Sono state
realizzate diverse antologie di Tom Petty ma questa è la migliore e la più
completa e abbraccia l'intera sua avventura artistica dal 1976 al 2016, anno di
pubblicazione del suo ultimo disco coi Mudcrutch. Scomparso prematuramente nell'ottobre del
2017 dopo un lungo tour, Tom Petty ha lasciato un bagaglio di canzoni che a
ragione possono essere definite un tesoro
americano, come suggerisce il titolo del box di quattro CD uscito lo scorso
anno zeppo di out-takes, versioni diverse, testimonianze live e qualche
inedito. An American Treasure è il frutto di un lavoro d'archivio con il
beneplacito della famiglia dell'artista, The Best of Everything è invece la
sfavillante raccolta dei suoi hits e delle sue canzoni più famose estratte dai
suoi singoli e dai suoi album, sia quelli con gli Heartbreakers, sia quelli solisti
e con i Mudcrutch. Un tesoro di rock americano come pochi possono vantare, la
testimonianza dell'arte sopraffina di Tom Petty nel saper concentrare nei
minuti di un formato pop un mondo intero di rock n'roll declinato in tutte le
sue varianti : dal jingle jangle byrdsiano dei sixties alle armonie in odore di
Beatles, dallo sferragliare di una band che ha fatto indigestione di Rolling
Stones e Animals ai secchi riff del rock n'roll dei cinquanta con particolare
simpatia per Buddy Holly, Chuck Berry ed Elvis, dalle ballate profumate di
California alle nervose sferzate elettriche tra punk e garage, dal fantasy
psichedelico di Don't Come Around Here No
More all'arruffato e sporco roots-rock dei Mudcrutch, dall'urlo ribelle di Refugee al grido di libertà
di Free Fallin', dal mainstream di Don't Do Me Like That a titoli entrati di diritto nel songbook
americano di ogni epoca come American
Girl e I Won't Back Down. Tom
Petty ha inventato un suono che non possedeva nessuno, tenendo conto del
passato ma guardando al futuro. Tradizionale ed eccentrico al tempo stesso,
capace di rinnovarsi ad ogni disco senza sconfessare il background, frutto di
un atteggiamento innovativo e del costante rifiuto a farsi incasellare in
qualsiasi etichetta, cosa che non gli ha impedito di avere sempre un notevole
senso della tradizione rock . Nelle
trentotto tracce e nei due CD di questa antologia c'è un capitolo importante
della Bibbia del rock americano, compreso un inedito, For Real in verità piuttosto
trascurabile se confrontato col resto, registrato nell'agosto del 2000 prima
della pubblicazione dell'album The Last DJ.
La parte del leone la fanno le canzoni
registrate con gli Heartbreakers, una
band in grado di dare numeri a chiunque, la più potente, scintillante, lucida,
completa, trascinante band del classico rock americano, capace di migliorarsi
ogni volta e di rimanere al top per 40 anni di seguito (se ne ha testimonianza
nella superba The Live Anthology) . Gli Heartbreakers con Tom Petty
debuttarono nel 1976 in piena bagarre punk,
traeva in inganno il loro chiodo di pelle nera ma se si osservava bene
le copertine dei primi dischi si scopriva che il taglio di capelli del leader
rimandava allo scapigliato look del beat inglese e gli altri sembravano fuoriusciti
da un gruppo power-pop degli anni settanta.
L'era gloriosa sancita da una popolarità più britannica che americana regala
a questa antologia titoli divenuti pane quotidiano per chi ama il rock della
strada. Listen To Her Heart e
l'anfetaminico punk I Need To Know, entrambi
presi dal secondo album You're Gonna Get It e i due
classici American Girl e Breakdown del
primo omonimo album sono il banco di
prova di una avventura destinata a divenire epica. Gli Stati Uniti finalmente li scoprono quando gli anni settanta sono
alla fine, Damn The Torpedoes è un botto incredibile e catapulta Tom Petty e la sua band nel mainstream
dell'epoca, allineandoli a Springsteen e la E-Street Band e a Bob
Seger con la Silver Bullet Band. Tre macchine da guerra che non fanno
prigionieri, ognuna con una sua peculiarità. Gli Heartbreakers non includono i
sassofoni e così il tasso soul e R&B è ridotto, al contrario British rock, California,
anni cinquanta e schermaglie punk personalizzano un sound che corre sulle
stesse strade di Springsteen ma con una decappottabile sotto il sole, d'obbligo
i Ray Ban e i capelli al vento. Ribelli con una causa, il rock n'roll. Il tutto
con una semplicità impressionante, con un gusto pop inalterato, perfetto e
genuino, e un’energia garage mai domata, e come poche volte succede per gli
intrepidi e gli innovatori, il suo (e il loro) rock lo porta in classifica, lo
rende appetibile alla massa degli americani fino a farlo diventare mainstream.
