Avviso
ai naviganti, come suggerisce il titolo è il
mio meglio dell'anno in fatto di rock, non "il meglio del 2013",
questo spetterebbe ad un team di
giornalisti di una rivista (e per questo rimando al numero di gennaio del Buscadero
o a qualsivoglia altra rivista e web musicale) oppure ad una comunità di
ascoltatori, appassionati e quant'altro. Per cui questo scritto racchiude solo
ciò che mi è piaciuto, tra quanto ho potuto ascoltare. Certo la nascita di
Spotify ha semplificato molto le cose e fatto risparmiare i consumatori di
supporti musicali solidi, oggi si può ascoltarsi un disco nuovo o vecchio che
sia, non tutti comunque, e poi decidere di comprarlo evitando di spendere i
soldi per nulla, dando retta a
recensioni spesso fuorvianti o eccessive o semplicemente non sintonizzate sui
propri gusti. Cercherò di non ripetere quello scritto a proposito del 2011 e
del 2012 ma una considerazione mi tocca, purtroppo, farla : si può dire e
scrivere ciò che si vuole, si può tirare in ballo l'età, le emozioni legate
agli anni giovanili, le aspettative, gli amori, il fatto che nel rock n'roll è
già stato fatto tutto, la tecnologia e tutto quanto volete, ma è
incontrovertibile che nei dischi del passato c'era più creatività, ispirazione,
spontaneità, genio. Basta leggersi una delle tante compilation che molti si
divertono a mettere su facebook o in qualche blog riguardo alle uscite discografiche
di una determinata annata degli anni settanta e ottanta, ma anche novanta, per
non parlare dei sessanta, con le relative copertine e accorgersi che un anno a
caso di quelle decadi oscura completamente, a livello di qualità e creatività, qualsiasi annata recente, non oso
dire che la ridicolizza ma rende il paragone impietoso, come confrontare Berlinguer
con Renzi. Detto questo ognuno è libero di pensarla come vuole e di trarre le
proprie conseguenze, la mia è che si vendono meno dischi perché oltre alle
infinite proposte della rete, i dischi sono meno belli e così, a parte il
capitolo ristampe e anche qui ci sarebbe da fare dei distinguo, uno con la
musica può contenere le spese, se non ci fossero i concerti, vera spada di
Damocle sulle nostre tasche, i cui biglietti sono arrivati a livello di
stipendio da parlamentari o manager,
visto che per Dylan, uno che passa in concerto un anno sì ed un altro si, lo
scorso novembre a Milano bisognava sborsare 90 euro. Dicono, ma era il Teatro
degli Arcimboldi, si sentiva bene e si stava comodi; vabbè, che vuol dire,
quello è il minimo che deve offrire un luogo adibito alla musica, se tali luoghi
non esistono in Italia non è mica colpa dell'ascoltatore che deve pagare
l'equivalente di due giorni e mezzo di lavoro (se qualcuno il lavoro ce lo ha
ancora) per vedersi l'artista di suo gradimento. L'alternativa non è prezzi
contenuti, luoghi inadatti e scomodi e acustica di merda, anche se ancora oggi
da noi capita così, ad esempio i Gov't Mule alle Officine Ansaldo di Milano. All'estero
i prezzi sono più alti mediamente (ma non sempre, mi ricordo un paio di anni fa
per Clapton/ Winwood Band alla Royal Albert Hall ho speso 55 sterline,
quindi........), ma sono più alti anche gli stipendi e l'acustica è sempre
all'altezza della situazione, anche in un club o in un locale di periferia.
L'impianto audio è la prima cosa che deve curare un gestore, grande o piccolo
che sia il locale. Rispetto per gli artisti e per il pubblico.
Comunque
la musica, oggi, in rete non costa praticamente nulla e si accede ad una
quantità impressionante di musica a costo zero, ma, o avete delle ottime casse
collegate al computer oppure vi accontentate di una qualità audio svilita. In
entrambi i casi molte frequenze sono scomparse e le compressioni snaturano l'uscita
e quindi l'ascolto. Saggio è quanto scrive, a proposito, Neil Young nella sua divertente biografia, Il
Sogno di un Hippie, consigliato. Per cui lunga vita al CD e al vinile,
ritornato di moda.
Vado in ordine sparso, complice un
Barbera del 2011, tredici gradi, non barricato, azienda Marchisio, zona Castellinaldo,
provincia di Cuneo, imbottigliato dal sottoscritto. La caduta discografica è
sotto gli occhi di tutti (o magari solo dei miei e di tanti amici che conosco)
ma, al contrario, i concerti rock vivono un momento di gloria e sono tanti quelli super, un segno dei tempi e
del mercato. Da anni i musicisti hanno spostato gli investimenti dalla sala di
registrazione ai tour , pubblicando dischi con l' unico pretesto di allestire
nuovi tour, si vendono meno dischi ma capita
sempre più spesso che per i grandi nomi
(vedasi recentemente per Nick Cave) se non ci si muove per tempo diventa poi
arduo trovare un biglietto disponibile, anche nelle grandi arene e negli stadi.
