mercoledì 28 dicembre 2022

FOLLOW THAT DREAM L'esordio di Tom Petty and the Heartbreakers

Pubblicato originariamente sul N.458 del Buscadero (settembre 2022) questo è il primo di un trittico di articoli sulla carriera di Tom Petty. A seguire il resto

 

Sebbene nativi della Florida fu la Città degli Angeli a catalizzare la nascita di Tom Petty and the Heartbreakers. Il nucleo originario esisteva ben prima del 6 novembre 1976, data di uscita del loro esordio discografico, perché dalle parti di Gainsville, nella Florida settentrionale, i Mudcrutch erano diventati popolari tra quanti bazzicavano i club e i raduni della zona. Tom Petty era cresciuto nella difficile relazione col padre Earl, rappresentante commerciale, e la musica gli era parsa l’unica salvezza per evadere dalla famiglia e cercarsi un’alternativa. Nato nel 1950, era il classico figlio dell’età della televisione e probabilmente è questa la ragione per cui Los Angeles divenne nella sua mente il luogo ideale dove realizzare i propri sogni. Il primo incontro con il rock n’roll non fu difatti un jukebox ma un set cinematografico. Lo zio di Petty, Earl Jerrigan aveva il compito di perlustrare il tribunale di Ocala, 40 miglia a sud della casa di Petty a Gainsville, per una scena del film di Elvis Presley Follow That Dream  e invitò Tom ad accompagnarlo. Tom non conosceva il  Re del rock n’roll ma, incuriosito, accettò. Quando si trovò al cospetto di Elvis non disse una parola ma rimase visibilmente impressionato: “ sembrava di una specie irreale, come se stesse brillando, era sbalorditivo, quasi spirituale”.  Tom Petty quel giorno vide il suo futuro e rientrato a casa scambiò la sua fionda di marca Wham-O per un box di 45 giri di Presley. Tre anni dopo Petty ebbe un’altra visione cosmica quando assistette all’esibizione dei Beatles all’Ed Sullivan Show. Non passò molto tempo che convinse alcuni amici del quartiere a mettere insieme una band sul modello di quello che aveva visto e sebbene avesse solo quattordici anni capì che quella era la strada per evitare una vita mediocre.  Ci furono delle band scolastiche ma l’avventura vera e propria iniziò quando gli Epics si trasformarono in Mudcrutch. Ne facevano parte il chitarrista e cantante Tom Leadon,  il batterista  Randall Marsh e l’altro chitarrista Mike Campbell, ai quali poi si aggiunse il tastierista Benmont Tench. Petty si occupava di canto e basso ed il suo background abbracciava quel rock e quel beat che riusciva ad intercettare nelle radio locali. La scena musicale degli anni sessanta e primi settanta che si concentrava attorno all’Università della Florida era abbastanza fertile ma a Petty sembrò un segno premonitore che Bernie Leadon, il fratello maggiore di Tom, fosse emigrato a Los Angeles diventando un membro degli Eagles ed il più giovane Tom Leadon, rimpiazzato nei Mudcrutch da Danny Roberts, in California avesse trovato lavoro nella band di Linda Ronstadt. Agli occhi di Petty, Los Angeles  significava la mecca dei propri ideali, la città in cui tutto era possibile e i suoi sogni si sarebbero realizzati. In seguito il rapporto con la città non sarà così idilliaco e solo fonte di successo, causa la travagliata relazione con l’industria discografica. E difficoltoso sarà all’inizio farsi accettare nella scena californiana, sia coi Mudcrutch prima che con gli Heartbreakers poi, la stampa sarà piuttosto restia a considerare la loro musica un prodotto della West Coast preferendo scrivere di gruppo punk o southern rock o addirittura una band di heartland rock . Ma in quei giorni di gioventù è Los Angeles  il pantheon dove abitavano i miti di Petty che ascoltava alla radio, ovvero i Beach Boys, i Byrds, i Buffalo Springfield e i Flying Burrito Brothers.  Il primo viaggio nella Città degli Angeli Petty lo fa con Roberts e l’amico McAllister, è il 1974 e si portano appresso un demo dei Mudcrutch. Ma prima di arrivare in California si fermano agli studi della Capricorn Records a Macon dove la Marshall Tucker Band stava registrando il secondo disco A New Life.  Aspettarono tutto il giorno prima che qualcuno gli desse retta e ascoltasse il loro demo ma la risposta fu lapidaria : “troppo inglese questa roba, grazie e arrivederci ”.  Rivelò anni più tardi Petty che “in quel momento il Sud era inondato dalla musica della Allman Brothers Band e tutti, tranne noi, cercavano di imitarli. A noi piacevano gli Allman ma odiavamo le imitazioni, pensavamo che fosse una cosa stupida. Los Angeles rimaneva la nostra vera opportunità, là c’erano i Byrds, là volevamo fare quello che non potevamo fare in Florida”.



