Come ogni anno, la lista delle cose che mi sono
piaciute di più senza nessuna pretesa di indicare gli album più importanti o
significativi, solo il piacere di sintetizzare i dischi che mi hanno fatto più
compagnia, i più ascoltati dalle mie orecchie. L'ordine è del tutto casuale.
Usciti
quest'anno
The
Marcus King Band Carolina
Confession
Rock e soul, canzoni che non sono solo un pretesto
per jammare, la Marcus King Band è la più brillante formazione proveniente oggi dal Sud degli
Stati Uniti (fans dei Blackberry Smoke permettendo) e i più credibili discepoli
di quello storico sound che dagli Allman è traslato prima nei Gov't Mule e
nella Warren Haynes Band e poi nella Tedeschi-Trucks Band. Voce alla carta
vetrata, chitarra funambolica, band totale, chi li ha visti (e rivisti) dal
vivo a ottobre a Milano ne è rimasto folgorato. E non poteva essere diversamente.
The
Magpie Salute High Water I
Anche loro hanno raccolto l'eredità del rock del
sud ma quello dei Black Crowes di cui troppo spesso paiono la cover band. A
differenza della Marcus King Band, dal vivo, lo scorso novembre a Trezzo, non
hanno per nulla esaltato dando il meglio di sé solo in alcune cover (su tutte Oh Sweet Nuthin' dei Velvet Underground)
ma questo non toglie che in High Water ci sia lo sforzo per
personalizzarsi ammiccando, specie nelle ballate, all' aria serena dell'Ovest e
alla psichedelia della Bay Area.
The Record Company
All of This Life
Freschi, spumeggianti, divertenti. Una giovane
band losangelena che non segue le mode e affonda la propria musica nel passato
rielaborandolo con un piglio moderno, dimostrando che esiste comunque un
margine per praticare la classicità con disincanto ed una verve sinceramente rock n'roll.
Frullano un rock che si tinge di blues e boogie, amano le sonorità anni
settanta e le riversano in canzoni che al fascino antico aggiungono brio e
spregiudicatezza, evitando copiature e revival.
Glen
Hansard Between Two Shores
Scampoli di rock celtico, lirismo alla Van
Morrison, attitudine da busker, Glen Hansard è un poeta della strada che arriva
al cuore per la via principale, quella dell'emozione senza trucchi. Un bardo
moderno che canta di homeless e amore con voce soul, orchestra con gli strumenti del folk e del rock comprese
trombe e sassofoni e scrive canzoni che ti regalano un briciolo di speranza, anche
in tempi bui come questi. Dal vivo è trascinante e Between The Shores un perfetto
biglietto da visita per chi non lo conosce.
Little Steven and The Disciples of Soul Soulfire Live!
Soulfire
Live! è uno di quei dischi di cui se ne sentiva un gran
bisogno, per rievocare la stagione dei grandi dischi live, in primis gli anni
settanta, e per rinfrescare un sound, il Jersey Sound, ormai passato di moda ma
ancora in grado di entusiasmare, divertire, eccitare, uno sfavillante party
della musica americana tra rock bianco e black music, una festa per le orecchie
e il cuore. Little Steven è il capitano di una ciurma di pirati, i Discepoli
dell'Anima, che mettono a ferro e fuoco il soul di James Brown e quello di
Marvin Gaye, il r&b di Etta James ed il rock-soul degli Electric Flag, gli
album di Southside Johnny ed il rock sporco e suburbano degli uomini senza donne. Qui c'è una lezione
di musica che solo il fautore del suono di The River poteva offrire, Peccato
che in Italia se ne siano accorti in pochi.
Lucero Among The Ghosts
Un
viaggio tra i fantasmi dell'America profonda, ballate agre, voci dolenti, un
senso di mistero e di abbandono, il tutto vestito di un decor country-gotico
dalle tinte autunnali. Non molto distanti dai Drive By Truckers ma pervasi da
una atmosfera dark che le liriche di Ben Nichols dispiegano in tutte le sfumature, con canzoni di perdite e
di trasformazioni esistenziali. Per chi ama il rock periferico e l'elettricità
arruffata, il sound schietto e l'oscurità ai margini della città.