Springsteen docet. In quanto a concerti visti, entusiasmanti sono stati Neil Young & Crazy Horse il 14 luglio a Locarno (vedi blog), concerto
dell'anno per il sottoscritto, i Black
Crowes all'Alcatraz di Milano (vedi blog), Jonathan Wilson al Carroponte di Sesto San Giovanni (vedi blog),
gli Waterboys all'Auditorium di Milano (sublimi) ed il
magnetico Nick Cave and The Bad Seeds all'Alcatraz
di Milano a fine novembre. Mi sono capitati anche concerti minori interessanti,
uno su tutti, energico e trascinante da morire, quello di Moreland & Arbuckle ad Ameno Blues, duo del Kansas con qualche
vaga somiglianza ai primi Black Keys ma meno commerciali nel loro Delta
blues-rock ad alto voltaggio elettrico. Il loro 7 Cities rientra nei Best dell'anno, almeno in quella
serie B in odore di promozione. Tra i concerti visti solo in DVD consiglio
altamente lo show dei Rolling Stones
dello scorso estate ad Hyde Park immortalato in Sweet Summer Sun. Ne ho
già scritto sul blog ma ribadisco il concetto, visto che è di moda lo sport di sparare
contro le Pietre, dal punto di vista musicale è un signor concerto di rock
n'roll vecchi tempi, con canzoni straordinarie ed immortali (magari la scaletta
è scontata ma fa parte del tour del 50esimo, quindi una celebrazione) dove loro
(in particolare Jagger) confermano il patto col diavolo e di avere sempre avuto il tempo dalla loro
parte, nonostante non siano mai stati un gruppo trendy. Non hanno snaturato di
una virgola il loro lessico musicale, che era dello sporco R&B contaminato col rock
n'roll di Chuck Berry ed il blues di Muddy Waters, caso mai l'età pesa sulle
esecuzioni ma questo è naturale. Inoltre come usano loro l'arte della
comunicazione non c'è nessuno, le riprese e le immagino sono fantastiche, il montaggio,
le sequenze, i tempi sono di una grande regia, per cui consiglio il DVD
piuttosto che il CD perché i Rolling Stones rimangono il più grande spettacolo
del rock n'roll.
In tutte le classifiche delle riviste
altolocate, Mojo, Uncut, Rolling Stone, The Next Day di David Bowie si è
piazzato nelle prime posizioni con tanto di recensioni entusiaste. Anche in
Italia è stata la medesima cosa, leggo un gran bene un po' ovunque, nei social
network e sui giornali. Buon per il Duca
bianco. Ho sempre preferito il Principe nero (Lou Reed), che purtroppo ci ha lasciato troppo presto dopo aver
sconvolto da solo e coi Velvet il corso della storia del rock. Gli sia lieve la
terra e luminoso il cielo (o tiepido l'inferno, più probabile). Del Duca non sono mai stato un grande
ammiratore anche se posseggo qualche album ed una antologia, ma non faccio
testo visto che reputo Scary Monsters uno dei suoi migliori dischi. Di lui non ho
mai amato quegli atteggiamenti snob intellettual-aristocratici e quel sound
gelido da Berlino in guerra fredda. E poi negli anni settanta incarnava una
decadenza che puzzava un po' di nazismo ai miei occhi, avete presente il film La Caduta degli Dei........personalmente
mi sentivo più blouson noir e rock n'roll. Il suo The Next Day, dopo quanto
letto, mi incuriosiva anche perché assieme a John Fogerty ( modesto il suo
disco di duetti) e Paul McCartney (materia che non tratto) è stato l'unico dei
grandi vecchi a sfornare un disco nel 2013. Ma poi mi sono detto, non l'ho mai
seguito in 40 anni (il Duca, dico) perché iniziare propri adesso che ne ho più
di sessanta, per cui ho lasciato perdere. L'ho ascoltato distrattamente in
Spotify e la storia è finita lì. Non insultatemi. Un altro che è finito nelle
classifiche "importanti", specie quelle inglesi, è Roy Harper,
settantenne nome tutelare dello psycho-folk
, che ha avuto nel passato relazioni (artistiche) con Led Zeppelin e Pink
Floyd. Il suo The Man & Myth è addirittura venerato come culto e così mi ha
indotto, non senza timori, a comprarlo (su Spotify non era
disponibile), solleticato anche dalla produzione di Jonathan Wilson, musicista,
autore e produttore, che nell'attuale panorama giovanile reputo tra i più
interessanti. Certo la storia di Roy Harper è di quelle che fanno retromania e valgono un bella cover
story, e poi quelle corna da caprone sulla copertina mi facevano venire in
mente i diavoli di Goats Head Soup (altra
storia, comunque) quindi mi sono detto, dai Zambo, lascia perdere quelle
fottutissime strade americane su cui continui a passare ore della tua vita e
fatti un trip nei boschi e nei misteri di Albione, espandi il tuo ascolto
cazzo, sii cool e open mind. Conclusione, ho comprato il disco, l'ho ascoltato
tre volte con molto impegno e attenzione e poi l'ho rivenduto a metà prezzo ad
uno molto più cool di me. Non che sia un brutto disco, intendiamoci, è solo che
quel visionario farneticare barocco tra abissi e Dio Pan non fa per me, figlio degli Stones e del
Barbera, mistico un giorno al mese e biker sette mesi all'anno. Eppure amo Nick Drake e John Martyn ma Roy Harper è troppo mitologico per me. Per
cui sono subito tornato alle fottutissime strade americane con un
blues d'annata aspro e farneticante ma umano e realista (non nel senso
monarchico), disordinato ma terreno. Mi sono comprato il vinile, in questi
casi, complice anche la copertina, è necessario il padellone, di I Do Not Play No Rock n' Roll di Mississippi
Fred Mc Dowell, disco del 1970 oggi ristampato, assolutamente strepitoso.
