Chi segue le malefatte del rock ne era già al
corrente : una delle più strepitose rock n'roll band degli ultimi ventanni, i Black Crowes, ne avevano le scatole
piene di stare assieme. Succede anche nelle migliori famiglie e nei matrimoni
che sembrano stipulati per durare un'eternità, figuriamoci poi se nello stesso
nucleo sono presenti due fratelli di sangue, ve li ricordate i fratelli Fogerty
nei Creedence o più recentemente i Gallagher negli Oasis, per rammentare i
primi casi che mi vengono in mente. Bene, i fratelli Robinson, Chris e Rich,rispettivamente cantante e chitarrista dei
Black Crowes, alle zuffe manco ci pensano, di litigi neanche a parlarne, sono
del sud e certe cose le risolvono con flemma e fatalismo, nessun rancore tra
loro, solo la voglia di staccare per qualche tempo la spina e farsi i fatti
propri, ognuno a proprio modo. Chris,
il cantante, l'autore, il frontman, il predicatore, lo sciamano, lo stregone
hippie, il visionario cosmico, l'ugola più devastata sotto la Mason Dixie Line,
l'unico a tenere insieme Faces, Rolling Stones, Traffic e Led Zeppelin in un
corpo unico, si è mosso per tempo qualche tempo fa, quando col chitarrista Neal
Casal, il bassista Mark Dutton, il batterista George Sluppick e l'altro Black
Crowes, il tastierista Adam McDougall, ha messo insieme Chris Robinson Brotherhood, una band vecchi tempi, che ama suonare
e stare sulla strada, vivere come degli hippies senza seguire calcoli
discografico ed imposizioni di manager, un furgone pieno di strumenti, la
scorta di marja, le birre e via a
seguire i propri istinti, i propri umori, le proprie passioni, l'essere
vagabondi per spirito, stile ed attitudine. Due splendidi album, lo
psichedelico e sperimentale e Dead-iano Big Moon Ritual , il più rockato e
rootsy The Magic Door ed un
terzo, uscito recentemente, dal titolo esplicativo Phosphorescent Harvest. Tre
dischi che da una parte segnano un allontanamento dalle atmosfere sulfuree e
bluesy dei Black Crowes e dall'altra indicano
un chiaro flirt col rock psichedelico e funambolico della California anni 60 e
70. Chris Robinson non si è mai accontentato di rimanere su un piedistallo a
bearsi dei risultati raggiunti, ha sempre cercato di cambiare, ampliare il suo
punto di vista, la sua ottica musicale, la sua filosofia, quasi non si
preoccupasse, da vero beat, quale fosse la meta ma comunque consapevole di
quale fosse la direzione. Con Phosphorescent Harvest siamo di
fronte a qualcosa ancora di diverso dai primi due dischi della CRB, un non ben
definito caleidoscopio delle loro tre anime, quella psichedelica, quella rootsy
e quella soulful. Più che altro un mix delle due cose sottintese dal titolo, la
psichedelia da una parte, suggerita da quel phosphorescent,
e i temi pastorali e agresti dall'altra, indicati dal termine harvest. Il raccolto fosforescente offre le sue cose migliori nella parte più
rootsy ed è un disco piacevole ed intrigante ma, a mio modo di vedere, un passo
indietro rispetto ai due precedenti lavori dei CRB, per il suono
fastidiosamente saltellante della chitarra di Casal in qualche brano, per le
composizioni meno convincenti e ripetitive e anche per il tentativo di cercare
un appeal maggiormente commerciale. Per entrare veramente in sintonia con Chris
Robinson e la sua musica bisogna
aspettare la quarta traccia, Badlands
Here We Come, forse la cosa migliore dell'intero disco, finalmente ispirata
e con una band che suona come sa fare
dal vivo ( se vi capita procuratevi la favolosa serie di Cd Betty's
Blend registrati alla Great American Music Hall di San Francisco nel
dicembre del 2012, la si può trovare in giro senza svenarsi), una ballad, Badlands, che a parte il titolo, evoca l'ariosità
della prima Steve Miller Band senza fare a meno del romanticismo di Chris Robinson, che canta con
sorprendente leggiadria ed ottimismo, senza la sua dolente sofferenza, come
raramente gli capita. Bella è pure Beggar's
Moon, energia cosmica e soul-rock mischiati ad arte, con vaghe citazioni di
New Orleans e strade del sud. Non trascurabile è Tornado, non fosse altro perché
evoca quel sound californiano da Laurel Canyon a cui Chris Robinson è
legato spiritualmente e fisicamente e Wanderer's
Lament, altra ballata dai toni agresti che potrebbe essere uscita dalle
out-takes di Before The Frost....dei Black Crowes. Dove invece Phosphorescent
Harvest sembra meno riuscito è nei brani in cui la band gioca di "innovazione" creando un artificioso
rock psycho-prog con sonorità leggerine e commerciali che mal aderiscono
all'immagine ruvida e stradaiola della band. Il finale di Jump The Turnstile è convincente ma le prime tre tracce che aprono
il disco con quei suoni zampillanti e
puliti deludono, così come Humbolt Wind
Chimes è troppo kraut-rock per dei neo-hippies dell'ovest. Sebbene Chris
Robinson continui ad essere quello sciamano del rock n'roll di cui tutti
abbiamo bisogno almeno una volta all'anno, Phosphorescent Harvest rallenta la
corsa dei CRB facendoci rimpiangere i vecchi Crowes.