Boz Scaggs
Out Of The Blues
Dopo due dischi dedicati al soul, il veterano Boz
Scaggs si sposta verso il blues e lo fa con l'eleganza ed il gusto che gli
appartengono. Mette in campo titoli poco noti, soulmen dimenticati, bluesmen
ignorati, in un blues dalle forme morbide il cui modello è Bobby "Blue" Bland. Lo accompagnano califfi come Jim
Keltner, batteria, Charlie Sexton e Doyle Bramhall II, chitarre, più tre
sassofonisti. C'è tutto un mondo di blues variegato e rilassato in Out
Of The Blues, anche un pizzico di malinconia nella dolente versione di On The Beach di Neil Young. Soprattutto
c'è una idea delle dodici lontana dai clichè e dai gesti eccessivi.
Southside
Johnny Detour Ahead
Se ne sono visti di tributi a Billie Holiday ma questo ha avuto veramente
poco risalto, non ne ha parlato quasi nessuno. Forse perché Southside
Johnny come Little Steven vanno bene
solo quando si parla del Boss. Eppure Detour Ahead è sublime, un tributo
ad una delle grandi lady della musica americana dove il soul sposa il jazz ed
il jump blues, e la voce roca e sofferta di Southside Johnny entra nell'anima delle canzoni di Lady Day creando un pathos
di irresistibile bellezza e romanticismo. Con lui è un team di musicisti di
estrazione jazzistica che in punta di piedi regalano un mood notturno e fumoso
che è il miglior vestito per le canzoni della Holiday.
Courtney Barrett Tell Me How You Really Feel
La conoscevo per nome e per qualche sporadico ascolto,
per curiosità ho comprato (a Bilbao) questo disco e sono incappato in certe
sonorità che ho molto amato negli anni ottanta e novanta. Parlo di quel rock spigoloso
e un po' malato ma capace di impennate elettriche sferzanti che era pane quotidiano di alcuni gruppi del Paisley
Underground, i primi Dream Syndicate, i Rain Parade, gli Opal, qualcun altro.
Ci ho trovato un po' di quell'umore in Tell Me How You Really Feel e
nell'inquieta voce di Courtney Barrett, disco a mio modo di vedere ancora
legato alle estetiche e al fascino dell'underground.
Bettye
Lavette Things Have Changed
Altra donna, altra ugola, altra musica. Voce
graffiante e aspra, interpretazioni assolutamente personali, una decina di
canzoni prese dal songbook di Dylan, musicisti di prim'ordine tra cui Steve
Jordan, Pino Palladino, Larry Campbell, Keith Richards, Trombone Shorty, Ivan
Neville. Ovvero un disco perfetto per qualità della musica e eccelsa versione
di canzoni già di per se favolose. Un tributo, ma è un tributo?, che non lascia
indifferenti, sentitevi Don't Fall Apart
Me Tonight, oppure la reggata Political
World o ancora Ain't Talkin' ed Emotionally Yours, qui c'è l'anima degli
afroamericani applicata al più illuminante songbook del rock bianco.
Mark Knopfler
Down The Road Wherever
A volte è difficile cogliere i cambiamenti nei dischi
di Mark Knopfler perché lo stile è assodato, riconoscibile, quasi
cristallizzato in un format che prevede la voce bassa e malinconica, la
chitarra fluida e melodica, le armonie avvolgenti nella loro semplicità. Ha
scelto la strada e i cieli per le copertine dei suoi dischi e non c'è immagine
migliore per simboleggiare la sua musica cinematica tra folk,rock, blues e
ballad, visionaria come può esserlo un viaggio su una strada che si infila
nell'orizzonte, sognante come le sue assonnate melodie, elegante come il suono
delle sue corde. Dicono che questo nuovo disco sia meno americano dei
precedenti, forse per la presenza di qualche accenno irlandese e qualche sapore
latino, sarà, ma per chi scrive suona meno monocorde di Tracker e altrettanto
bello come il bluesato Privateering, ovvero gli ultimi due.
Lebroba
Andrew Cyrille/Wadada Leo Smith/ Bill Frisell
Cinque titoli
per accedere ad un universo rarefatto dove il Miles Davis astratto e
astrale, la tromba è di Wadada Leo Smith, si accompagna al gelido e romantico
espressionismo della chitarra di Bill Frisell e alle punteggiature percussive
di Andrew Cyrille, un Jackson Pollock della batteria. Un mondo onirico, sospeso
tra luce e ombra, un perfetto esercizio di minimalismo jazz, moderno e senza
tempo, da ascoltare di notte quando tutto tace.