Cazzo (non è una parolaccia, solo un intercalare che ne rafforza il senso) che
disco. Un disco che se vi capitasse, per fortuna ed una volta nella vita, di
avere a cena da voi Keith Richards, potete metterlo sul giradischi e andare
avanti imperterriti tutta la sera con solo quello per colonna sonora, perché se
dopo il quarto ascolto faceste gesto di toglierlo dal piatto il buon vecchio
Keef vi morsicherebbe le mani. A proposito di Jonathan Wilson il suo Fanfare ha spaccato in due critica e
pubblico, chi lo odia e chi lo ama, senza mezze misure. Alla americana, due
partiti e stop. Meno male che c'è
qualcuno che ancora fa discutere, la discussione è vitale, poi ognuno si tiene
il suo punto di vista ma almeno si dialoga, si scambiano opinioni, sperando che
non si tramutino in slogan o in cori da stadio. Come la penso a proposito di Fanfare
è in un post del mio blog, lo
trovo un disco non perfetto ma con molte idee e trovate melodiche,
arrangiamenti e fantasia, ricorda un disco che ho amato, Pacific Ocean Blue di
Dennis Wilson e ha il potere di riportarmi sul Tamalpais sopra la Baia dove
David Crosby concepì il suo meraviglioso If I Could Only Remember My Name. E'
magari troppo lungo, 78 minuti, se
avessero tolto gli ultimi tre brani sarebbe stato perfetto. Ma va bene anche
così, un po' di visioni californiane d'antan li regala eccome e certe prelibate
acidità ormai li potete gustare solo con lui e con Chris Robinson Brotherhood,
quindi consigliato.
Visto
che il Boss ha intitolato il suo nuovo album High Hopes (recensione su
questo blog, il giorno dopo la Befana, e poi mi do' alla macchia) sono andato a pescare nei mie scaffali l'unico
Lp degli Havalinas datato 1990, dove
quel trio losangeleno un po' burino e chicano suonava quel brano per la prima
volta. Lo facevano alla grande, con l'unica tecnologia di basso/chitarra e
batteria, ed era tutto il long playing a
girare giusto. Un disco bello ancora oggi, un suono ruspante e frizzante
prodotto da Don Gehman che più o meno
nello stesso periodo produceva i R.E.M di Lifes
Rich Pageant e i Blasters di Hard Line, mica bruscolini. Siamo in
quella Los Angeles meticcia, sporca e tatuata che nel rock n'roll è una specie
di Eden, gente sfuggita alla galera
grazie ad un roots-rock venato di blues, mexican flavour e rockabilly, un album che avrà venduto un
centinaio di copie in tutto il mondo e che Springsteen con la ripresa di High Hopes ha consegnato alla leggenda. Tra le diverse
tracce di quel' Lp spicca There Was This Mother che pare estratta dalle outtakes di The River (il prossimo 2014 finalmente la ristampa
deluxe). Di tempo ne è passato, gli Havalinas non esistono più ed il loro
leader, Tim McConnell, se ne è
andato a vivere nella fredda Norvegia. Si veste come un tempo, sembra uscito da
un party di gothic-rockabilly, sguardo obliquo, tatuaggi a iosa, cuoio nero e
aspetto trucido, suona ancora del tagliente rockabilly blues, adesso in
prossimità di un fiordo e non nel barrio di East L.A. Come per i giallisti, il
Nord è diventata la nuova frontiera del rock. Gli Havalinas nel 1990 sapevano suonare
Springsteen, Springsteen nel 2014 (dopo una bella versione di High Hopes ai tempi di Blood Brothers) ha cambiato pelle ad High Hopes con infiltrazioni
di silicone boombastic. Che dire? Che Springsteen si interessi più alle
classifiche pop che al rock n'roll, almeno in studio di registrazione? Tim Mc Connell è rimasto fedele a sé stesso,
anche se alle sue esibizioni ci andranno una cinquantina di persone, non
occorre prenotare, si entra gratis e tra birre e aringhe si respira l'odore del
caro,vecchio rock n'roll. Se passate
dalla Norvegia, fate una sosta, ne vale la pena, Tim Mc Connell è lì che canta blue-collar-rock is here to stay.