Damn
The Torpedoes è leggenda, da lì
arrivano Don't Do Like Me That ovvero
la canzone radiofonica perfetta, la
devastante Refugee nata da un riff di
Mike Campbell per studiare i licks di Albert King, la diversamente romantica Even The Losers e l'ennesimo omaggio a
Roger McGuinn di Here Comes My Girl.. Prodotto da Jimmy Iovine l'uomo che in quegli anni
trasformava un vinile in una miniera di dollari, Damn The Torpedoes è
talmente potente che il seguente pur bellissimo Hard Promises rischia di apparire
come il parente povero della famiglia. Ed invece non è cosi, provate a
risentirvi qui rimasterizzati The Waiting
e l'ammiccante duetto con Stevie
Nicks di Stop Draggin' My Heart
Around tratto dal suo album Belladonna ma di fatto registrato nello stesso anno con
lo stesso produttore e gli stessi musicisti. Se capitava in quel lontano 1981
di viaggiare sulle strade americane, la sequenza delle due canzoni via radio era
pressoché assodata, un sublime tormentone quotidiano. I rimanenti anni ottanta vedono sfrecciare Long
After Dark, e qui c'è il singolo trattato Morricone di You Got Lucky, le colorazioni psycho-pop
di Southern
Accents (qui con Don't
Come Around Here No More e le due ballate, la nostalgica Southern
Accents e la struggente e pianistica The
Best of Everything nella versione
già usata per An American Treasure ),
e il rock sfumato pop di Let Me Up (I've Had Enough), disco
in studio registrato con una tecnica tale da farlo sembrare live, come si
intuisce da Jammin' Me. Ma il vero capolavoro della decade è un
disco senza gli Heartbreakers anche se alcuni di loro vengono accreditati come session
men. Full
Moon Fever è un album superlativo che segna il sodalizio con Jeff Lynne nello stesso momento della
parentesi con i Traveling Wilburys, ed è un lavoro che nasce in condizioni
avverse dopo che un incendio distrusse la casa dell'artista ad Encino in
California. Petty, per forza di cose, si
trovò ad abitare in situazioni di fortuna e i tanti giorni trascorsi in auto
con l'allora moglie Jane Benyo andando su e giù per Mullholand Drive gli
ispirarono Free Fallin' una
invocazione alla gioia ed un invito a non essere pignoli e meticolosi, scritta
di getto e assurta ad inno di libertà. Al contrario Runnin' Down
a Dream dello stesso album è una
trascinante cavalcata rock con la fisionomia di una jam, rea di aver mandato in
orbita nel 2008 a Phoenix il pubblico del Super Bowl, mentre I
Won't Back Down è l'ulteriore segno della grandeur di Petty nello scrivere instant classics.
Gli anni novanta si aprono e si chiudono con
due album magnifici pur diversi tra loro, entrambi con gli Heartbreakers. Into The Great Wide
Open nel 1991 include Learning To Fly che con quel verso “I’m learning to fly, but I ain’t got wings,
coming down is the hardest thing” diventa una delle canzoni più cantate del
suo songbook e la title track, anche lei inclusa in The Best of Everything,
che di colpo resuscita un arioso e accattivante West-Coast
rock.
Dopo Denny
Cordell (l’uomo che Petty e Campbell riconobbero come loro mentore, nonostante la brusca diatriba
ai tempi di Torpedoes), Jimmy
Iovine e Jeff Lynne, alla consolle si siede Rick Rubin ed il risultato è esaltante, pur nel generale
ridimensionamento dell'impatto elettrico, senza sintetizzatori, computer o
altri marchingegni. solo le chitarre ed il suono d’insieme dei musicisti. Wildflowers
accreditato al solo Tom Petty è una sorta di suo disco unplugged, anche
se non è proprio così ma bastano la canzone che dà il titolo all'album e You Wreck Me per far capire che anche
senza gli Heartbreakers l'uomo di Gainesville è un fuoriclasse. La decade si
chiude con un album spesso sottovalutato, Echo arriva dopo un brutto periodo
di depressione dovuto al fallimento del matrimonio e ad una momentanea
dipendenza dall’eroina, ma a mio parere è eccellente proprio per le sue tinte
malinconiche ed autunnali, il suo bianco/nero sfuggente ed enigmatico. Qui viene
riportata la sola Room at The Top ma avrebbero meritato pure Billy The Kid e Swingin' se non fosse che il criterio
adottato per l'antologia è selezionare unicamente gli hits e i singoli. Se Echo è sottodimensionato così non è per la colonna
sonora del film She's The One assurta nel tempo a cult e la cui Walls (Circus) ha recentemente
beneficiato di una bella versione da parte dei Long Ryders. Qui spicca anche la delicata e folkie Angel Dream (No.2). Da rivalutare è il
bistrattato The Last D.J almeno per quanto riguarda la malinconica Dreamville e la sua canzone-titolo la quale possiede un appeal
commerciale solo di poco inferiore alla superba Mary Jane's Last Dance dall'irresistibile eco western.