The J.& F. Band From The Roots to Sky
Coraggioso questo ensemble in parte italiano nel porsi al di fuori dei generi, tentando strade fantasiose
ed inusuali del tutto disinteressate a qualsiasi appeal commerciale. From
The Roots To Sky prende spunto dall'amore per il jazz e gli Allman
Brothers del batterista Tiziano Tononi (già autore di un tributo alla band di
Macon) qui accompagnato dal bassista Joe Fonda, dall' ex percussionista degli
Allman Jaimoe, dal chitarrista Raoul Bjiorkenheim e da una sezione fiati. Il
risultato è un intreccio strumentale che fluttua dal jazz all'astrattismo free,
dal blues al rock, da New Orleans all'improvvisazione. Dice bene il titolo,
dalle radici al cielo, un disco non facile ma curioso, libero da condizionamenti, complesso ma
anche estatico, oltre che aperto alle jam ( ce ne è
una di 28 minuti). Due Cd con dediche a Gregg Allman,
al trombonista Roswell Rudd e in un pezzo anche l'armonica di Fabio Treves.
CONCERTI
The Rolling Stones Orange Velodrome, Marsiglia 26/06/18
Samantha
Fish BBQ Festival, New
Orleans 12/10/18
David
Crosby Milano 11/09/18
ARCHIVI
Tom Petty An American Treasure
Può non essere il miglior box su Tom
Petty, Playback del 1995 rimane insuperabile e The Live Anthology del
2009 è una strepitosa panoramica dei suoi concerti (ma non fatevi sfuggire il
triplo bootleg San Francisco Serenades, fino qualche tempo fa costava una
miseria) ma An American Treasure è il toccante ricordo di uno dei più
esaltanti ed umili rocker che la musica americana abbia mai avuto. Certo si
poteva assemblarlo meglio con più rarità ma la moglie e la figlia di Tom Petty
hanno voluto così, 63 canzoni divise tra out-takes, differenti versioni,
estratti live, qualche inedito e qualcosa di già edito, Beatles, Byrds, Dylan e
Rolling Stones insieme in un solo artista. American rock
n'roll at his best.
Mott The Hoople Mental Train The Island Years 1969-71
Ne pubblicano tanti di box antologici o
edizioni deluxe ma molte sono una vera speculazione oppure fanno la la felicità di
fan/archivisti che godono nell'ascoltare otto versioni della stessa canzone. Questo no, questo è un signor Box di 6 CD con una valanga di inediti e out-takes che
racconta l'avventura degli inglesi Mott The Hoople ancora prima che divenissero
famosi (solo un pochino famosi) ovvero prima che David Bowie regalasse loro All The Young Dudes. Sono gli anni e gli
album per la Island tra il 1969 ed il 1971, stagione di passaggio, dischi poco
conosciuti ma fondamentali per l'affermarsi di un rock che da una parte
strizzava l'occhio al nascente glam e all'hard-rock e dall'altra metteva in
campo strepitose ballate di ispirazione ed umore dylaniano (ma c'è anche Neil
Young), grazie allo sviscerato amore del cantante Ian Hunter per il Signor
Zimmerman. Quattro Cd con gli album originari , un Cd con le ballate ed un Cd con concerti del 1970/71.
Joe Strummer
001
Un doppio CD (ne esiste una versione
deluxe con libro annesso) che raccoglie le diverse anime di Joe Strummer di
fuori dei Clash, ovvero i primi passi coi The 101ers, gruppo che bazzicava il
pub-rock, fino alle sue registrazioni anni novanta coi Radar, con gli
Astro-Physicians, con gli Electric Dog House e coi Mescaleros. In mezzo gli
anni ottanta come Joe Strummer, Latino Rockabilly War, Sootsayers, Pearl
Harbour, Strummer/Simonon/Howard e la
mitica Redemption Song con Johnny
Cash. Un bel modo per ricapitolare una carriera all'insegna dell'onestà
artistica, del coraggio e della dignità professionale, mai compromesso col
music business. Una musica che intreccia occidente e terzo mondo tra punk,
rock, rockabilly, reggae, latino e folk, ancora attuale, divertente e caustica
per i testi al vetriolo ma anche
commovente per quella voce che dà fiato ad una generazione in perenne
precarietà. Joe Strummer è stato un rivoluzionario nella musica e nella strada,
ancora oggi se ne sente la mancanza, 001 lenisce solo in parte il
dispiacere ma ha il potere di trasmettere una gioia ed un'allegria che era
tanto che non provavo con un disco.
MAURO ZAMBELLINI 28 DICEMBRE 2018