Prima di lasciare Gainsville, i Mudcrutch avevano già inviato il demo  di On The Street, registrato su due piste nel soggiorno della casa dei genitori di Benmont Tench, a varie case discografiche ricevendo unica risposta da Peter Welding, A&R della Playboy Records e storico del blues e del jazz che aveva lavorato con artisti “oscuri”, il quale pur rifiutando il materiale proposto ne analizzò i singoli brani mettendone in evidenza i difetti e suggerendo possibili migliorie. Arrivati a Hollywood, i tre si trovarono immersi in un mondo che non conoscevano e da ogni parte guardassero trovavano compagnie discografiche. Il feeling con la città fu immediato e la MGM offrì loro la possibilità di registrare un singolo. Presero tempo dopo che in un diner Petty si appuntò da un elenco telefonico i numeri di una ventina di etichette discografiche tra cui la Shelter, ubicata in un bungalow in una zona piuttosto fatiscente di East Hollywood. L’ufficio aveva però un aspetto pittoresco, il legno con cui era rivestito conferiva un fascino campagnolo in contrasto con il decor urbano di luci e cemento del sobborgo. Lasciarono lì il nastro dimostrativo e continuarono il loro giro interpellando anche le più titolate Capitol e London. Fecero in tempo a fare una sortita nel mitico Whiskey a Go-Go di West Hollywood rimanendo incantati dal luogo e dal pubblico che lo frequentava ma di fatto a Petty e compagni non rimase che tornare in Florida sperando  di ricevere qualche telefonata importante, che arrivò quando Denny Cordell, il produttore inglese che era stato alle spalle dei successi di Procol Harum, Moody Blues e Joe Cocker e co-proprietario della Shelter Records li chiamò. Aveva ascoltato il loro demo  e li invitò a fare tappa a Tulsa in Oklahoma dove Leon Russell, l’altro socio della Shelter, aveva allestito un suo studio in una vecchia chiesa. Cordell  incontrò i Mudcrutch al completo in una tavola calda di Tulsa e negli studi di Russell Petty e soci incisero una versione di Cry To Me  di Solomon Burke, I Can’t Fight It  ed una primitiva Don’t Do Me Like That  tutte e tre rintracciabili nel box antologico Playback del 1995. Il viaggio continuò fino a Los Angeles perché la Shelter era fermamente interessata a loro.  Anni dopo, Tom Petty confidò “ arrivai a L.A ed in una settimana avevo in mano il contratto, per disfarmene ci vollero parecchi anni”. Insieme a Petty c’era la nuova moglie Jane, sposata poco prima di lasciare la Florida, con cui diede al mondo la figlia Adria nel novembre del 1974. I Mudcrutch presero alloggio all’Hollywood Premier Motel in Hollywood Boulevard non molto distante dagli uffici della Shelter.  Passò del tempo prima che le cose in sala di registrazione funzionassero, i soldi scarseggiavano e la band fu costretta a spostarsi in due case affittate nella San Fernando Valley, a nord di Hollywood. Ma Cordell fu un vero mentore per loro ed invitò più volte Petty a raggiungerlo nel suo ufficio nell’orario di chiusura per fargli ascoltare i dischi più disparati, da Lloyd Price ai Rolling Stones, da Dylan al reggae, cose di cui il musicista era piuttosto a digiuno perché nei giorni di Gainsville con pochi soldi a disposizione non poteva permettersele e l’unica fonte rimaneva la radio. Fu una bonanza di informazioni e non solo discografiche. Il futuro batterista degli Heartbreakers, Stan Lynch mantiene un identico punto di vista a proposito di Cordell: “ero ancora molto giovane e non sapevo cosa significavano in termini musicali groove e feel. Lo chiesi a Denny il quale mi invitò ad andare con lui ad un concerto di Bob Marley and The Wailers. Mi fece accomodare sulla sua Ferrari, mi passò le chiavi e mi disse di guidarla, spronandomi ad accelerare. Una volta raggiunta una velocità sostenuta, mi disse, ecco cosa significa il groove. Al concerto, Marley ipnotizzò la platea con la sua performance, qualcuno  passò un joint attraverso la balconata, e Cordell disse, questo è il feel”.

