C'è stato un momento che mi sono sentito preso
per i fondelli da John Mellencamp nonostante fossi un suo fan dal lontano 1980,
anno in cui lo scoprii con l'album Nothin' Matters and What If It Did quando ancora si faceva chiamare John Cougar.
E' successo a Vigevano qualche anno fa durante un concerto in cui mise in luce i suoi limiti caratteriali
facendo aspettare per due ore, nel caldo e tra le zanzare, il suo pubblico italiano (era la prima volta
che calava da noi) con un film sul making
of del suo nuovo disco, una scelta come minimo supponente e poco logica
visto che il Dvd lo si sarebbe poi potuto vedere comodamente sul divano di casa.
Anche il concerto non fu all'altezza delle mie aspettative, una parte iniziale
rootsy speculare al disco in promozione No Better Than This e poi una
seconda parte all'insegna di un chiassoso rock con tanto di basso funky e
chitarre metalliche. Non contento di ciò riuscì ad annullare il seguente
concerto di Udine per presunte magre prevendite, lasciando attoniti i suoi
estimatori del nord-est che lo aspettavano con ansia e con già il biglietto in
mano. Decisi che con Mellemcamp per un po' di tempo avrei chiuso, tengo molto
al rispetto che gli artisti nutrono verso il loro pubblico, per tale motivo ho
una stima sovraumana di Springsteen e dei Pearl Jam e poca simpatia per Van
Morrison e Ry Cooder, al di là della loro musica. Poi, come in tutte le storie
d'amore, il tempo ha lenito i contrasti, le cose belle hanno preso il
sopravvento sui pessimi ricordi e così oggi mi ritrovo a ri-parlar bene di un
disco di Mellencamp. Scusatemi, nessuno è perfetto ed una mia caratteristica è
quella di non tenere rancori, così vale la pena raccontare come è nato questo
disco dal vivo, in uscita a fine luglio. Nel 2003 l'album Trouble
No More impose una sterzata
all'avventura artistica di John Mellencamp. Il suo disco precedente, Cuttin'
Heads, aveva lasciato un po' l'amaro in bocca a quanti lo consideravano
il miglior rappresentante dell'heartland
rock dopo il graduale allontanamento dalle scene di Bob Seger, una sorta di
risposta midwestern a Tom Petty da una parte e Bruce Springsteen
dall'altra. Vero è che il duetto con la cantante India Arie in Peaceful World , il singolo che aveva
preceduto l'uscita dell'album, aveva
confortato gli ascoltatori delle radio
americane nei giorni immediatamente successivi all'attacco alle torri gemelle,
ma musicalmente parlando era poca cosa rispetto alle asprezze rock e alle
ballate con cui il rocker dell'Indiana era
entrato nei cuori degli appassionati.
Singolare il fatto che per riportare Mellencamp sulla sua strada maestra
ci volle un disco non di sue canzoni ma di quelle canzoni che avevano formato
lui come artista e i suoi fan come ascoltatori. Un patrimonio di canzoni
estratte dagli archivi del folk, del blues e della musica popolare che avevano
come comune denominatore una visione tollerante dell'America, la varietà delle sue radici popolari e delle
sue origini, il senso di un sogno comune costruito con la solidarietà e la
collaborazione, anche l'orgoglio di
essere in qualche momento
"contro" e dall'altra parte della strada se fosse stato
necessario dimostrare il dissenso ad una politica efferata, come lo era nei
giorni del conflitto in Iraq. Come dichiarò lo stesso Mellencamp a quel tempo
" quelle canzoni costituivano quel
patrimonio della musica americana con cui sono cresciuto, quella eredità che
le persone intendono quando dicono di sentirsi felici di essere americani, non
la politica estera americana ma la musica americana".
