La storia raccontata da Robbie Robertson nella sua
biografia Testimony è l'argomento
di Once
Were Brothers , DVD che con ricchezza di immagini, splendide
fotografie, canzoni iconiche ed interviste racconta l'avventura di cinque amici
divenuti una delle band più influenti della storia del rock americano. Con un
inglese chiaro e fluente, Robbie Robertson si confessa davanti al microfono,
accompagnato da interviste, immagini e musica, in una sorta di viaggio dentro
uno dei fenomeni musicali più affascinanti dello scorso secolo. E' una
confessione a volte entusiasta, a volte amara, sempre lucida e talvolta
umoristica su una avventura che Martin
Scorsese, uno dei produttori esecutivi del progetto, assieme a Brian Grazer
e Ron Howard, definisce una storia unica,
irripetibile, che nessun altro gruppo può vantare di avere vissuto. Dice
bene il titolo, Una volta eravamo
fratelli, perché già come suggerivano le pagine di Testimony, quella storia ha avuto un epilogo prima
agrodolce, con la decisione presa da Robertson di sciogliere il gruppo,
mitigata dalla esaltante serata di The Last Waltz, poi amara quando lo
stesso Robertson si ritrovò a rintuzzare le accuse mosse da Levon Helm di
essersi impossessato di tutti i diritti d'autore delle canzoni. Infine triste,
quando, dopo anni di reciproco distacco, saputo delle drammatiche condizioni di
salute di Helm, Robertson prese immediatamente l'aereo per arrivare al
capezzale dell'ex compagno, ormai privo di coscienza in ospedale, e tenendogli affettuosamente la mano ripercorse
con il pensiero tutti i bellissimi momenti vissuti insieme, promettendogli di
rivederlo in un'altra fine.
La
crisi all'interno di The Band arrivò
quando nelle loro vite irruppe l'eroina
coinvolgendo Helm, Danko e Manuel e minando il loro senso di
fratellanza. La droga incrinò la reciproca sincerità facendo svanire quella
magia che aveva reso possibile una musica tanto evocativa, tanto profonda,
tanto appassionata e influente. Il film o rockumentario parte con l'infanzia di
Robertson in Canada, le sue origini indiane, la rivelazione da parte della
madre Dolly di un padre manesco che in realtà non era suo padre, perché quello biologico,
un giocatore d'azzardo professionista, mori poco prima che la madre si
risposasse. Si chiamava Alexander Klegerman e faceva parte di una famiglia di
ebrei dedita al gangsterismo, i cui zii coprirono d'affetto Robbie quando
questi, saputa la verità su suo padre, li rintracciò. Nella vita del giovane
Robertson entrò come un fulmine il rock n'roll e la prima chitarra elettrica.
Fin da bambino il suo sogno era quello di diventare un musicista, e così fu. Da
Toronto all'Arkansas al seguito di Ronnie
Hawkins la cui band, The Hawks al tempo veniva considerata la miglior
rockabilly band del pianeta. Contemporaneamente Robertson conosce Levon Helm, il fratello, l'amico che tutti vorrebbero avere perché talmente contagioso che quando lui rideva, ridevano tutti. L'uno e l'altro erano come Huckleberry
Finn e Tom Sawyer, e la loro amicizia si saldò con quella di altri tre
canadesi: Garth Hudson, colui che poteva
parlare di Muddy Waters e Bach nella stessa frase, Rick Danko, colui che poteva suonare qualsiasi strumento,
e Richard Manuel, la voce più soul
che abbia mai conosciuto. Rivoluzionarono The Hawks e quando lasciarono Ronnie Hawkins la loro strada era già
segnata. Conobbero Bob Dylan e per loro, per noi e per chiunque, la storia cambiò.
Dylan era folk, noi eravamo rhythm and
blues, l'incontro fu perfetto, non volevamo essere una bar band. Si fecero
le ossa prendendo fischi in tutto il mondo perché il pubblico dell'epoca non
era ancora pronto ad accettare il jack del filo elettrico nella cassa delle
chitarre, ma nonostante ciò furono consapevoli che quella era la via su cui
camminare. Tutti, tranne l'amico Levon Helm che una mattina, in una stanza
d'albergo di qualche città d'America, prese Robertson e gli disse non mi piace questa musica, non mi piace
questa gente, non voglio essere qui e non voglio suonare in nessuna band. Se
ne andò a lavorare in un pozzo petrolifero del Golfo del Messico, ritornò
quando il rinascimento a Woodstock ( Big Pink e non il festival) era già
cominciato e li facevano tappa chiunque avesse
delle idee in ebollizione, da Dylan ad Albert Grossman, da George Harrison a
Van Morrison, compreso Eric Clapton
che osò dire : il senso di fratellanza
era l'anima di The Band e l'album Music from Big Pink cambiò la mia vita.