La prima menzione sui Mudcrutch in L.A apparve il 31 agosto 1974 su Billboard, annunciava che stavano registrando con Cordell come produttore e Rick Heenan come ingegnere del suono al Village Recorder, uno studio ricavato negli anni sessanta da un tempio Masonico. Quegli studi furono fondamentali nella carriera di Petty ma il primo approccio non fu facile, pareva che i Mudcrutch  si trovassero meglio a registrare nel salotto di Tench che al Village Recorder ma nonostante tutto ne uscì un singolo, Depot Street, con venature reggae, e come B side un più commerciale Wild Eyes. L’idea di un singolo reggae può sembrare balzana conoscendo oggi la discografia completa di Petty ma al tempo la mossa non fu così strana visto che in quel 1974 Clapton scalava le classifiche con I Shot the Sheriff.  Comunque Depot Street non ricevette ne particolari attenzioni radiofoniche ne recensioni, a parte una segnalazione nella rubrica First Time Around di Billboard come nuovi artisti valevoli di ascolto. Le vendite furono inesistenti. La band uscì dallo studio delusa e senza nulla in mano se non un mediocre singolo reggae. La scena rock di Los Angeles era in completa evoluzione, i vecchi miti californiani erano in stand by o pagavano gli eccessi del passato, ed il Sunset Strip era preso d’assalto da nuove e giovani band punk e new-wave. Nell’etere teneva banco un certo Rodney Bingenheimer sulla stazione radio KROQ col programma Rodney on the ROQ dove passava la nuova musica emergente della città.  Nel frattempo i Mudcrutch avevano perso Danny Roberts che aveva fatto ritorno in Florida e al suo posto venne reclutato Charlie Souza, un veterano della scena rock di Tampa con i Tropics. Dal momento che i soldi per le registrazioni erano esauriti, Petty e company furono indirizzati nello studio casalingo di Leon Russell a Encino dove per qualche mese tentarono di incidere qualcosa. Charlie Souza fece in tempo a partecipare alla versione dei Mudcrutch di  Don’t Do Me Like That il singolo che avrebbe lanciato qualche anno più tardi l’album Damn The Torpedoes e segnato in modo indelebile la carriera degli Heartbreakers. La canzone era stata scritta al pianoforte da Petty agli Alley Studios e sempre nello studio di Russell fu registrata Hometown Blues , poi finita nell’esordio degli Heartbreakers, con Randall Marsh alla batteria, Charlie Souza al sassofono e Donald “Duck” Dunn al basso. Ma in ultima analisi le session furono piuttosto fallimentari e Cordell fu costretto a convocare Petty nel suo ufficio dicendogli che le perdite erano tali da imporgli di licenziare la band ma, credendo ciecamente in lui, era disposto a rinegoziare il contratto con la Shelter come  solista. Situazione analoga a quella capitata sempre a Los Angeles quando la Liberty si sbarazzò degli Hourglass ovvero del nucleo originario degli Allman tenendosi stretto il solo Gregg Allman.


(foto estratta da Rick's Airport Recorders)