Dal
coguaro ribelle ed irascibile degli anni di gioventù, ai doveri di padre e alle
malinconie dell'uomo adulto dell'età di mezzo, fino all'artista coscientemente
critico degli anni duemila, il cammino di John Mellencamp nel rock e nella vita
ebbe con Trouble No More un sostanziale riposizionamento, una naturale evoluzione, una ulteriore
maturazione intellettuale e stilistica che permise poi quel fenomenale quadro
d'assieme che è il box On The Rural Route. Naturalmente in Trouble No More c'era il passato dell'America ovvero
Woody Guthrie, Robert Johnson, Son House, Memphis Minnie, Willie Dixon ma la
verve di gagliardo folk n' roll con cui Mellencamp e la sua band interpretavano
quel materiale, l'asciuttezza delle versioni, il preservare lo spirito
piuttosto che lo stile, faceva sì che il
disco risuonasse fresco, affatto nostalgico e fosse il naturale esito della
musica di Mellencamp alla luce di una consapevolezza sociale mai così schietta.
Trouble
No More venne registrato in
giorni di neve e di freddo polare nel febbraio del 2003 al Belmont Mall Studio
a Nashville nell'Indiana, poche miglia da Bloomington città natale di
Mellencamp e portato in tour, mesi dopo, nella calura di fine luglio alla Royce
Hall dell'UCLA di Los Angeles e alla Town Hall di New York. La scelta di una
università e della venue newyorchese
non furono dettate dal caso ma del tutto coerenti coi temi anti-governativi
presenti nel disco, in particolare contro Bush e contro la politica estera
americana, in quel momento impaludata nella guerra in' Iraq. La Town Hall di
NYC è una location storica per il folk, il blues, il jazz e la canzone di
protesta, di fatto una sala concerti anti-establishment in antitesi alla
Carnegie Hall, un luogo dove sono passati Leadbelly, Nina Simone, Pete Seeger,
Odetta e i grandi del jazz. Lì, John Mellencamp con la band con cui aveva
registrato Trouble No More ovvero Mike Wanchic e Andy York alle chitarre,
Miriam Sturm al violino, Dane Clark alla batteria, John Gunnell al basso e
Michael Ramos alle tastiere, portò il nuovo disco in un concerto oggi ricordato
da Live
at Town Hall - July 31 2003. Un
live splendido che ripropone l'umore ed il sound countrypolitan del disco che
lo ha generato, un sound ed una performance che mostrano un artista concentrato,
motivato, impegnato a ricreare storie di ramblers, fuorilegge, tempi duri e
delusioni con la compostezza di un folksinger che ha sostituito la chitarra
acustica con una rock n'roll band. Mellencamp e i suoi suonano un roots-rock
permeato di folk con la stringatezza del punk e l'immediatezza del blues, non
gli interessa imitare gli stili del
passato ma adattarne lo spirito alle nuove rabbie, al nuovo urlo di dolore,
alla consapevolezza di un mondo cambiato ma sempre identico nei soprusi, nelle
prepotenze, nelle ingiustizie, dove la povera gente continua a subire e i
potenti a dettare leggi e menzogne. Mellencamp
veste i panni di un moderno hobo rurale e metropolitano, polemico e non
allineato, adattando la lezione di Woody Guthrie e Leadbelly al nuovo ordine
mondiale. E la performance dal vivo alla Town Hall non fa che esaltare e dare
più forza ai temi e alle canzoni di Trouble No More che qui suonano ancor più crude e drammatiche
nei loro significati, non sono le copie delle antecedenti ma sono animate da
quell'ardore rock n'roll che Mellencamp ha sempre avuto nel sangue. Il suono è quello che fa da collante ai dischi
di On
The Rural Route ma ancora più
rabbioso, teso, down-home, ricco ugualmente di sfumature, dettagli,
sovrapposizione di suoni acustici ed elettrici, drumming misurato e violini
evocativi, con la voce in primo piano ruvida, caustica, accusatoria. L'eccitazione del pubblico è palpabile e non
può essere diversamente perché qui c'è una delle migliori lezione sulle origini
del rock n'roll americano. Mellencamp va alla fonte, l'agra versione di Stones In My Passway di Robert Johnson con una slide che morde
come un cane randagio, cantata con fervore fatalistico, il singhiozzo lamentoso
di Death Letter di Son House, il
viraggio celtic-folk di Joliet Bound di Memphis Minnie, la fusione di gospel e
