Mai
titolo fu più azzeccato, Fanfare di Jonathan Wilson è una
lunga, ambiziosa, multifocale epopea della sua arte e della sua
professionalità, una sorta di dinamico movimento di energia con esplosioni di fantasia
e idee e conseguenti pause riflessive attorno alla sua multiforme personalità
musicale : chitarrista, pianista, multi strumentista, cantante, autore,
arrangiatore, produttore, tecnico del suono, fonico, programmatore. Va da sé
che Fanfare
non è un album facile, come lo poteva essere il precedente acclamato Gentle
Spirit, più focalizzato, concentrato sul songwriting e su quel suono
che tutti si sono affrettati a definire il nuovo sound del Laurel Canyon. Fanfare
è diverso, molto più complesso e sfaccettato, a tratti anche dispersivo
ed evasivo perché in mezzo a tanto materiale, a tanti impulsi, a tanto delirio espressivo,
non è facile essere sintetici e mantenere un focus all'intero progetto e allora
affiorano qualche lungaggine ed una lunghezza per un disco davvero impegnativa,
78 minuti! Ciò non toglie che Fanfare sia un disco estremamente
interessante, emozionante ed affascinante, con diversi colpi di genio e qualche
caduta di tensione, un disco che ha richiesto nove mesi di registrazione, dove
il centro della musica è costituito dal pianoforte a coda Steinway usato da
Wilson oltre alla sua voce sognante, malinconica, abbandonata. Fanfare
è il piece de resistence di un artista che vuole dimostrare al mondo la
sua grandezza e la sua variegata fame espressiva. Vulcanico, pindarico e
transgenerazionale, basta guardare i
musicisti coinvolti in questo disco per rendersene conto, da Graham Nash, David
Crosby e Jackson Browne a Josh Tilman aka Father John Misty e Pat Sansone di
Wilco, da Taylor Goldsmith dei Dawes a Mike Campbell e Benmont Tench degli
Heartbreakers di Tom Petty, per arrivare ad una leggenda dello psycho-folk
inglese degli anni sessanta quale Roy Harper, con cui collabora nella scrittura
di alcune canzoni. Il talento di Wilson
era già stato messo in evidenza in Gentle Sprit con cui aveva tolto la polvere
dal vecchio sound della west-coast, ormai relegato ai gusti di ex-hippie
in carriera e sepolto negli archivi di un' epoca irripetibile,
togliendogli rughe e nostalgia così da indurre di nuovo molti a cercare sulle
cartine geografiche musicali dove fosse il Laurel Canyon.
Qualcuno,
sedotto dalla semplicità di Gentle Spirit, potrà allora rimanere
imbarazzato o storcere il naso davanti all'inizio di Fanfare, col vento che soffia dalle colline ed il piano di Wilson
che abbozza una melodia trasformata in una sinfonia di drammatica reminiscenza
classica. Quando la voce abbandonata e sonnacchiosa di Wilson infrange
l'atmosfera semi sognante del pezzo, i violini orchestrano lo sfondo ed un
sassofono free-jazz scarabocchia con rabbia il quadro, si capisce che il
viaggio è iniziato e non sarà facile seguire la via senza timore di perdersi,
perché la fantasia di Wilson è ridondante e la fanfara porterà con sé archi,
orchestrazioni, campanacci, flauti, vibrafoni, assoli di pianoforte, fiati,
voci, improvvisazioni ed una orchestra intera. Quasi una futura visione della
musica rock, come suggerisce il titolo di una canzone dell'album, oppure
l'ostinata ricerca della perfetta canzone d'amore, con l'intento di edificare
una sorta di suite sulla falsariga di Pacific
Ocean Blue di Dennis Wilson, l'opera che più di ogni altra si avvicina
a questo delirio del giovane Wilson. E questa ricerca pare portare a risultati
grandiosi perché Dear Friend è un
abbraccio tra i Pink Floyd e i Rolling
Stones dell'era Mick Taylor, la solennità dei primi contrapposta ad una liquida chitarra bluesy e
Love To Love è una simple song che
tra chitarre Byrds ed un Hammond antico rivaluta un nobile significato di pop. Episodi che anticipano Future Vision ed una visione
più complessa e imponente, dove la grandeur sinfonica dei Pink Floyd, di
