venerdì 5 aprile 2019

TOM PETTY and THE HEARTBREAKERS THE BEST OF EVERYTHING 1976-2016


 

Sono state realizzate diverse antologie di Tom Petty ma questa è la migliore e la più completa e abbraccia l'intera sua avventura artistica dal 1976 al 2016, anno di pubblicazione del suo ultimo disco coi Mudcrutch.  Scomparso prematuramente nell'ottobre del 2017 dopo un lungo tour, Tom Petty ha lasciato un bagaglio di canzoni che a ragione possono essere definite un tesoro americano, come suggerisce il titolo del box di quattro CD uscito lo scorso anno zeppo di out-takes, versioni diverse, testimonianze live e qualche inedito. An American Treasure è il frutto di un lavoro d'archivio con il beneplacito della famiglia dell'artista, The Best of Everything è invece la sfavillante raccolta dei suoi hits e delle sue canzoni più famose estratte dai suoi singoli e dai suoi album, sia quelli con gli Heartbreakers, sia quelli solisti e con i Mudcrutch. Un tesoro di rock americano come pochi possono vantare, la testimonianza dell'arte sopraffina di Tom Petty nel saper concentrare nei minuti di un formato pop un mondo intero di rock n'roll declinato in tutte le sue varianti : dal jingle jangle byrdsiano dei sixties alle armonie in odore di Beatles, dallo sferragliare di una band che ha fatto indigestione di Rolling Stones e Animals ai secchi riff del rock n'roll dei cinquanta con particolare simpatia per Buddy Holly, Chuck Berry ed Elvis, dalle ballate profumate di California alle nervose sferzate elettriche tra punk e garage, dal fantasy psichedelico di Don't Come Around Here No More all'arruffato e sporco roots-rock dei Mudcrutch,  dall'urlo ribelle di Refugee  al grido di libertà di Free Fallin', dal mainstream di Don't Do Me Like That  a titoli entrati di diritto nel songbook americano di ogni epoca come American Girl e I Won't Back Down. Tom Petty ha inventato un suono che non possedeva nessuno, tenendo conto del passato ma guardando al futuro. Tradizionale ed eccentrico al tempo stesso, capace di rinnovarsi ad ogni disco senza sconfessare il background, frutto di un atteggiamento innovativo e del costante rifiuto a farsi incasellare in qualsiasi etichetta, cosa che non gli ha impedito di avere sempre un notevole senso della tradizione rock . Nelle trentotto tracce e nei due CD di questa antologia c'è un capitolo importante della Bibbia del rock americano, compreso un inedito, For Real  in verità piuttosto trascurabile se confrontato col resto, registrato nell'agosto del 2000 prima della pubblicazione dell'album The Last DJ.
 