Americana è entrata nel gergo comune dei musicofili ( a
proposito il libro con lo stesso titolo scritto da Mario Maffi, Cinzia
Scarpino, Cinzia Schiavini, Massimo Zingari è un must per tutti
coloro che amano le strade americane) ma nello stesso tempo come
"genere" rock ha perso incidenza, da qualche anno sembra in crisi o magari
è solo in trasformazione. Per saperne di più sulla sua evo/invo/luzione
rivolgersi a Buscadero e Roots
Highway, testate informate, alle orecchie degli ascoltatori è comunque venuta a
mancare la primitiva freschezza, la novità, la spontaneità. Anche le band che
hanno scritto l'A,B,C del movimento latitano o sopravvivono con dignità, qualcuna ruggisce, isolata ma splendente
come una Long Night Moon. E' il titolo del bell'album dei Reckless Kelly, texani anomali e fuori
dal coro, suggestionati dalle ballate al chiaro di luna e dalla wilderness .
Trovate la recensione in un precedente post e se doveste comprare il disco non
vi pentirete. Vi portate a casa i Drive By Truckers che cantano come Steve
Earle. Ai confini di americana sono i
newyorchesi Del Lords il cui Elvis
Club (vedi post) eleggo a disco rock n'roll dell'anno per
quell'attaccamento non ortodosso alle radici del genere, ovvero attitudine
urbana da Cbgb, suono Memphis, ballate agrodolci, tanto neon e twangin' anni
50. Sono gli ultimi operai del rock n'roll, piacciono anche a Maurizio Landini,
ne sono sicuro. Difenderli è difendere il passato di questa musica, la sua
storia, e un presente resistente. Disco soul dell'anno (ma ho saltato, mea
culpa, Mavis Staples) Memphis di Boz Scaggs, un sopravvissuto dei sixties con una voce al velluto
capace di ricreare il mood di Al Green nelle incisioni della Hi Records.
E' bianco ma canta con il pathos e l'eleganza dei grandi soulmen, senza mai
sbrodolare, affidando i suoi licks chitarristici ad un sound morbido che non
nega però affondi nel blues (magistrali Corrina,
Corrina e Dry Spell di Son
House), nel rock n'roll (Cadillac Walk),
nel soul di ogni colore (bellissima Rainy
Night in Georgia di Tony Joe White e Can
I Change My Mind di Tyrone Davis).
Il suo è un ristorante raffinato e non una trattoria casalinga ma una volta
ogni tanto una coppa di champagne tira
su il morale. E poi è l'unico che si sia ricordato di Willy DeVille riprendendo
Cadillac Walk e Mixed Up Shook Up Girl. A proposito, quest'anno è uscito un libro
sul nostro caro gitano scomparso nel 2009, si intitola Love and Emotion- Una Storia di
Willy DeVille, è l'unico testo al mondo esistente su di lui. Se fossi
Gianni Mura nei suoi Cattivi Pensieri
domenicali su Repubblica darei il voto: otto.
Un mio caro amico architetto e
ristoratore che ha due figli a scuola in
età elementare, stanco dei nomi delle
teen-boy band che girano in classe tra alunni e maestre, ha iniziato i figli ad
una cura Strypes per combattere
l'egemonia delle band alla One Direction
che girano attorno. Sembra che abbia funzionato, i suoi figli non vanno a
dormire se non dopo aver ascoltato Snapshot (vedi blog) . Lo consiglio
anche agli adulti sebbene i tipi non siano ancora ventenni. Gli irlandesi Strypes vengono da una provincia povera e depressa e
possono contribuire a difendere una gioventù cresciuta nella bambagia dalle
porcherie e idiozie e contemporaneamente far felici padri, zii e pure qualche
nonno. Col loro disco hanno riportato indietro le lancette dell'orologio al
1965 quando i club inglesi si inebriavano delle gesta primitive di Yardbirds,
Stones foruncolosi, i Beatles di Kansas
City e Long Tall Sally, i Kinks di You
Really Got Me, mettendoci però il tiro degli Inmates, dei primi Nine Below
Zero e di Dr.Feelgood in Stupidity .