Poi
arrivò l'album marrone e le foto sulle copertine delle riviste, di The Band parlavano tutti, pur nel
frastuono dei lunghi assoli della stagione psichedelica. Tolsero la polvere dai
bauli della vecchia America, qualche giornalista scrisse che fu una rivoluzione
contro la rivoluzione, Martin Scorsese, uno dei tanti intervistati di Once
Were Brothers, confidò che le loro canzoni gli facevano venire in mente
i racconti di Herman Melville, il fotografo Elliott Landy ammise che non vide mai negli anni 60 nessuno così
unito e con tanto rispetto verso parenti e anziani. Curiosa la storia di
come venne fuori The Weight, una
delle canzoni simbolo dell'intera epopea del rock n'roll,racconta Robertson, osservando la scritta Nazareth, Pennsylvania
incisa sulla paletta della propria chitarra Martin. (E' il luogo dove
vengono fabbricate. n.d.r ) Quattro canadesi ed un americano dell'Arkansas, cinque
eccelsi musicisti, tre cantanti superlativi. Dice bene Bruce Springsteen non c'è
nessuna band il cui insieme è più grande della somma dei singoli come The Band,
avevano tre dei migliori cantanti bianchi della storia del rock n'roll. Bastava
uno solo di loro per fare una grande
band, loro ne avevano ben tre !
L'incontro a Parigi con Dominique, canadese di origini
francofone, trasforma la vita affettiva di Robbie Roberston. Diverrà moglie e
madre dei suoi figli, e sarà per lui una presenza fondamentale anche dal punto
di vista artistico. Dylan ci aveva
insegnato ad usare la poesia nel songwriting ma le letture di Dominique mi
ispirarono molto nello scrivere le canzoni. Poi da lì il via a tutto il
resto delle confessioni: l'ascesa e la caduta, gli incidenti in macchina e la
droga, la paura del palco e la perdita dell'energia, da Woodstock a Malibu, di
nuovo in tour con Dylan fino al concerto di Cleveland quando Richard Manuel, strafatto e ormai
indebolito, non riuscì a rimanere sul palco e gli altri quattro suonarono impauriti,
guardandosi continuamente negli occh, come se leggessero i segni della fine
imminente. Che arrivò con la decisione di interrompere il viaggio con la
trionfante apoteosi di The Last Waltz. Ma questo è un altro DVD. Diretto da Daniel Roher, parlato in inglese con i
sottotitoli in inglese e spagnolo, Once Were Brothers è la storia di
The Band raccontata da uno dei suoi protagonisti, arricchita dagli interventi
di Clapton, Springsteen, Dylan, George Harrison, Taj Mahal, Martin Scorsese,
Ronnie Hawkins, David Geffen e altri appartenenti al loro entourage. Quando parli del passato è come fare un puzzle
di pazienza, tutti i pezzettini devono combaciare altrimenti la storia perde il
suo senso e la sua bellezza. Jaime
Robbie Robertson, Toronto, 5 luglio 1943.
L'intera epopea di The Band la potete leggere sul numero
di Buscadero in uscita a giugno
5 commenti:
E'da quando circola la notizia di questo dvd,che provo grande curiosita'.Peccato non esista ancora una versione sottotitolata in italiano.Ad ogni modo come tu rimarchi, grande storia la loro...per non parlare di una gavetta che nessuna altra band ha mai intrapreso ( altro che i Beatles ad Amburgo).Ogni tanto oltre ai loro album amo andarmi a rileggere le pagine che dedicò a loro Greil Marcus su Mistery Train.Un vero trattato sulla loro opera e una vera e propria "tesi di laurea".Non vedo l'ora di rileggerne l'epopea sul prossimo Buscadero...perche' The Band meritano sempre un ripasso !!
Armando
unknown2. L'articolo di Zambo gronda passione e affetto. Nessuno si azzarderebbe a contestare la grandezza e l'importanza della 'Band' per eccellenza, antesignana di decenni del suono Americana. Anch'io userò l'articolone del Busca per ripercorrerne le gesta musicali, e magari riscoprire qualche perla dimenticata da inserire in playlist.