La parte del leone la fanno le canzoni registrate con gli Heartbreakers, una band in grado di dare numeri a chiunque, la più potente, scintillante, lucida, completa, trascinante band del classico rock americano, capace di migliorarsi ogni volta e di rimanere al top per 40 anni di seguito (se ne ha testimonianza nella superba The Live Anthology) . Gli Heartbreakers con Tom Petty debuttarono nel 1976 in piena bagarre punk,  traeva in inganno il loro chiodo di pelle nera ma se si osservava bene le copertine dei primi dischi si scopriva che il taglio di capelli del leader rimandava allo scapigliato look del beat inglese e gli altri sembravano fuoriusciti da un gruppo power-pop degli anni settanta.  L'era gloriosa sancita da una popolarità più britannica che americana regala a questa antologia titoli divenuti pane quotidiano per chi ama il rock della strada.  Listen To Her Heart  e l'anfetaminico punk I Need To Know, entrambi presi dal secondo album You're Gonna Get It e i due classici  American Girl e Breakdown del primo omonimo album sono il banco di prova di una avventura destinata a divenire epica. Gli Stati Uniti finalmente li scoprono quando gli anni settanta sono alla fine,  Damn The Torpedoes  è un botto incredibile e catapulta  Tom Petty e la sua band nel mainstream dell'epoca,  allineandoli  a Springsteen e la E-Street Band e a Bob Seger con la Silver Bullet Band. Tre macchine da guerra che non fanno prigionieri, ognuna con una sua peculiarità. Gli Heartbreakers non includono i sassofoni e così il tasso soul e R&B è ridotto, al contrario British rock, California, anni cinquanta e schermaglie punk personalizzano un sound che corre sulle stesse strade di Springsteen ma con una decappottabile sotto il sole, d'obbligo i Ray Ban e i capelli al vento. Ribelli con una causa, il rock n'roll. Il tutto con una semplicità impressionante, con un gusto pop inalterato, perfetto e genuino, e un’energia garage mai domata, e come poche volte succede per gli intrepidi e gli innovatori, il suo (e il loro) rock lo porta in classifica, lo rende appetibile alla massa degli americani fino a farlo diventare mainstream. Damn The Torpedoes  è leggenda, da lì arrivano Don't Do Like Me That ovvero la canzone radiofonica perfetta,  la devastante Refugee nata da un riff di Mike Campbell per studiare i licks di Albert King, la diversamente romantica Even The Losers e l'ennesimo omaggio a Roger McGuinn di Here Comes My Girl.. Prodotto da Jimmy Iovine l'uomo che in quegli anni trasformava un vinile in una miniera di dollari, Damn The Torpedoes è talmente potente che il seguente pur bellissimo Hard Promises rischia di apparire come il parente povero della famiglia. Ed invece non è cosi, provate a risentirvi qui rimasterizzati The Waiting e l'ammiccante duetto con Stevie Nicks di Stop Draggin' My Heart Around  tratto dal suo album  Belladonna  ma di fatto registrato nello stesso anno con lo stesso produttore e gli stessi musicisti. Se capitava in quel lontano 1981 di viaggiare sulle strade americane, la sequenza delle due canzoni via radio era pressoché assodata, un sublime tormentone quotidiano.  I rimanenti  anni ottanta vedono sfrecciare Long After Dark, e qui c'è il singolo trattato Morricone di You Got Lucky, le colorazioni psycho-pop di Southern Accents (qui con Don't Come Around Here No More e le due ballate, la nostalgica  Southern Accents e la struggente e pianistica The Best of Everything  nella versione già usata per An American Treasure ), e il rock sfumato pop di Let Me Up (I've Had Enough), disco in studio registrato con una tecnica tale da farlo sembrare live, come si intuisce da Jammin' Me.  Ma il vero capolavoro della decade è un disco senza gli Heartbreakers anche se alcuni di loro vengono accreditati come session men. Full Moon Fever è un album superlativo che segna il sodalizio con Jeff Lynne nello stesso momento della parentesi con i Traveling Wilburys, ed è un lavoro che nasce in condizioni avverse dopo che un incendio distrusse la casa dell'artista ad Encino in California. Petty, per forza di cose,  si trovò ad abitare in situazioni di fortuna e i tanti giorni trascorsi in auto con l'allora moglie Jane Benyo andando su e giù per Mullholand Drive gli ispirarono Free Fallin' una invocazione alla gioia ed un invito a non essere pignoli e meticolosi, scritta di getto e assurta ad inno di libertà. Al contrario  Runnin' Down a Dream dello stesso album è una trascinante cavalcata rock con la fisionomia di una jam, rea di aver mandato in orbita nel 2008 a Phoenix il pubblico del Super Bowl,  mentre I Won't Back Down è l'ulteriore segno della grandeur di Petty nello scrivere instant classics.
 

Gli anni novanta si aprono e si chiudono con due album magnifici pur diversi tra loro, entrambi con gli Heartbreakers. Into The Great Wide Open nel 1991 include Learning To Fly che con quel verso “I’m learning to fly, but I ain’t got wings, coming down is the hardest thing” diventa una delle canzoni più cantate del suo songbook e la title track, anche lei inclusa in The Best of Everything, che di colpo resuscita un arioso e accattivante West-Coast rock.
 

Dopo Denny Cordell (l’uomo che Petty e Campbell riconobbero come  loro mentore, nonostante la brusca diatriba ai tempi di Torpedoes), Jimmy Iovine e Jeff Lynne, alla consolle si siede Rick Rubin ed il risultato è esaltante, pur nel generale ridimensionamento dell'impatto elettrico, senza sintetizzatori, computer o altri marchingegni. solo le chitarre ed il suono d’insieme dei musicisti. Wildflowers accreditato al solo Tom Petty è una sorta di suo disco unplugged, anche se non è proprio così ma bastano la canzone che dà il titolo all'album e You Wreck Me per far capire che anche senza gli Heartbreakers l'uomo di Gainesville è un fuoriclasse. La decade si chiude con un album spesso sottovalutato, Echo arriva dopo un brutto periodo di depressione dovuto al fallimento del matrimonio e ad una momentanea dipendenza dall’eroina, ma a mio parere è eccellente proprio per le sue tinte malinconiche ed autunnali, il suo bianco/nero sfuggente ed enigmatico. Qui viene riportata la sola  Room at The Top ma avrebbero meritato pure Billy The Kid  e Swingin' se non fosse che il criterio adottato per l'antologia è selezionare unicamente gli hits e i singoli. Se Echo è  sottodimensionato così non è per la colonna sonora del film She's The One assurta nel tempo a cult e la cui Walls (Circus) ha recentemente beneficiato di una bella versione da parte dei Long Ryders. Qui spicca anche la delicata e folkie Angel Dream (No.2). Da rivalutare è il bistrattato The Last D.J almeno per quanto riguarda  la malinconica Dreamville e la sua canzone-titolo la quale possiede un appeal commerciale solo di poco inferiore alla superba Mary Jane's Last Dance dall'irresistibile eco western.
 