Devastanti e salutari. Blues, r&b e rock n'roll alla velocità della luce,
con l'energia del punk . Forse dietro loro c'è un "disegno superiore"
visto che fanno da supporter ai concerti degli incensati brit-poppers Arctic Monkeys ma inserire il loro Snapshot
nell'ora di Educazione Musicale
delle Scuole Medie può essere un primo passo per salvare i nostri giovani dal
peccato.
Jamie N' Commons (vedi
post) col suo Ep, Rumble and Sway, si rivela
una delle più allettanti promesse nel campo del songwritig rock, ambito
che tra fremiti acustici folk e chitarre elettriche conosce un momento di
rinascita (Jake Bugg, Israel Nash Gripka, Johnny Flynn, Willy Mason, Slaid
Cleaves, Ben Howard, Hayward Williams solo per fare qualche nome). E' inglese ed il suo nuovo Ep mi ha stupito, difficile
trovare oggi tanta forza espressiva,
grinta e personalità in un semi-esordiente, una voce autorevole che ti arriva
dentro senza preavviso e ti scombussola. Ha l'oscurità di un bluesman ma
appartiene ad un mondo post-industriale di geometrie spigolose e metalliche. Un
uomo in nero tra Johnny Cash, Nick Cave e John Hiatt, di cui riesce ad offrire
una sensibile versione di Have A Little
Faith. Folk-rock elettrico del XXII
secolo il suo, scuro e sincopato, ma non privo di romanticismo. Sentire per
credere. Visto il riferimento non si può negare che Push The Sky Away di Nick Cave and The Bad Seeds sia uno dei
dischi più belli dell'anno, lo dice uno che non si è mai strappato i capelli
per l'australiano, un disco come quelli di una volta, che si continua ad
ascoltare per mesi e mesi. Dei concerti di Nick Cave visti, il primo erano
ancora gli anni ottanta, quello di quest'anno all'Alcatraz è il mio preferito
proprio per i toni non esasperati alla Grinderman, così come prediligo i suoi
album più melodici ed introspettivi, tipo Boatman's
Call e Murder Ballads e ovviamente Push
The Sky Away, intimista, elegante, a tratti struggente, perfino delicato
nell'uso dell'elettronica, eppure
profondo ed emozionante. Concerto e album magnifici, un 2013 da incorniciare per Nick Cave ed una canzone,
Higgs Boson Blues, per il sottoscritto
il top del suo show milanese, già scolpita nella storia.
Della serie casi strani della vita,
segnalo il ritorno di Sixto Rodriguez (vedi
post) folk-pop-rock singer/songwriter prima dimenticato e poi riscoperto grazie
ad un rockumentario, Searching For Sugar Man curioso ed
eloquente circa gli up and down del rock, tra poco disponibile in DVD anche coi
sotto titoli in italiano. Si racconta la sua strana avventura al suono delle
sue canzoni migliori, tratte dagli unici due album pubblicati tra il 1970 (Cold Fact) ed il 1971 (Coming From Reality). A marzo sarà in
concerto a Milano e Bologna, date andate sold out quattro mesi prima, stranezze
paradossali per un artista che per circa trentanni, a parte Sud Africa ed
Australia, è stato completamente ignorato e nessuno se l'è filato.
Che
per i songwriter, come scritto sopra sia stata una buona annata, lo dimostra l'interesse
che ha suscitato il nome Phosphorescent,
creazione del cantautore di Athens,
Matthew Houck attorno a cui ruotano alcuni turnisti formanti una band.
La sua musica è stata definita alternative
country indie rock per via di un suono lo-fi e di un uso misurato della lap
steel e dell'elettronica, quasi un ossimoro a prima vista. Ed invece Phosphorescent crea una musica intrigante, melodica e
modernista al tempo stesso, con ballate che invogliano a sognare quell'America
che negli anni settanta era protagonista dei film della New Hollywood ( a tale
proposito consiglio l'economicissimo ed informato e approfondito Lost Highway, pamphlet di supplemento al settimanale FilmTV diretto da Mauro Gervasini, uno
dei pochi in Italia che capisce come il cinema si accompagni al rock). Si
intitola Muchacho il disco di Phosphorescent e la copertina è singolare:
un tipo outsider con tanto di barba,
baffi, camicia slacciata e cappello da cowboy è i compagnia di quella che
appare come una dolce prostituta
all'interno di un motel di quarta categoria ai bordi di una highway americana.
Sembra la scenografia di Reno dello Springsteen di Devils and Dust, ma qui atmosfera e musica sono ridenti, niente
smarrimento e sensi di colpa ma sorrisi e complicità oltre che birre e sesso allegro. Magari non è
così ma le copertine hanno il loro potere e questa di Muchacho è proprio un quadretto
filmico. Un disco originale, fuori dai
canoni con una musica che accontenta sia i frequentatori dell'indie-rock sia i sognatori di un'America da strade
perdute. E poi Song for Zula è una
canzone che lascia il segno. I limiti per Phosphorescent si riscontrano in concerto, chi lo ha visto
alla Salumeria della Musica di Milano qualche mese fa riferisce di uno show
poco diverso dal disco, un poco rigido e senza troppo entusiasmo.