Il pregio di The Best of Everything, oltre
alla eccellente qualità audio, è non aver rispettato in modo cronologico la
discografia, come se fosse una registrazione amatoriale, il modo con cui una
volta si registravano le cassette che servivano a viaggi in auto con kilometraggio
illimitato dove si malediva il momento di essere giunti a destinazione. Così il
brano scelto da Highway Companion disco del 2006 a nome del solo Tom Petty solitamente
trascurato, eppure ricco di interessanti soluzioni armoniche e di canzoni che
farebbero grande l’album di qualsiasi altro artista, a cominciare da Saving
Grace uno dei singoli più di successo del nostro, si mischia in modo solo
apparentemente casuale con il tono country-western di You Don't Know How It Feels e con la scalpitante You Wreck Me entrambe tratte da Wildflowers,
vicino agli estratti poco conosciuti dei due dischi dei Mudcrutch (I Forgive It All, Scare Easy, Hungry No More, Trailer)) alfieri di
un rock volutamente più grezzo e roots. Highway
Companion prodotto di nuovo da Jeff Lynne con l’aiuto di Petty e
Campbell, è sostanzialmente un lavoro a tre con l'artista di Gainesville
impegnato su tutti gli strumenti, dalle chitarre alla batteria, dalle tastiere
al basso e armonica. Il disco sancisce il momento felice vissuto da Petty con
la nuova moglie Dana York sposata nel 2001 dopo il naufragio del precedente
matrimonio e anticipa gli ultimi due lavori dell'artista, il jammato, bluesato e
psichedelico Mojo (qui c'è I Should
Have Known It) ed il più sbarazzino e solare Hypnotic Eye presente con il ruvido riff hard-rock di American
Dream Plan B. Sono l'ultima testimonianza del più disincantato e
rispettoso ribelle dell’estetica del rock americano. Tom Petty
ha rappresentato tanto, per la dedizione, perché era cool, perché non l’abbiamo
mai visto nel posto sbagliato o dalla parte sbagliata, ci ha lasciato
un’eredità enorme e questa antologia di 38 brani, consigliata a tutti anche a
coloro che posseggono l'intera sua discografia per il modo in cui è stata
realizzata compreso l'ottimo packaging fotografico, è un modo per ricordare la sua grandezza. Come
scritto già in altra occasione, sia onore a lui, noi possiamo soltanto essergli
grati e riconoscenti.
p.s
questa recensione è dedicata alla memoria dell'amico Antonio Ruotolo con
cui condivisi la gioia nel 2017 di un memorabile concerto di Tom Petty con gli
Heartbreakers ad Hyde Park.
5 commenti:
Bellissimo articolo che riassume in poche righe l'arte del Seminole di Gainsville. Avendo tutto però, sarà difficile farci un pensierino su ma al tempo stesso la resa sonora e la presentazione dei brani come tu dici,pare siano motivo di interesse. Magari me lo faccio regalare per il mio prossimo compleanno.
Ps : Per quel che riguarda invece i suoi album,secondo un mio sentire credo che Let me Up meriti di essere rivalutato.Stranamente lo scorrere del tempo a volte giudica le cose in modo diverso da come erano state presentate. Per il sottoscritto il giudizio non è cambiato e negli album di Petty, Let me Up meriterebbe qualche punto in più rispetto a Southern Accent che per quanto forse più eccentrico ed oŕiginale nel suo insieme a parte qualche brano, non è poi sta grande cosa. La vedo come in un vecchio articolo del Mucchio fu riportata un'analisi dei suoi album. Scusami per le lungaggini e buon lavoro.
bob rock, il concerto di Lucca mi piacque molto, ancora di più quello di Hyde Park, di cui speravo fosse fatto il video ma penso ci siano problemi di diritti coi famigliari. Ad Hyde Park ero nel secondo anello, gold mi pare di ricordare.
Bobrock,
penso di si, di andare a vedere TTB anche se non ho ancora il biglietto
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