Il pregio di The Best of Everything, oltre alla eccellente qualità audio, è non aver rispettato in modo cronologico la discografia, come se fosse una registrazione amatoriale, il modo con cui una volta si registravano le cassette che servivano a viaggi in auto con kilometraggio illimitato dove si malediva il momento di essere giunti a destinazione. Così il brano scelto da Highway Companion disco del 2006 a nome del solo Tom Petty solitamente trascurato, eppure ricco di interessanti soluzioni armoniche e di canzoni che farebbero grande l’album di qualsiasi altro artista, a cominciare da Saving Grace uno dei singoli più di successo del nostro, si mischia in modo solo apparentemente casuale con il tono country-western di You Don't Know How It Feels e con la scalpitante You Wreck Me entrambe tratte da Wildflowers, vicino agli estratti poco conosciuti dei due dischi dei Mudcrutch (I Forgive It All, Scare Easy, Hungry No More, Trailer)) alfieri di un rock volutamente più grezzo e roots. Highway Companion prodotto di nuovo da Jeff Lynne con l’aiuto di Petty e Campbell, è sostanzialmente un lavoro a tre con l'artista di Gainesville impegnato su tutti gli strumenti, dalle chitarre alla batteria, dalle tastiere al basso e armonica. Il disco sancisce il momento felice vissuto da Petty con la nuova moglie Dana York sposata nel 2001 dopo il naufragio del precedente matrimonio e anticipa gli ultimi due lavori dell'artista, il jammato, bluesato e psichedelico Mojo (qui c'è I Should Have Known It) ed il più sbarazzino e solare Hypnotic Eye presente  con il ruvido riff hard-rock di  American Dream Plan B. Sono l'ultima testimonianza del più disincantato e rispettoso  ribelle   dell’estetica del rock americano. Tom Petty ha rappresentato tanto, per la dedizione, perché era cool, perché non l’abbiamo mai visto nel posto sbagliato o dalla parte sbagliata, ci ha lasciato un’eredità enorme e questa antologia di 38 brani, consigliata a tutti anche a coloro che posseggono l'intera sua discografia per il modo in cui è stata realizzata compreso l'ottimo packaging fotografico,  è un modo per ricordare la sua grandezza. Come scritto già in altra occasione, sia onore a lui, noi possiamo soltanto essergli grati e riconoscenti.

 
MAURO  ZAMBELLINI       

p.s  questa recensione è dedicata alla memoria dell'amico Antonio Ruotolo con cui condivisi la gioia nel 2017 di un memorabile concerto di Tom Petty con gli Heartbreakers  ad Hyde Park.









5 commenti:

armando ha detto...

Bellissimo articolo che riassume in poche righe l'arte del Seminole di Gainsville. Avendo tutto però, sarà difficile farci un pensierino su ma al tempo stesso la resa sonora e la presentazione dei brani come tu dici,pare siano motivo di interesse. Magari me lo faccio regalare per il mio prossimo compleanno.
Ps : Per quel che riguarda invece i suoi album,secondo un mio sentire credo che Let me Up meriti di essere rivalutato.Stranamente lo scorrere del tempo a volte giudica le cose in modo diverso da come erano state presentate. Per il sottoscritto il giudizio non è cambiato e negli album di Petty, Let me Up meriterebbe qualche punto in più rispetto a Southern Accent che per quanto forse più eccentrico ed oŕiginale nel suo insieme a parte qualche brano, non è poi sta grande cosa. La vedo come in un vecchio articolo del Mucchio fu riportata un'analisi dei suoi album. Scusami per le lungaggini e buon lavoro.

bobrock ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Zambo ha detto...

bob rock, il concerto di Lucca mi piacque molto, ancora di più quello di Hyde Park, di cui speravo fosse fatto il video ma penso ci siano problemi di diritti coi famigliari. Ad Hyde Park ero nel secondo anello, gold mi pare di ricordare.

bobrock ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Zambo ha detto...

Bobrock,
penso di si, di andare a vedere TTB anche se non ho ancora il biglietto