Di
tutt'altro tenore i lavori di Tony Joe
White e della cantante Beth Hart.
Adesso che non c'è più JJ Cale (altra
triste perdita del 2013) è rimasto solo Tony Joe White a suonare quel blues
strascicato, pigro ed ipnotico che è la fotografia di un sud misterioso e arcaico che sta tra Missouri,
Mississippi e paludi della Louisiana. TJW
è un settantenne che fa dischi regolarmente uno ogni tre anni, tutti
uguali, stesse note, stessa atmosfera, stessa voce bassa e monocorde. Uno
swamp-blues dolente ed affascinante, una monotonia che è un pregio, un copione
che lui ha inventato e molti imitano. Hoodoo non è tanto diverso dagli
ultimi che lo hanno preceduto ma la voce sofferente di TJW si fa carico dei
dolori e delle ingiustizie subite dalla popolazione della sua Louisiana, tra
disastri ambientabili riconducibili alla cinica logica del profitto e sciagure
climatiche "divine" quali alluvioni ed uragani. Nonostante ciò Hoodoo
infonde un senso di pace e tranquillità nella ineluttabilità degli
eventi, un disco sonnolente, sussurrato, estremamente piacevole.
Puro
mainstream nel campo del blues e del
soul è SeeSaw della coppia Beth Hart e Joe Bonamassa. E' il secondo disco che fanno insieme e la
partnership funziona. Beth Hart ha una voce potente e flessibile, urla ed
accarezza, è Tina Turner ed Etta James, è forte e dolce e padrona di chiaro
scuri fluttuanti col dono della grande interprete. Maneggia blues, soul, pop e
rock con una facilità incredibile e riesce a tenere al guinzaglio Joe
Bonamassa, un chitarrista propenso all'enfasi e alle iperboli, spesso sopra le
righe, che invece in presenza della Hart rimane nei ranghi, misurato e plateale
solo quando serve. Non nego che il loro See Saw lo abbia ascoltato più di
quanto prevedessi, qualcuno lo troverà troppo classico ( come d'altra Can't
Get Enough dei Rides ovvero il supergruppo formato da
Steve Stills, Barry Goldberg e Kenny Wayne Shepherd, consigliato) ma è musica
sensuale, calda, ottimamente suonata. Calda e rovente è pure l'ugola di Danielle Schenebelen, bassista, assieme ai fratelli Nick (chitarrista) e Kris
(cantante e batterista) membro di un trio che ha rubato il nome ad una canzone
dei Led Zeppelin di Phisical Graffiti ,
Trampled Under Foot. Vengono dal
Kansas come gli amici Moreland & Arbuckle e sono divenuti grandi con una
dieta di Hendrix, Led Zep, Bonnie Raitt, Otis Rush, James Brown e Memphis sound. Il loro Badlands, titolo e
copertina da applausi anche se poco originali, è il classico B-record che vale
più di tanti dischi da classifica. Un concentrato di rock viscerale, sporco di
blues e di soul sexy come la voce di Danielle che ti toglie il fiato e ti fa
muovere anche se sei stanco morto. Sono giovani e pieni di energia, bravi e
sconosciuti, onesti e appassionati pur con le ingenuità della gioventù, se
qualcuno nei festival blues della prossima estate li mettesse sul palco il
successone sarebbe assicurato. Senza spendere troppi soldi.
Curioso
è l'ennesimo, il millesimo?, concerto dei Grateful
Dead , Sunshine Daydream ovvero
estate del 1972 in Oregon in mezzo ai boschi e senza polizia, tantomeno hell's
angels. Il concerto, tre CD, è all'altezza delle loro cose migliori, con una stratosferica
e acidissima Dark Star di 31 minuti
ma eccezionale il DVD, filmato pressoché
amatoriale in sintonia con i free festival dell'era. Difatti, dopo che i
volunteers hanno montato il palco nel verde delle foreste dell' Oregon, sotto
un sole cocente, (Veneta è la località), i Dead iniziano a planare nel cosmo
coi loro strumenti attaccando in sequenza Promised
Land, China Cat Sunflower, I Know You Rider e Jack Straw, gli astanti si
mettono a ballare. In meno di un'ora sono praticamente tutti "fatti"
e la maggior parte nudi. Tranne i Dead (forse) che sembrano compiti nel loro
acid rock, qui psichedelico come non mai. L'espressione di un'epoca felice, una
season of love protratta negli anni. Era il 72 e la stagione
dell'amore era stata ufficialmente chiusa cinque anni prima.