Però The Last Waltz ebbe luogo il 25 novembre 1976... Le successive carriere soliste, variamente dignitose, nulla aggiungono al mito.
Dobbiamo sempre tornare indietro, stavolta addirittura di 44 anni, per esaltarci ancora?
Io spero di no, ma temo di sì.
Mi auguro che tra 44 anni qualcuno scriverà di un mitico concerto svoltosi, causa covid, nel 2021. Un concerto rock, all guitars, con tante stars per celebrare l'addio di un gruppo seminale, un gruppo che parlava\suonava linguaggi nuovi per nuovi rock-fan.
Linguaggi fuori dalla mia portata. Rock 'n' roll will never die, ma io vado ad ascoltarmi
It makes no difference. In fondo, non fa differenza, no?
Stranamente, quando attorno ai 12 anni mi avvicinai alla musica Rock, the Band fu uno tra i primi gruppi che ebbi modo di conoscere: un mensile di fumetti, il Boy Music (ex Corriere dei Ragazzi), aveva infatti riportato un trafiletto con la notizia del concerto di addio del gruppo che negli anni Sessanta aveva accompagnato Bob Dylan nella sua svolta elettrica. Nientemeno. The Last Waltz, venne proiettato nella sala del cinema di fronte alla scuola media che stavo frequentando - con una certa fatica, tra l’altro. Film e colonna sonora non furono tuttavia amore a prima vista, ma mi colpirono abbastanza da intuire che la portata e lo spessore artistico andavano oltre a ciò che all’epoca ero in grado di apprezzare; un po’ come quei libri che in un certo momento si fa fatica a leggere, ma ai quali non si priverebbe per niente al mondo uno spazio legittimo nella propria libreria, in attesa dell’occasione opportuna per riprenderli in mano.
Robbie Robertson, nel film di Scorsese lo chiama ‘a celebration’; una celebrazione, quindi, che si sarebbe svolta il 25 di novembre 1976, vale a dire il giorno del Ringraziamento. Celebrazione e Ringraziamento, due richiami dal sapore quasi mistico, evocativi di una religiosità 'pop', per così dire, che non rinuncia però, come d’uso nelle grandi occasioni, ad invitare le Autorità; si presentarono infatti non soltanto dei semplici conoscenti od un gruppo di amici, ma ‘probably some of the greatest influences on music of a whole generation’. Lo sapevano di potersi permettere uno spettacolo in grande stile e che nessuno, ne erano certi, avrebbe avuto il coraggio di rinunciare ad un simile evento. Davvero pochi, come questi cinque vestiti spesso da beccamorti, godevano di analoga reputazione nel loro ambiente. The Band decise così di saldare il conto e di pagare il proprio debito di riconoscenza alla Musica, in particolare ad una Tradizione Musicale (Americana, of course), costante Musa ispiratrice per un gruppo che il caso volle fosse per quattro quinti canadese. La veste di profeta, cioè quello capace di leggere con buona precisione i propri tempi e di interpretarne verosimilmente i segni, passò in questa occasione al gruppo che del profeta per antonomasia era stato fedele discepolo: assieme a Bob Dylan, The Band aveva infatti spesso diviso sia palchi (a partire dalla tournée del ‘65, abbastanza contestata da indurre Levon Helm ad andarsene) che scantinati (del cottage ‘Big Pink’, dalle cui jam sessions verranno tratti i celeberrimi ‘Basement Tapes’) e probabilmente i cinque ne erano stati sufficientemente influenzati da recepire in quel preciso momento storico che i tempi, sì, stavano proprio cambiando. Questa volta però la trasformazione non riguardava i costumi di una generazione, ma erano le loro stesse vite ad essere messe in discussione dagli eventi, e come solo pochi riescono o trovano il coraggio di fare, optarono per un’uscita di scena alla grande, in una forma ancora strepitosa e tecnicamente all’apice. Lo stesso Robertson, nelle battute finali del film, farà ancora maggior luce su tale consapevolezza, causa prima di questo indimenticabile Epilogo di carriera: "The road has taken a lot of the great ones. Hank Williams. Buddy Holly. Otis Redding. Janis. Jimi Hendrix. Elvis. It's a goddamn impossible way of life. No question about it".
Già, no question about it. Blues
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