Tom Petty con la moglie Jane si spostò a vivere al Winone Motel e cominciò a lavorare al suo disco solista negli studi della Warner Bros.  di Burbank ricevendo ancora una volta una telefonata da Leon Russell, il quale lo coinvolgeva in un progetto ambizioso. L’idea di Russell era pianificare un album in cui ogni brano avrebbe goduto di un produttore diverso offrendo a Petty la possibilità di scrivere assieme al lui alcune canzoni. Lo portò a casa di Brian Wilson, gli fece conoscere Ringo Starr,  George Harrison e il  batterista Jim Keltner che in quel mentre si trovavano a L.A e poi Terry Melcher il produttore di diversi hits dei Byrds. Fu una esperienza formativa per Petty entrare in contatto e vedere all’opera simili leggende, anche se alla fine non fu accreditato di nessun brano sebbene la sua Satisfy Yourself  fu riscritta da Russell come I Wanna Satisfy You e apparve nel disco del 1976 di quest’ultimo, Wedding Album, col titolo di Satisfy You. Nello stesso tempo sebbene Dennis Cordell gli avesse messo a disposizione musicisti come Al Kooper e Jim Keltner,  le session per il nuovo disco di Petty non produssero molto se non la romantica Since You Said You Loved Me e la prima versione di Louisiana Rain entrambe contenute in Playback.  Da parte sua Benmont Tench era rimasto a L.A dopo la dissoluzione di Mudcrutch formando un suo gruppo e nel sottobosco musicale di Hollywood era rimasto anche Mike Campbell. Del giro faceva parte anche il bassista Ron Blair che telefonò al batterista Stan Lynch per proporre assieme agli altri due una session con Tom Petty.  La luce si accese, così anni dopo rivelò Petty “Benmont li aveva portati tutti lì e di colpo vidi gli Heartbreakers nascere. Quella era la mia casa”. In verità Randall Marsh, presente in quelle session, non fu incluso nella iniziale line up, al suo posto c’era Jeff Jourard presente nelle prime foto pubblicitarie del gruppo. Quest’ultimo fece in tempo a mettere la sua chitarra in alcuni brani dell’album d’esordio, come nella strepitosa Strangered in the Night e partecipare alla prima uscita di Tom Petty and Nightro al Van Nuys Recreation Center il 19 marzo 1976. Quando Cordell coniò il nome Heartbreakers  scartando Tom Petty and the King Bees la band era già in pista di decollo con Campbell, Tench, Lynch e Blair. Il nome di Tom Petty rimaneva in primo piano, sostanzialmente perché il contratto discografico era a suo nome, e lui sarebbe rimasto se la band non fosse riuscita a prendere piede. Fu reclutato il roadie Alan “Bugs” Weidel che divenne il confidente ed il braccio destro del leader. Molti dei brani dell’album d’esordio degli Heartbreakers furono registrati negli studi della Shelter fatti costruire da Cordell in un vecchio night club armeno dove l’unica vista esterna era un teatro gay porno. In quindici giorni di duro lavoro nell’estate del ’76 vennero messe a punto Fooled Again (I Don’t Like It)  negli studi della WB e Mystery Man registrata live in una sola seduta  agli A&M Studios precedentemente chiamati Charlie Chaplin Studios perché lì il regista ci girò alcuni suoi film, nelle sale della Shelter nacque invece uno dei brani più famosi della discografia di Petty ovvero American Girl, registrata nel giorno del bicentenario il 4 luglio 1976. Molti asserirono che il tema della canzone fosse il suicidio di una studentessa dell’Università della Florida, l’autore spiegò invece che più semplicemente fu scritta a proposito del traffico a ridosso  dell’appartamento in cui viveva. “Abitavo in un appartamento a Encino vicino alla freeway e le macchine passavano in continuazione. Il rumore aveva su di me l’effetto delle onde dell’oceano. Era il mio oceano, la mia Malibu dove sentivo la risacca delle onde, ma invece erano le auto che sfrecciavano. Ispirarono il testo, era il giorno del bicentenario, c’erano tante cose americane che giravano attorno, era tutto rosso, bianco e blu”.   Altro pezzo da novanta dell’album è Breakdown , cavallo dei suoi concerti, scritta al pianoforte comprato proprio in quei giorni. Confrontati ai Mudcrutch, da subito gli Heartbreakers si rivelarono più sapienti e consci delle proprie possibilità, il processo di scrittura e la registrazione furono molto più facili e naturali, le canzoni vennero fuori quasi spontaneamente, registrate per di più dal vivo. “ Eravamo molto eccitati, non avevamo paura di sperimentare qualsiasi cosa, era una gioia suonare insieme e fummo orgogliosi di quello che facemmo”.  Ancora oggi l’album Tom Petty and the Heartbreakers suona come uno dei debutti migliori nella storia del rock americano, canzoni divenute la forza delle esibizioni live nelle decadi successive come Breakdown, Anything That’s Rock and Roll, American Girl, Fooled Again, scampoli di cosmica psichedelia come in Luna, misteriose ballate come Strangered In The Night e Mystery Man  e soprattutto quella diffusa attitudine nel rinfrescare un rock a stelle e strisce che nella seconda metà degli anni settanta si stava imbolsendo.