In
campo più soffice e sobrio ( ma era stranoto il loro smodato consumo di cocaina
mentre lo registrarono) vale la pena la
ristampa in tre CD (originale, outtakes ottime ed estratti del Rumours World Tour del 77) di Rumours
dei Fleetwood Mac, un disco
ai confini del pop, elegante ed intrigante come una bella donna borghese dal
fascino discreto e misterioso. Steve Nicks poteva esserla al tempo, anche se i
suoi veli, i suoi cappelli, i suoi abiti zingareschi, le sue acconciature, la
rendevano troppo fatalona e hippie-chic per essere veramente tale. Rumours
è uno dei simboli del rock californiano degli anni settanta, un soft-rock godereccio e raffinato e Stevie
Nicks una magnifica vocalist, sentire la sua Dreams è una delle gioie della vita, canzone che ha sedotto
anche quell'arruffato di Ryan Adams che con gli Whiskeytown ne faceva una
rockata versione ai tempi di Strangers
Almanac, la cui edizione deluxe uscita nel 2008 è assolutamente da
recuperare.
Mi
fermo qui, qualcosa avrò sicuramente dimenticato, degli italiani ho parlato in
diversi blog durante l'anno, scusate se sono stato prolisso ma il Barbera mi ha
preso la mano. Buon Anno e tanta serenità.
MAURO ZAMBELLINI 27 dicembre 2013
15 commenti:
Ben scritto. Non hai ancora imparato come si mettono le foto, ma scrivere lo sai fare.
hai ragione Blue, avrei bisogno di un po' di ripetizioni da te, Buon Anno
Certo il Barbera avrà dato il suo contributo, ma nn ricordo un best of the year così fluido, così scorrevole, ... insomma così sorseggiabile. E' sempre un piacere leggere i tuoi best. Di mio ne sottolineo 2: Wilson e Commons. Ne aggiungerei altri 2: Staples e J.Hunter. Di concerti quest'anno zero. Avevo preso quello per Wilson al Carroponte ma no sono riuscito ad andare. Buon anno Zambo!
PS: molto bello il tuo ricordo del Mucchio su Wild Thing.
Andrea Badlands
Puro Zambo 100%, invecchiato per bene come sa fare il Barbera. Buon anno, Mauro!
Che dire...al di là di una presunta piaggeria: applausi! Grazie Mauro, per questo e mille altri "viaggi" nel mondo che preferiamo, tra sogno e reltà. Ho appena ascoltato qualcosa di Jamie N'Commons, e sono certo che vada approfondito. Anche se non proprio simile mi ricorda nell'attitudine una tua dritta di qualche tempo fa, Phil Cody, un songwriter ora dimenticato ma autore di un esordio memorabile. Ad ogni modo tanti auguri per la fine di questo e per l'inizio del prossimo anno. Paolo
Un anno raccontato meravigliosamente. Grazie, e buon anno!
Concordo con molte considerazioni del grande Zambo, in particolare sull'attuale situazione del mercato discografico e sul livello dei (troppi) dischi che vengono pubblicati. Sunshine Daydream dei Dead per me è la ristampa del nuovo millennio...un disco fantastico e un dvd che rappresenta al meglio un'epoca lontana e irripetibile. Quanto ai concerti, sicuramente troppo cari, continuano ed emozionarmi e quest'anno ne ho visti almeno cinque ottimi: Neil Young a Lucca, Bruce a Padova, B.Crowes a Milano, Waterboys a Milano, Steven Wilson a Torino oltre ai Gov't Mule a Milano, grandi nonostante una location indegna.
Bellissimo approfondimento sull'anno appena concluso ma con Zambo non avevo alcun minimo dubbio.Con la crisi che ci attanaglia già da qualche anno purtroppo gli acquisti si riducono ed è arduo far una scelta.Questa volta mi son tenuto ai margini e mi son portato poca roba lungo la strada:"Get Up" :Ben Harper & Charlie Musselwhite(Un gradito ritorno), J.J. & Mofro"This River",Madeleine Peyroux :"Blue Room"e per gli Italiani ho scelto i Sacri Cuori di"Rosario"ed ho scoperto a dir il vero un po' in ritardo i fantastici Guano Padano "Guano Padano2" per rimanere in ambito Morricone, surf e desert sound!!!All'ultimo ho preso l'ottimo Crossroad aa.vv. e per quel che riguarda i concerti ho visto Bruce a Napoli(fantastico come sempre) ma avrei visto volentieri anche Neil e i Black Crowes ma la crisi pesa sul portafoglio e stando al sud siamo anche penalizzati dalle distanze. Buon Anno a tutti e per dirla alla oung"Keep on rockin'"(Armando Chiechi Ba)
Pardon : *Young :"Keep on rockin'"Armando
lascio perdere i complimenti per come scrivi ma sopratutto per i contenuti etc etc te li facciamo ogni volta e per me resti uno dei pochi accreditati da leggere con piacere.
concordo su tutto; dischi nuovi ed entusiasmanti faccio fatica a trovarne. Sara' anche l'eta (entro nel 50mo)quindi sono prevenuto e ancorato ai miei vecchi eroi che anno dopo anno passano a miglior vita.
vivo di ristampe e dischi dal vivo........ne cito due imprescindibile quella dei waterboys e il vol 3 di jerry garcia con la legion of mary.