nuovo, è sdrammatizzata da una marcetta di vago sapore Kinks e da una
coreografia Stereophonica. All'opposto, Moses Pain mostra il malinconico
songwriting di Wilson, dolente come il Dylan dei racconti perduti di Tell
Tale Signs rifiniti però qui con una corale alla Jackson Browne. Momento
sublime, come quello che viene subito dopo, dove difficile è capire cosa ci
stia dietro ad un titolo come Cecil Taylor, famoso pianista free-jazz,
quando invece una ariosa, dilatata e armoniosa folk-song che non tradisce la
sua origine ovvero il meraviglioso If I Could Remember Only My Name di
David Crosby, qui presente assieme a Nash, si libera sopra l'orizzonte della Bay Area, Da
quel mitico album potrebbe discendere anche New
Mexico mentre sono i toni
da ballata rock a condurre Illumination, epica e travolgente come le onde di Big
Sur, imparentata con il surfing lisergico
di Chris Robinson Brotherhood. Terre grigio e rosa rubate ai Caravan invece
quelle di Fazon dove morbide
percussioni dondolano attorno ad un clarinetto jazz e a voci rilassate che
salgono da Canterbury. Desert Trip, questo sì un ritrovato
ingiallito giornale sulle amenità del Laurel Canyon sound, pianoforte, voce ed un filo di ritmo in
equilibrio con una melodia delicata e
avvolgente, è un miraggio desertico e potrebbe essere la conclusione di un
disco pressoché perfetto se Jonathan Wilson non si facesse prendere la mano e
volesse fare con Love Strong il John
Lennon al pianoforte, peraltro aggiungendovi una stramba spruzzata di country a
metà del pezzo e All The Way si dilungasse lenta e affaticata. Poco
male, Fanfare rimane una
interessante e per molti versi riuscita celebrazione del talento musicale di
Jonathan Wilson e della sua vulcanica esigenza espressiva, come molti dischi
così ambiziosi, lunghi e "onnipotenti"( non a caso la copertina è presa
dal Giudizio Universale di Michelangelo Buonarroti) non è un capolavoro ma ciò
non toglie che qui brillino una bellezza ed una fantasia che è un delitto
ignorare.
MAURO
ZAMBELLINI
10 commenti:
Sono due anni che aspetto questo disco e non vedo l'ora di sentirlo.
JW, uno dei 5 o 6 di cui ora comprerei un disco a scatola chiusa . . .
Andrea Badlands
per Andrea : e quindi quali sono gli altri 5/6????
non sono andrea badlands ma partecipo volentieri alla domanda di bobrock: black crowes, gov't mule, drive by truckers, lucinda williams, north mississippi allstars e forse ryan adams....forse....
Per non rock i5/6 sono Wilco, Avett Brothers, Lucinda Williams, Decemberistt, Bruce. Forse qualcun altro . . .
PS so di dare un gran dispiacere a Zambo, ma i Black Crowes proprio non mi piacciono!
Andrea Badlands
a scatola chiusa oggi non compro più nemmeno Bruce........ma di Lucinda Williams, Wilco e i Black Crowes (pazienza Badlands non si può essere tutti uguali)in genere mi fido e poi Bruce lo compro anche se non è bello, questione di affetto....come con gli Stones, a proposito il DVD di Hyde Park in uscita l'11 novembre è bello come film e come concerto e in più c'è il mio amico Gianfermo Cadei in primo piano con bandana rossa nella bonus track Emotional Rescue. E' entrato nella storia, se lo merita, ha speso un patrimonio per gli Stones
cazzo dimenticavo gli stones!
E io i Black Keys che ho snobbato sinoa cirva 18 mesi fa. E aggiungerei Graham Parker per affetto, come dice Zambo, cosa che vale anche per il Boss
Saluti a tutti!
Andrea Badlands
Vista ora la sarcastica recensione anche del Blue Bottazzi sono proprio curioso e mi riprometto di fare un altro post non a caldo. Domani vado da Buscemi a prendere lui e gli Avett
Andrea Badlans
Ottima recensione, ho già virtualmente consumato il disco su spotify ed mp3, unico neo è che, a parer mio, Lovestrong è uno dei pezzi migliori del disco, insieme a Future Vision e Dear Friend.
Bastio
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