Ad eccezione di Rockin’ Around (With You) co-scritto con Campbell, tutti i brani sono accreditati a Petty, il disco fu pubblicato il 9 novembre 1976 e ricevette ovunque recensioni positive. Billboard lo incluse nel suoi “LP raccomandati”, Breakdown entrò nella heavy rotazione della stazione radio KWST e nella classifica di Billboard,   la rivista Sounds disse che il disco incorporava il suono delle band degli anni sessanta ma rimaneva puro ed unico, Robert Hilburn sul Los Angeles Times definendolo l’album dell’anno, scrisse che “come la musica dei Rolling Stones, la musica di Tom Petty guadagnava dopo ripetuti ascolti tanto da diventare seduttiva, era la miglior dose di puro mainstream rock da parte di una band americana dai tempi di Rocks degli Areosmith”.  Tom Petty and the Heartbreakers  ancora oggi mantiene la sua solidità e non soffre il tempo, è sfaccettato come un mosaico con quei molteplici rimandi ai Beatles, agli Stones, a Eddie Cochran, alle garage band dei sixties, cantato con la passione di un vero rocker compulsivo. L’uscita permise alla band di andare in tour nella East Coast e soprattutto di apparire più volte in quell’agognato Whiskey A-Go-go fin dai tempi dei Mudcrutch. Divisero il palco con Blondie nel febbraio del 1977 e ci ritornarono per due show nell’aprile seguente, poi “aprirono” per Bob Seger al Winterland di San Francisco.  Andarono in tour per sette settimane in Inghilterra toccando anche Francia, Germania, Svezia e Olanda, paesi dove il singolo American Girl/Anything That’s Rock n’ Roll stava sbancando ma l’impressione, una volta tornati a casa, appena scesi  dall’aereo fu quella di sentirsi di nuovo delle nullità. Non era così, in California il loro nome era ormai sulla bocca di tutti ed il mondo intero li stava aspettando, bastava solo avere un po’ di pazienza. Singolare in quei giorni fu l’incontro tra Petty ed uno dei suoi miti, Roger McGuinn, il quale gli confidò di aver ascoltato American Girl ma di non ricordarsi quando l’aveva incisa. Timoroso Petty gli fece presente che “ mi spiace sir, ma veramente quella è una mia……” al ché McGuinn lo tolse dall’imbarazzo complimentandosi per la bellezza della canzone e manifestando la volontà di interpretarla”. “Grazie sir-ribatté  Petty-avete la mia benedizione”.. Di nuovo Hilburn sulle colonne del L.A Times dichiarò American Girl come il singolo rock debutto dell’anno e ciò non fece che lievitare la popolarità della band, finalmente adottata dalla scena musicale californiana. Ma l’episodio che più di ogni altro focalizza le bizzarrie di quel periodo pionieristico e chiude il cerchio, è ciò che racconta Petty nelle note annesse al box Playback : “ ero a casa a Los Angeles e fu un giorno davvero strano perché fu la prima volta che mi sentii alla radio. Stavo ascoltando KROQ e appresi che Elvis era morto, rimasi sbigottito e, potete non credere, ma KROQ non aveva a disposizione nessun disco di Presley. Inaudito. Allora per supplire alla mancanza misero sul piatto alcuni artisti che Elvis aveva ispirato e scelsero proprio me. Fui stupito ma mi sembrò assurdo che una stazione radio specializzata in new wave e punk non avesse un disco del Re del rock n’roll. Una situazione davvero surreale, la cosa più strana che mi sia mai capitata, essere il sostituto di colui che più di ogni altro mi aveva indicato a seguire un sogno……. poi a mente fredda, riflettendo mi sono detto…..beh ogni generazione ha bisogno delle proprie band”.

Mauro Zambellini




 

19 commenti:

Luigi ha detto...

Benissimo
È ora di rimettere in ordine la biografia di uno dei più grandi artisti americani (non troppo conosciuto in italia) e di dare il giusto riconoscimento ad un gigante della musica.

Armando Chiechi ha detto...

Letto sul Buscadero...ma sempre bello dargli l' ennesimo ripasso !!

Armando

Unknown2 ha detto...

Livio. Di cuore ringrazio. Altri 2 articoloni in programma: compensa abbondantemente la scarsa copertura data al Live at Fillmore '97.
Anch'io davvero non capisco come in Italia in pochi conoscano e apprezzino TP, quando, solo x fare un esempio, i pinkfloyd, o anche il mio amato Sp.steen, ci escono dalle orecchie...

Armando Chiechi ha detto...

Mah...io credo che tolti i grossi centri, tutta l' Italia sia costituita da piccolissime isole in cui negli anni è arrivato poco e niente o null' altro si è voluto ascoltare, provare ed azzardare. Giusto per fare un esempio dalle mie parti, a parte una grossa tradizione legata alla lirica, opera , classica ( vuoi per il teatro Petruzzelli) una buona scena jazz, il rock... ad eccezione di una vivace scena punk ( anni '80) e il progressive che da sempre qui ha avuto buon riscontro, di poco altro si è potuto godere, almeno a livello di proposte altre e concerti. Lou Reed, Patti Smith, Elliott Murphy, Bob Dylan,Calexico,Jackson Browne, John Trudell, Willy De Ville , Keith B,Brown, B.B.King, Jeff Healey ( giusto per citarne qualcuno) sono stati quasi dei miracoli e ho dovuto conservarmi il biglietto quasi per dirmi che era vero tutto ciò che ho visto !?! Parlando di rock americano, pur avendo tanti estimatori, dalle mie parti ha sempre latitato. Certo negli ultimi anni qualcosa è cambiato ma siamo ancora tanto indietro...e per fortuna che ci sono almeno i festival blues !?!