Disco dell'anno (ma sono di parte perche' e' il mio gruppo preferito) Gov't Mule con Shout, stupendo Nick Cave, aggiungo anche Primal Scream e Costello (massacrato dalla critica ma chi l'ha recensito l'ha ascoltato una volta).
capitolo concerti: prezzi da brivido, bisogna fare mutui di liquidita' per poterci andare oppure impegnarsi un rene....non solo. dopo aver effettuato la cessione di un quinto del tuo stipendio a volte non basta.... e quando finalmente hai i fondi necessari devi pregare di riuscire a prendere la linea in tempo perche' "gli amici degli amici " hanno gia' fatto sparire tutto su TKT1 nel giro di pochi minuti . Ultimo esempio Pearl Jam biglietti in vendita alle ore 11 e mezzora dopo il prato di Milano e Trieste era gia' esaurito mentre altri siti contestuamente gia'li vendevano.........
Ogni volta che li compro mi sento come Usain Bolt alla finale dei 100 metri ..devo essere sempre piu' veloce........
Concerti 2013: cito solo quelli italiani anche solo per evitare di sfigheggiare ( c'e un tuo amico sulla pseudo rivista migliore ..a cui piace tanto raccontare dei suoi concerti dimenticandosi che viviamo in italia ma il suo ego gli esce da ogni orifizio....sapesse anche scrivere ..vabbe' )
Neil Young Lucca al primo posto (ho visto anche Roma ma Lucca nettamente meglio)
Black Crowes (Milano & Pistoia alla pari)
Nick Cave Milano
Dream Syndicate (Mezzago) ..fantastico
Eels (milano ) grande Mark !!!
e ovviamente Govt Mule (Milano) che acustica a parte sono insuperabili dal vivo
Menzione d'onore:
Little feat chiari
Southside johnny Milano
Living Colour Milano
primal Scream Milano
Iggy Pop Milano (insuperabile)
Delusione dell'anno:
peter gabriel (non crede piu' in quelle canzoni)
Giudizio sospeso:
waterboys Milano ma con quel cofanetto un concerto di due ore tirate a fatica........si puo' fare molto molto meglio.
parte due:
capitolo rolling
abbiamo tutto di loro; gliene siamo grati.
loro hanno tutti di noi (cioe' i nostri soldi), ma dal 1969 anno in cui i prezzi dei biglietti dei loro shows erano un costo sempre piu' proibitivo hanno di volta in volta alzato l'ostacolo fino ad arrivare al parossismo dell'ultimo tour .
dal 1981 anno di tattoo you e loro ultimo bel disco sono semplicemente una gioiosa macchina da soldi.
se poi aggiungi che Ron Wood che reputo uno degli uomini piu' fortunati del mondo (zero talento reclutato solo per essere l'amico di eccessi di KR) si e' permesso recentemente di dire che 800 $ sono un prezzo piu che adeguato per un loro concerto capisci bene perche' e' piu' facile incontrare Marchionne sotto il palco piuttosto che il sottoscritto o un normale lavoratore.
pero' ad Abu Dhabi nota localita' famosa per i concerti rock ci sono ancora biglietti.........
buon anno zambellini
fantastico il confronto
BERLINGUER/renzi
e scrivo volutamente renzi in minuscolo
dopo il berlusca un family banker........
non so se ce la faremo
I cant' go on but I'll go on
bell'articolo, sempre all'altezza di chi sa scrivere di musica, soprattutto quando delinei la situazione della musica in Italia, nel senso di come viene trattata, nonostante il grande numero di appassionati che la circonda...
grave disattenzione, tra i concerti migliori segnalati quest'anno mi sono dimenticato il folgorante e devastante THE DREAM SYNDICATE al Bloom di Mezzago, show incredibile nonostante fossimo delle sardine in scatola ovvero spazio troppo piccolo e caldo insopportabile, ma vabbè, costava poco e quindi.....i fruitori non avevano diritto ad altro.....pure italian style
Riletto oggi il tuo Best debbo dire che hai dei pezzi esilaranti, complice il barbera immagino, che uniti alla tua proverbiale capacità di descrivere in modo entusiasmante i dischi, lo fanno essere uno dei tuoi pezzi più belli (e si che ne ho letti). Mi stanno intrigando phosphorescent e moreland SMD ....!
Saluti
Andrea Badlands
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