giovedì 28 giugno 2012

Stan Ridgway The Big Heat


Non è la prima e forse l'ultima volta che questo bel disco di Stan Ridgway viene ristampato ma chi se lo fosse perso ha la possibilità di recuperare l'occasione perduta. Il disco originario in vinile venne pubblicato nel 1986 dopo che Stan Ridgway cantante, armonicista, chitarrista, tastierista ed autore aveva lasciato la creatura Wall of Voodoo per iniziare una splendida carriera solista non priva di alti, bassi e silenzi. Una prima volta il disco venne ristampato in cd nel 1993 con l'aggiunta di sette bonus tracks, due live, una scelta quanto mai ragionevole per un lavoro che si era rivelato come uno dei più originali e suggestivi prodotti del rock losangeleno degli anni 80. L'aggiunta delle bonus tracks era un buon motivo per l'operazione anche in virtù del fatto che quando il disco uscì per la prima volta ci si nutriva solo a vinile. Ci fu poi in seguito un'altra ristampa e adesso (ma forse mi sono perso qualche puntata) arriva la pubblicazione della Water che assieme alla scaletta originale dell'album aggiunge le cinque bonus tracks dell'edizione del 1993 senza le due tracce live. Una ristampa tale e quale della ristampa expanded. Un doppione insomma, allora valeva la pena di fare un Deluxe Edition,
Comunque sia, tutto questo non toglie nulla alla validità di un disco che personalmente considero ancora oggi un capolavoro per come, attraverso una musica all'epoca innovativa ma  capace di resistere nel tempo, riesce ad offrire una immagine quanto mai personale di quella southern California immortalata dai libri di Raymond Chandler e Ross McDonald e da pellicole come Chinatown di Roman Polanski e Vivere e Morire a Los Angeles di William Friedkin. Atmosfera notturna e sfuggente, scenari desolati post-industriali, echi western, il confine come microcosmo di vita, illusioni e morte, il fascino del noir  e della letteratura hard-boiled  rivive in una musica che ha ritmo, storia, contaminazioni, rimandi, suono, voce e riflette una inquietudine che solo Ridgway e pochi altri (ci metterei i Dream Syndicate di Medicine Show e i Green On Red di Killer Inside Me) seppero in quegli anni portare all'esterno.
Stan Ridgway proveniva da Wall of Voodoo una creatura poliforme dalle sfaccettature cupe e gotiche, che aveva subito l'influenza della musica di Morricone e aveva come ambientazione delle propri storie il border col Messico, luogo  di un nuovo mondo in mutazione, le radio messicane e i teschi, gli omicidi irrisolti e l'immigrazione, l'weekend perduto e Ring Of Fire. Tutto ciò Stan Ridgway se lo porta appresso quando realizza The Big Heat e lo contestualizza in un titolo, Il Grande Caldo, ed un decor letterario chandleriano dove le solitudini, i soldi facili, le femme fatale, le ricchezze e le miserie, i motel al confine del deserto, le morti inspiegabili, la città buia sono la  voce piatta e senza tono di un'America che è mito solo perché è l'immagine di un grande nulla.
Stan Ridgway ha una voce che si staglia nella notte, limpida nella sua monotonia atonale, fende le canzoni come una lama di coltello, quando usa l'armonica evoca Morricone meglio di una colonna sonora, le tastiere invece, unite al drum programming compongono un quadro ritmico freddo, metallico, che sembra uscire da un dismessa fabbrica di periferia. Il ritmo è fondamentale nell'economia sonora di The Big Heat anche se a volte manca il basso per accentuare la spigolosità del suono, le tastiere fanno giochi che non a tutti è permesso, il violino innervosito di Richard Greene compare in Pick It Up (and put it in your pocket),  banjo e mandolino presenziano in Camouflage uno dei brani più suggestivi del disco. Ci sono poi emulatori, il trombone di Bruce Fowler, i feedback, le chitarre mai sovrastanti, le schegge elettriche di una città obliqua. Affascinante la sequenza dei brani, dalla cavalcata techno-roots di The Big Heat a Camouflage passando per la sincopata Pick It Up frutto della produzione di Mitchell Froom, uno che metterà certe intuizioni al servizio di Los Lobos e Latin Playboys,  per il melodico cow-punk di Can't Stop The Show , per  la scanzonata Pile Driver  e la notturna Walkin' Home Alone, sublime ode ad una generazione di detective solitari e perdenti. Drive She Said è tesa e cinica e corre come un montaggio di un noir, Salesman ha dentro l'esotismo di una metropoli multirazziale, Twisted è quasi lounge con quei suoni di steel drums importati dai Caraibi, Camouflage è quello che avrebbe voluto fare (e non ci è riuscito) Springsteen con Outlaw Pete, epica, western, cinematografica.  
Azzeccate anche le bonus tracks tutte in tema con l'originale The Big Heat compresa la versione  glam di Nadine di Chuck Berry con tanto di sax. Insomma, un disco da isola deserta.

MAURO ZAMBELLINI     GIUGNO 2012

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