Armando

bobrock ha detto...

A proposito di festival blues …. Il sette luglio suona a Parigi Chris Isaak ( ho appena preso il biglietto 🎟)….. ma il giorno dopo a Cognac sia Chris Isaak ma anche Buddy Guy e ci sto facendo un pensierino di allungare la trasferta .
Sfondate i salvadanai perché ne vale la pena.

corrado ha detto...

Buddy Guy mi dà la scusa per commentare alcuni dischi che mi hanno lasciato qualcosa durante questo 2022.
Non necessariamente i "migliori dischi dellanno", anzi, in alcuni casi tutt'altro, ma proprio dischi che in alcuni casi per ragioni affettive e familiari hanno avuto un loro senso per me e le persone con cui condivido gli affetti.
Il mio criterio è dunque piuttosto personale.
Innanzitutto, come sapete, ho volutamente escluso cofanetti, ristampe, live celebrativi e simili. Quelli fanno parte di una sezione specifica.
E allora parto proprio con Buddy Guy, che per la mia personalissima idea di musica, ha tirato fuori quello che deve essere un disco che rimane impresso. Già solo i testi delle prime due canzoni sono la summa di anni e anni di storia del Blues, con i loro richiami a Sonny Boy Wiliamson, a Chuck Berry e ad altri grandi. Da soli formano il valore aggiunto di un disco ispiratissimo e suonato in maniera magistrale. Niente di nuovo? Sicuro, ma è anche l'esempio di come Springsteen avrebbe potuto lavorare su materiali in fondo non troppo distanti da quelli utilizzati da Buddy Guy..
86 anni!
Poi i Delines, scoperti grazie a Zambo. Mi hanno fatto compagnia in lunghi mesi difficili per grandi difficoltà e lutti familiari che stiamo vivendo e trovo la loro musica molto intensa, profonda.
Proprio in reazione alle continue avversità che la vita ci propone, ho avuto momenti di bellezza dai dischi di Orville Peck, in particolare con "Bronco", uscito nei mesi scorsi. Grande esempio di come può funzionare un disco di country moderno, mescolato col pop, ma anche con la tradizione di un Gram Parsons. La sua "C'mon baby, cry" è un grande hit che ti rimane in testa e che hai voglia di riascoltare: la perfezione pop, una versione moderna di certi brani alla "Suspicious mind", ma più articolata e complessa. Springsteen avrebbe potuto ascoltare il precedente "Pony" per farsi venire meglio "Western Stars", ma non riprendiamo l'argomento...
Ancora i Dream Syndicate, che suonano davvero alla grande, anche quando la caratura delle canzoni non è eccelsa. L'ultimo disco raccoglie alcune canzoni molto belle e altre forse trascurabili, ma tutte veramente suonate con una bravura e una perizia tecnica che i musicisti della band forse non possedevano in passato.
E poi, tenetevi forte, le... Black Pink, ma solo perché sono legate a mia figlia più piccola che, a differenza della grande, springsteeniana, è la regina del pop e costringendo i ad ascoltarle me le ha fatte "apprezzare", ma in senso molto lato. È comunque qualcosa che mi è rimasto di questo strano e difficile 2022.
Ci sarebbero anche King Hannah e Kevin Morby, ma per la verità devo ascoltarli meglio.
Menzioni anche per i nostri Cheap Wyne, che hanno tirato fuori un paio di ballate notevoli nell'ultimo album.
Quindi per i Diaframma, che continuano a non piegarsi ad alcuna moda o compromesso.
Infine bello il ritorno di Paul Weller nella super band Monks social road, dopo aver decisamente cannato gli ultimi tre album di fila, un record in negativo per il nostro.
Una segnalazione affettiva per Neil Young. Pensavo peggio, invece il disco nuovo si riesce ad ascoltare quasi tutto.
Non pervenuto Springsteen, anche se a Bottazzi è piaciuto.
Poi, naturalmente i ripescaggi dal passato, con il live di Tom Petty in testa, ma bello anche De Ville e Neil Young.
Questo è tutto, perdonate la lunghezza e le Black Pink!...

