop anni 60 ho già l'originale, sinceramente.
a me piace. C'è dentro Roy Orbison, Tarantino, Townes Van Zandt, Lucky Town, ma soprattutto c'è il Bruce "importante" dei dischi vecchi... The River, Born In The USA, Born To Run o più semplicemente The Seeger Sessions...
Ho scoperto dove si trova la parte superiore del cranio di Bruce, quella che manca sulla foto di copertina di 'Magic': basta appoggiare il CD sopra 'Working on a dream', che è più grande, e coincide perfettamente. Ah! Ah! Ah! Provare per credere. Chissà quali arcani significati cela siffatta curiosità grafica ..
Posta un commento