blues in John The Revelator e l'illuminante intreccio di violino e
chitarre in Down In The Bottom scritta
da Willie Dixon per Howlin' Wolf,
iniettano la polvere del Delta negli ingranaggi del vecchio blues così
da renderlo ancor più lacerato, terreo, autentico, moderno. Da parte loro la
rilettura di Johnny Hart di Woody Guthrie, addirittura commovente, di To Washington originario brano della
Carter Family poi arrivato in mano a Woody Guthrie ed infine rivisitata nel
testo da Mellencamp per commentare sarcasticamente l'elezione di Bush/Cheney
nel 2000, l'altro traditional Diamond Joe
e la spiritata versione di Lafayette di
Lucinda Williams coprono la parte più specificatamente folk di questo viaggio
nelle roots della democrazia musicale americana, lasciando alla intima e
melodica resa di Baltimore Oriole ,
una delle vette del disco con quell' intreccio di chitarra acustica, violino e
fisarmonica e alla corale Teardrops Will
Fall, pescato dagli archivi dei gruppi vocali degli anni cinquanta, il
compito di ricordare da dove provengono le melodie e le armonie nella musica di
Mellencamp. Proprio in Teardrops Will
Fall, come pure in Diamond Joe e
in Paper In Fire, uno dei tre brani estratti
dal proprio repertorio e riproposti dal vivo, Mellencamp rimette in circolo
quell' intreccio di radici celtiche, folk degli Appalachi e armonie swinganti
che furono il prelibato distillato di The Lonesome Jubilee mentre ancora da più lontano arrivano la polemica Pink House anche questa messa a bagno in The Lonesome Jubilee ed una
rallentata, spettrale, emozionante rivisitazione di Small Town.
In tutto questo guardarsi alle spalle per sopravvivere
al presente non poteva mancare colui che questo viaggio lo aveva percorso
quarant'anni prima con lucida lungimiranza e poca voglia di indicare la strada,
ovvero Dylan, uno dei maestri del
piccolo bastardo dell'Indiana. Highway 61
Revisited è sangue, sudore e polvere
da sparo sulle strade di un'America che non ha ancora finito di guardarsi
dentro. Live At Town Hall è il
primo ed unico disco dal vivo ufficiale (a parte il mini live Life
Death Live and Freedom) di John
Mellencamp e pur non essendo l'apoteosi del rock spettacolare e romantico che
ci si aspetta da un concerto, basta e avanza per scaldare il cuore e tenere
lucida la mente.
MAURO ZAMBELLINI
7 commenti:
la nostra storia passa da qui. ciao zambo
Gran bei dischi (Trouble No More e il suo live), ottima sintesi e bella storia, proprio Plainspeak, come dice il prossimo disco di John Mellencamp.
"Trouble no more" è un disco che spesso riprendo ad ascoltare e insieme a"The Seeger session"e i vecchi episodi acustici diDylan "Good as been to you" soprattutto e il Dave Alvin di "Public Domain"mi ricordano di cosa sono capaci certi artisti Americani,quando perdono un po' la bussola.! Seguirò il tuo consiglio, sperando che prima o poi Mr. Springsteen segua nuovamente questa stessa strada.Armando Chiechi
Pensa Zambo che io c'ero. Dovevo andare a ny per lavoro e comprai 2 biglietti su internet da un bagarino al doppio del prezzo reale. Gran concerto, anche perché trouble no more e' un gran bel disco. Grande acustica del town hall. Il concerto e' durato si e no 1 ora e 10, col simpatico mellencamp che non ha detto una parola, ha fumato sul palco 4/5 sigarette ( in America e' considerato un sacrilegio) e se ne e' andato senza un bis senza dire niente, lasciando un po' di amaro in bocca per la brevità . Prendere o lasciare , luci ed ombre di uno dei più grandi artisti della nostra musica
Hai ragione Andrea, grande concerto e artista tanto bravo quanto stronzo
sintesi perfetta del personaggio Mellencamp (c'ero anch'io a Vigevano...concerto deludente) e del musicista Mellencamp.
Siete gia stati fortunati, io ero a Roma e in una cavea piena di aspettitive ed entusiamo è riuscito a irritare tutti con un film di due ore e un concerto di 75' senza bis e senza un minimo saluto al pubblico, uscendo tra una bordata di fischi strameritati...Secondo molti aveva fretta di andare a cena con la sua nuova fiamma Meg Ryan bella ingioiellata in prima fila!!
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