Armando Chiechi ha detto...

Che bello leggere quanto scritto da Corrado... perché a prescindere dai gusti e da quanto riportato, le sue motivazioni trasmettono tutta l' emozione e la passione per la musica.

Armando

bobrock ha detto...

Ho riletto l’articolo , già letto sul busca. Devo dire che rimangono in pochi a scrivere come te Zambellini.
Mi ripeto: é come immergersi e ritrovarsi dentro una storia guardando i personaggi da vicino.
É veramente appassionante.
Ps: x Corrado Buddy Guy é uno dei miei artisti preferiti, nel 2008 ero a Trezzo D’adda ed eravamo in 4 gatti, ( 500/600 persone )
La solita vergogna.
Traspariva il fatto che avesse vissuto una vita su ogni genere di palcoscenico, completamente a suo agio anche in una situazione con scarso pubblico.
Una presenza magnetica , un grande gigione troppo simpatico troppo bravo.
Direi che la sua discografia degli ultimi 25 é di livello medio alto. Nessun capolavoro ma non c’è’ un album in cui dici questo lo butterei via .
Farò del mio meglio per andare a Cognac a sentirlo tenuto conto che 86 primavere mi sembrano veramente tante.

bobrock ha detto...

Sempre per Corrado: sono andato ad ascoltare un brano delle Black Pink su you tube ……..beh sappi che sono diventato già un loro fan..😂😂😂😂😂 ma per motivi extramusicali 😇😇😇😇

corrado ha detto...

Bob, vedo che sei entrato perfettamente nello spirito di quanto ho scritto! 😂😂😂

Zambo ha detto...

Bobrock, grazie della segnalazione di Cognac, posto che ci sono stato tanti anni fa e varrebbe la pena ritornarci in moto visto il mio amore per le strade francesi. Grazi Corrado, le tue scelte, alcune condivise sono interessanti e andrò ad ascoltare sicuramente Orville Peck. D'accordo sui Dream Syndicate che suonano meglio oggi di ieri. Ed invece voglio sottoporre a tutti voi il caso Sam Fender, colui che aprirà i concerti del Boss alle nostre latitudini. Lo ascoltato quasi per caso la notta di Natale su una piattaforma ma ero leggermente brillo, mi ha fatto un impressione incredibile per forza, energia, irruenza. Ho ascoltato la versione doppia con live annesso di Seventeen Going Under. Mi sono messo perfino a ballare, solo, nella notte. Ho comprato al volo su amazon il cd. L'impressione sobria è stata meno eclatante nel senso che ripete un po troppo lo stesso copione e la batteria risuona delle produzioni Steve Lillywhite degli anni 80. Inoltre in alcuni momenti c'è un overdose sonora un po magniloquente. Ma il ragazzo ha stoffa e la parte live è davvero coinvolgente, in qualche momento devastante. Non è il solito songwriter alla Buscadero o post Dylan post Young post Prine post Springsteen anche se di quest'ultimo ha molto e nel sound mi fa venire in mente U2, Big Country e War On Drugs. Mi interesserebbe un vostro parere, friends. Buon Anno amici.

Zambo ha detto...

scusate gli errori ortografici, scrivo in fretta e non riguardo

corrado ha detto...

Non c'entra niente, ma oggi ho ritrovato la cassetta col concerto di Willie De Ville a Cagliari il 9 luglio 1994 che avevo registrato da sotto il palco.
Potrò finalmente digitalizzare e riascoltare quel live memorabile a mio piacimento, anche sentendo le voci e i commenti di allora...

Unknown2 ha detto...

Livio. Mi unisco al plauso unanime x le pantere sudcoreane. E io che credevo che a Seul fossero tutti piccoletti e cicciottelli...
Buddy Guy alla fine l'abbiamo infilato tutti tra i preferiti del '22. Nulla di sconvolgente, ma la maestria, l'amore x il blues e direi anche l'umana, istintiva simpatia che suscita non possono non conquistare.
E' una novità che Springsteen ricorra addirittura a 2 openers, ma preciso che mi sono perso i tour degli anni '10. In passato non ne aveva mai voluto sapere. Mah, altro segno dei tempi...
A Monza saranno i Teskey Brothers e Tash Sultana. Devo approfondire.
Sto sentendo Sam Fender. Nonostante il nome vedo che è di Newcastle, e infatti il suo sound è assolutamente british. Un po' Police, un po' Oasis, un po' Simple Minds, un po' U2. Voce potente, e la sua Fender la fa rombare. Le canzoni non mi fanno impazzire, personalmente, ecco.
Leggo che odia essere paragonato a Springsteen, ma d'altronde se esegue dal vivo molto spesso Dancing in t. D. (che non mi è mai piaciuta) e gli fa pure da supporter, cosa si può aspettare? Live è trascinante, ma sempre molto inglese. Io ci sento poco di Bruce, a parte quel sax che a volte spunta nei suoi pezzi.
Buon 2023, Blood Brothers

Paul ha detto...

