lunedì 7 marzo 2011
Lucinda Williams part 1
Ci sono voluti trenta anni di gavetta tra piccoli concerti nei club, spostamenti, traslochi, dischi ignorati e una tumultuosa esistenza prima che Lucinda Williams si prendesse una rivincita contro l’indifferenza e la corruzione del mondo discografico e si guadagnasse il giusto riconoscimento di un duro lavoro. Era l’estate del 1998 quando uscì Car Wheels On Gravel Road e nessuno si sarebbe aspettato che un disco così travagliato e tirato per le lunghe sarebbe diventato il suo primo disco d’oro.
Un storia rocambolesca quella di Car Wheels : la Williams, con in mano un contratto con la American Recordings, aveva cominciato a lavorare al disco in Texas col chitarrista Gurf Morlix, produttore dei suoi due precedenti album ma insoddisfatta dei risultati raggiunti aveva ritoccato le parti vocali provocando la reazione di Morlix che, sul più bello, aveva abbandonato il progetto mettendo in crisi il rapporto professionale e l’amicizia che li legava.
Lucinda Williams aveva allora scelto di spostarsi a Nashville entrando in contatto con Steve Earle e il suo partner di produzione Ray Kennedy. Con loro, già nel 1995, aveva cercato di finire il disco senza però fare i conti con la propria pignoleria. Sembrava tutto facile , si era talmente innamorata del twangtrust di Earle e Kennedy che aveva ri-registrato di nuovo tutto il disco ma poi alla fine, a lavoro pressoché completato, si aera ritrovata di nuovo insoddisfatta e con un suono troppo prodotto. Steve Earle dopo due settimane di registrazioni se ne era andato improvvisamente in tour senza avvisare la Williams dei tempi ristretti dei suoi impegni e tutti questi scombussolamenti avevano attirato la curiosità dei media, mai prima di allora così interessati alla Williams.
Di nuovo in mezzo al guado Lu non si era persa d’animo e con i nastri in mano si era trasferita a Los Angeles in un nuovo studio dove con l’aiuto dell’E- Streeter Roy Bittan aveva sovrainciso le parti vocali in una serie di sessions al limite del paranoico e dell’ossessivo. Il disco era diventato un incubo, il produttore Rick Rubin mixò le tracce finali ma l’album subì un nuovo ritardo a causa dei negoziati per la vendita dell’American label. La Mercury salvò la situazione acquistando i diritti dell’album, definitivamente messo a punto a Nashville e finalmente pubblicato, dopo tante peripezie, il 30 giugno del 1998 col titolo di Car Wheels On A Gravel Road. Oggi quel disco è il biglietto da visita di Lucinda Williams.
Lucinda Williams appartiene alla schiera degli eroi folk in grado di arrivare con una semplice canzone nella più profonda intimità dell’animo umano, una traveling troubadour con un viscerale attaccamento verso quello che normalmente si intende come cultura southern. Nata nel 1955 a Lake Charles in Louisiana da madre pianista e padre professore di letteratura, la vita di Lu subisce un cambiamento quando il padre, Miller Williams, oggi poeta e docente all’Università dell’Arkansas (lesse il discorso ufficiale all’inaugurazione del Presidente Clinton nel 1996) , a metà degli anni sessanta divorzia e si prende in custodia i tre figli. Con Lucinda e gli altri due marmocchi si trasferisce per lavoro prima in Messico e poi in Sud America. Lucinda si ritrova a vivere a Città del Messico e a Santiago del Cile e poi nel giro di pochi anni passa dallo Utah a Baton Rouge, dal Mississippi a New Orleans, da Atlanta a Macon. Una instabilità geografica che avrebbe potuto lasciare evidenti segni di sradicamento, come volte capita a quei bambini sballottati in giro per il mondo per le attività lavorative del padre ma che invece a Lucinda Williams regalò una specie di gioia ed euforia per le stanze degli hotel e le case in subaffitto. Oltre a farle accettare come naturale quello spirito nomade che poi si rifletterà nelle sue canzoni, trasformandola in una acuta narratrice “da strada” attenta ai dettagli, ai luoghi e alle sfumature psicologiche.
