Sul
palco di Chiari Escovedo ha raccontato storie amare e spiritose, ha ricordato i
tempi eroici coi Rank &File e i Nuns (il
loro maggior pregio fu quello di aprire nel 1978 al Winterland di San Francisco
un concerto dei Sex Pistols), ha smitizzato Austin (statene alla larga, è diventata cara e irriconoscibile), ha tirato
in ballo la volta che incontrò Bruce Springsteen davanti a 50 mila persone e lì
nacque la canzone Faith (che poi non
ha eseguito, è su Street Songs of Love ndr.), ha rammentato la prima volta in Italia
a Sesto Calende grazie a Carlo Carlini, ha ironizzato sulla sua numerosa
famiglia e ha ringraziato quanti hanno reso la musica texana universale, da
Jimmy Dale Gilmore a Townes Van Zandt, da Joe Ely e Terry Allen a Butch Hancock. Soprattutto ha
giganteggiato con le sue melodie
semplici, i suoi assoli sferraglianti, le sue canzoni tribolate e
meticce, mostrando uno spirito rock mai autoreferenziale e celebrativo ed un ritrovato
entusiasmo giovanile, a 66 anni di età.
The Scotch, una
ottima band locale, ha avuto l'onore di aprire degnamente la serata, il loro british blues on the rocks è suonato
secco e incisivo, un modo per coniugare Wilko Johnson con i Fleetwood Mac. Gli
applausi sono piovuti meritati.
Giù loro dal palco, una breve performance
strumentale di Don Antonio, la band
di Gramentieri, ha introdotto Alejandro Escovedo il quale ha subito impresso al
set un taglio nervoso e spudoratamente elettrico. Gramentieri creava suoni aguzzi e lancinanti
per poi lasciare spazio a momenti più dilatati, il sassofonista Franz Valtieri soffiava
rabbioso, la sezione ritmica con Matteo Monti alla batteria e Denis Valentini
al basso mordeva felina ed Escovedo con una Gibson in mano cantava Don't Make Me Run. E' stato chiaro che le origini texane non
comportavano alcun spazio per il roots-rock o qualsivoglia declinazione rurale
del rock, andava in scena un rock febbricitante e urgente e quando la tensione
sembrava allentarsi, Escovedo imbracciava la chitarra acustica per sfoderare
alcune ballate prive di zuccheri e nostalgie da cowboy ma portatrici di una
redenzione sufficiente a salvare anche la più dannata delle anime. Un altro
poeta rock a tinte scure faceva capolino davanti ai nostri occhi, uno di quei
rocker veri fino al midollo, e proprio l'ultimo album Burn Something Beautiful,
il cui titolo ben spiega il clima delle canzoni e del concerto, faceva da perno
attorno al quale si sviluppava il set , con la messa in campo di Shave The Cat , proposta subito dopo Can't Make Me Run, di Beauty Of Your Smile, di Heartbeat Smile, di Horizontal
e Luna De Miel.
La voce di
Escovedo, una sorta di più crudo e addolorato Randy Newman, si fondeva dentro un groviglio elettrico che riportava
d'attualità il sound della Los Angeles punk di fine settanta e anche quella di Buick MacKane, una sua invenzione del
1997, quel crogiolo di suoni graffianti, armonie power-pop e rasoiate
elettriche che costituì il suo battesimo. La band di Don Antonio si trovava a
suo agio in un siffatto riottoso rock n'roll e quando il sassofonista, col
tenore e col baritono, entrava in azione gli schizzi sonori erano talmente
espressionistici e free che a qualcuno venivano
in mente i primi Soft Machine e i Morphine. Ce n'era per riempirsi le orecchie
e rigenerare i sensi, finalmente un sano, caustico e veemente rock n'roll shockava
la paciosa atmosfera di un sabato sera in provincia, storie che non sono il
frutto di una illusione adolescenziale benedivano un rock ancora in grado di
essere "offensivo" e deragliante. E se ad un certo punto si è sentito
il bisogno di qualche dolcezza, ecco arrivare Sister Lost Soul dedicata a
Chuck Berry ed una Down In The Bowery in grado di commuovere anche i Metallica. Una
ballata sublime che annovera Escovedo tra i magnifici sotoryteller urbani, uno
che sta solo più a ovest di Willie Nile, David Johansen e Ian Hunter e possiede
la fotografia di Neil Young nel portafoglio, visto che dopo la applauditissima Always A Friend come ciliegina sulla
torta chiama pubblico ed invitati a seguirlo nella cavalcata di Like A Hurricane. Come dire, i nervi e
le asprezze ma anche il cuore ed il vento del rock n'roll. Old rockers never
die.
MAURO
ZAMBELLINI
le
foto sono di Marcello Matranga
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