Sam Fender mi è stato suggerito mesi fa da un amico vendendolo come un ennesimo novello springsteen (......) io l'ho ascoltato ma sono rimasto piuttosto tiepido, ritrovando tutte le sonorità british citate puntualmente da Livio più roba tipo brian Fallon e gaslight anthem....spero che dal vivo mi faccia ballare come ha fatto fare a zambo anche perché il suddetto amico mi trascinerà a maggio a vederlo al Fabrique.....entusiasta invece che a Monza aprano a springsteen i meravigliosi Teskey brothers e peccato che non ci sia Fantastic Negrito, personaggio assolutamente unico nel panorama attuale.
Unica come la penna del padrone di casa, a cui vanno i miei più cari auguri di buon 2023, unitamente a voi tutte zambo'shead

Armando Chiechi ha detto...

Ho raccolto l' invito di Mauro ad ascoltare Sam Fender ma ad un primo e distratto ascolto ho provato sentimenti contrastanti. Una buona carica ma brani abbastanza simili tra loro...ma ripeto era un primo e quindi di sicuro ci riproverò! Stamani sono reduce da una nottata un po' insonne,causa un'indigestione e rientro tardivo a casa dopo una serata passata da alcuni parenti in quel della valle D'Itria con conseguente cena e alcoolici vari e 80 km di strada da percorrere verso casa. Avevo bisogno di una scossa al risveglio ed ho scelto tra i miei vecchi dischi Gil Evans e la sua orchestra che tributano Hendrix!!
Il pomeriggio di sicuro lo passo tra ascolti musicali, lettura e qualche buon film, in attesa che torni mia moglie dal lavoro e così finalmente festeggiare il nuovo anno e quindi augurare tutti voi possa iniziare e proseguire nel migliore dei modi.

Armando

Unknown2 ha detto...

Livio. Inizio l'anno con Cruel Country dei Wilco (scusate il ritardo). Opera importante, 21canzoni, album doppio.
Alt country? Folk? Americana? E che importa. Diciamo che, al solito, è un disco di Jeff Tweedy (e Nels Cline, la cui chitarra, acustica, elettrica, steel è dovunque).
Voce sommessa, volutamente in secondo piano, apparentemente incerta, batteria spazzolata, basso portante, tastiere spruzzate qua e là. Melodie sottili ma incisive. Niente sperimentalismi, psichedelia, kraut...
Tante grandi canzoni, soprattutto. Ognuno sceglierà le sue preferite, ma non lasceranno facilmente la vs testa e il vs cuore.
Grande disco, grazie Zambo x la segnalazione. Attendo di leggere la recensione. E sì, (x me) merita ampiamente di essere Disco Del Mese.
E un buon modo di iniziare il 2023: Auguri di Buona Musica a tutti!

Luigi ha detto...

La sparo grossa :
Credo che, a meno di miracoli , il disco più bello del 2023 sia uscito già a gennaio

Unknown2 ha detto...

Livio. Costretto in casa da un raffreddoraccio, tanta musica (e lettura, sempre). E il '23 comincia bene, xchè, dopo Wilco, scopro (grazie Luigi) Teskey Brothers! Fantastici. Australiani, bianchi con anima black, fanno del soul\r'n'b di eccelso livello. Pezzi originali, x lo +, composti da loro. Josh Teskey ha una voce potente ed espressiva, a metà tra Rod Stewart e Chris Robinson. Hanno la 1\2 degli anni di Sp.steen, ma potrebbero purtroppo insegnargli 8 o 10 cosette sulla vera musica nera, a lui e a Ron Aniello, che sta facendo + danni di una guerra mondiale, in casa Sp.steen.
2 dischi in studio, speciali, e 2 live, potenti e veri. Grande scoperta.
Sarà interessante sentire a Monza il 'loro' r'n'b prima di quello plastificato da Aniello, anche se oso sperare che quel che resta della E-St.Band sappia conferire un po' di umana verità ai pezzi di OTSS.