“Quell’infanzia di continui spostamenti non fu traumatica come la gente crede, a me piace l’avventura e penso che ciò derivi da quel continuo movimento che caratterizzò prima gli anni di gioventù e poi la mia esistenza. Il problema più grosso non era cambiare città o stato ma era portarsi appresso ad ogni trasloco la mia collezione di dischi di Donovan, Hendrix, Pentangle, Allman Bros., Byrds, Buffalo Springfield e Cream.”
Precoce nello scrivere, Lu assorbe le influenze del padre scrittore e dello stimolante clima casalingo, naturale che alla fine tutto questo mondo confluisse in uno stile che la artista ha definito “journalistic songwriting”.
Le influenze letterarie non avrebbero comunque da sole potuto produrre una rockeuse come è difatti la Williams se accanto a queste non ci fossero state delle vere passioni musicali. La vincita di tre Grammy nelle categorie country, folk e rock da parte della Williams è il riflesso dei diversi amori musicali di gioventù : i vecchi bluesmen, Robert Johnson e poi Dylan, Jim Morrison, Cream, i Rolling Stones e i Byrds.
All’inizio di carriera Lu era solita interpretare canzoni altrui spaziando in diversi ambiti musicali ma quando poi iniziò a scrivere in proprio i vari generi si amalgamarono in uno stile che non poneva differenze tra i diversi linguaggi. Uno stile che ha nella ballata il suo punto di forza e può contare su una voce dolente, sensuale e stoned, adatta a trasmettere quel senso di abbandono un po’ fatalistico di cui le storie da deep south della Williams sono cariche.
“Il disco che più di ogni altro cambiò la mia vita fu Highway 61 Revisited di Dylan. Uno studente di mio padre, un giovane poeta, lo portò in casa mia un giorno del 1965. Sebbene fossi ancora molto giovane fu una autentica rivelazione per me, all’improvviso c’era qualcuno che metteva insieme i due mondi da cui provenivo: la tradizionale folk music dei dischi di mio padre, Lightin’Hopkins e Mississippi John Hurt e il creativo mondo della scrittura dei poeti e della letteratura. Avevo cominciato a scrivere verso i dieci anni ma quando ne ebbi 12 e comprai la mia prima chitarra, una economica Silvertone, imparai a suonarla proprio per poter scrivere canzoni come quelle che erano contenute in quel disco.”
Qualcuno una volta ha detto che se si è rivoluzionari a ventanni quando si è quarantenni perlomeno si è anticonformisti. Così è stato per Lucinda Williams. “In gioventù ero molto inquieta e ribelle. Qualche tempo fa mio padre mi ridiede tutte le lettere che gli scrissi quando ero ventenne, beh…. sono molto sorprendenti ed eloquenti. Ci sono fatti di cui sono ancora fiera come quando aiutai un gruppo di amici del Sds (Students for a Democratic Society) a distribuire volantini nel campus e poi fummo espulsi dalla scuola perché ci rifiutammo di recitare la Promessa di Fedeltà davanti al Preside che ci voleva punire. Fui reintegrata solo perché mio padre si appellò ad un giudice che trovò incostituzionale il provvedimento della scuola. Negli anni sessanta ero molto impegnata nel movimento contro la guerra. La mia famiglia è sempre stata pacifista, mio nonno era un obiettore di coscienza della prima guerra mondiale, non avrebbe potuto essere diversamente. Ricordo che nel 1969 all’età di sedici anni andai alla marcia della pace di Washington con un gruppo di studenti della Layola University di New Orleans dove insegnava mio padre. Mi ricordo come fosse ieri di quella imponente manifestazione e anche del freddo che patii per non essermi portata un giubbotto adatto all’inverno di Washington. Le mie idee politiche con gli anni non sono cambiate, ho gli stessi ideali di un tempo, odio la guerra e trovo che ancora oggi Masters of War sia una delle più belle canzoni scritte sull’argomento".
(1-continua)
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