Da parte sua il fratello Rich non è stato a guardare e anche lui si è lasciato sedurre da
quel Going To California che tanto
tempo fa intonavano i Led Zeppelin, tra i tanti gruppi del British rock una
delle influenze primarie dei Black Crowes. Anche lui come Chris ha puntato dritto verso ovest, verso la California e con
il suo terzo disco solista, The Ceaseless Light, ha allargato
gli orizzonti e allungato i tempi creando una musica non troppo diversa da
quella dei CRB ovvero svolazzi chitarristici in libera uscita, leggiadre
armonie col profumo dell'oceano, ballate che iniziano pigre e assonnate e poi
salgono nel cosmo col suono liquido delle chitarre e delle tastiere. Insomma
rock californiano anni '70, di quello fumato e rilassato, con la voce e gli
strumenti che occhieggiano agli album psichedelici del periodo magari
aggiungendoci qualche zampata di Stones ed un rimasuglio di southern rock. A questo punto non si capisce perché i due,
Chris e Rich si siano separati e abbiano messo i Black Crowes in stand by visto che la
direzione era la stessa e magari bastava
risistemare la carrozzeria dei BC e traslocare gli umori di Before
The Frost....Until The Freeze al caldo mite della California. Ma si sa come
vanno le cose tra fratelli e così oggi al posto di un disco super ne abbiamo due del tutto buoni ma simili tra
loro e lontani dall'essere quel botto deflagrante che ci si aspetta da una band
come i Corvi Neri. Rimaniamo in attesa e accontentiamoci di The
Ceaseless Light, la cui partenza è di tutto rispetto, con i primi tre
brani sicuramente migliori dell'apertura dell'imparentato Phosphorescent Harvest, anche
se col passare del disco la qualità di scrittura di Rich Robinson mostra la
corda, il disco si smorza un po' pur
rimando su un livello più che dignitoso, anzi.
I Know You, Down The Road, One Road Hill sono
davvero un bel inizio, fresco, vaporoso, sognante, le chitarre in gran spolvero
e la band ( Joe Magistro alla batteria, Amy
Helm, la figlia del compianto batterista di The Band e Steve Molitz alle
tastiere) sintonizzata sulle lunghezze d'onda di Big Sur , nonostante il disco
sia stato registrato a Woodstock, ovvero nella boscosa e montuosa East-Coast. I
titoli sono espliciti, la strada è il luogo dove nasce e vive questo rock,
inutile cercare furbizie moderniste o trend sonori, qui è il caro vecchio rock
arioso e sballato dei settanta a farla da padrone, sia negli accenni più
sanguigni e southern come il ritmato Trial
and Faith e Inside, gli episodi più vicini ai Black Crowes, sia in quelle
ballate, e sono la maggior parte, che salgono tra paesaggi bucolici, visioni
pastorali, buone e antiche vibrazioni. La chitarra di Rich Robinson lascia a
casa per una volta i crudi riff di blues
e di rock n'roll e si concede un viaggio astrale tra jam, armonie ed improvvisazione, non perdendo mai la bussola e tenendosi nei paraggi del
fratello, il quale però a dirla tutta, ha dalla sua una band, i CRB, che davvero ricordano quelle di una volta,
nata sulla strada e cresciuta nei concerti, come si dice in gergo growing up in public. Pure la chiusura di The Ceaseless Light è
sula falsariga di quella di Phosphorescent Harvest, difatti Obscure The Day è un lungo
strumentale tra improvvisazione, cosmic-rock e prog. Due dischi piacevoli e con
una qualità sonora eccellente, lavori che dimostrano quanta creatività abbiano
ancora in serbo i fratelli Robinson anche
quando sono (apparentemente) distanti
l'uno dall'altro, ma allora perché andarsene ognuno per la propria strada e non
mettere nuove energie nella più grande rock n'roll family degli ultimi ventanni.
MAURO
ZAMBELLINI
1 commento:
l'ultimo lavoro di Chris è onestamente abbastanza deludente. Rich ha fatto meglio di lui, però lo ritengo un episodio. il talento di Chris è fuori discussione, la sua brotherhood è una vera delizia e costituisce la più grande enciclopedia vivente e suonante della musica americana. il dato oggettivo però è che la band di Chris non fa pienoni dal vivo, spesso fa da opening band ai moe, tedeschi trucks band ecc ecc. Lui sembra fregarsene per il momento, io credo che prima o poi sentirà nostalgia dei tour di maggior successo dei black crowes e che fra qualche anno potremo rivedere una delle più grandi band degli ultimi 20 anni.
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