Nel 2012 i Rolling Stones pubblicarono in concomitanza del loro 50&CountingTour una antologia di 3 CD con 50 canzoni tra le più rappresentative della loro avventura musicale. Intitolato Grrr! ricapitolava la loro carriera dal primo singolo del 1963 Come On fino ai brani incisi mezzo secolo dopo, ovvero Doom and Gloom e One More Shot. Non era certo la prima antologia del gruppo inglese, dieci anni prima c'era stata Forty Licks e sette anni dopo ci sarebbe stata Honk, senza contare le tante compilation del secolo presecedente, ma Grrr! abbracciando un lasso di tempo così ampio sembrava quella definitiva. Considerata la proverbiale iperattività di Jagger e compagni nel pubblicare materiale proveniente dai loro archivi e nello sfruttare il loro arsenale, pochi avrebbero scommesso su quella parola, "definitiva" che di fatto non appartiene al vocabolario degli Stones ed infatti, immancabile, dieci anni più tardi arriva l'equivalente live di quella sorta di greatest hits espanso. Grrr Live! non abbonda di titoli come il predecessore, solo 24 tracce con i must dei loro show, quella specie di karaoke che va in onda sui palchi di mezzo mondo da una ventina d'anni a questa parte, con in più alcuni titoli famosi ma non così popolare come i loro classici. Maestri in quanto a ristampe e prodotti d'archivio, gli Stones non hanno assemblato brani live estratti qui e là dai loro tour ma presentano un ideale greatest hits attraverso un unico concerto, quello avvenuto durante il tour del cinquantesimo il 15 dicembre del 2012 al Prudential Center a Newark nel New Jersey. Un concerto superlativo e potente come si evince dall'ascolto di questo album che da prassi verrà distribuito in più formati (2CD, DVD+2CD,Bluray+2CD, 3 LP rosso e 3Lp nero) e dove non mancano invitati di lusso a rendere ancor più appetibile il menù.
Partono da lontano gli Stones mettendo in pista una scoppiettante Get Off Of My Cloud anno 1965 con cui scaldare gli americani del New Jersey e New York accorsi in massa a salutare la più longeva rock n'roll band dopo sei anni di assenza. L'ultima volta che erano capitati da quelle parti era il 2006, a settembre a East Rutherford e a novembre al Beacon Theatre di New York. Jagger è in forma e canta come fosse un trentenne, stessa verve, stesso entusiasmo, stessa scelleratezza, durante lo show non ci sarà calo di tensione a parte il rallenty in Wild Horses ma qui in apertura sono frizzi e lazzi, che si ripetono in The Last Time, medesimo anno della precedente, canzone amata anche dai mods oltre che dai rockers di ogni età e sesso. Chitarre sfrigolanti come nel beat, drumming (Charlie, l'eterno Charlie) disteso e preciso, il refrain immediatamente memorizzabile, il coretto finale sixties e tanti saluti ai Beatles. Are you feeling good ? grida Jagger al pubblico prima del manifesto programmatico della loro musica ovvero E' solo rock n'roll ma mi piace, qui ben rimpolpato dal backing di Bernard Fowler e della incandescente Lisa Fisher. Si ritorna al passato con la frustata di Paint It Black il loro hit più dark dove il suono del sitar aggiunge ombroso esoterismo ad un brano dalle linee barocche. Una versione intrigante e di cupa atmosfera, con una tensione ritmica costante, titolo che sarà onnipresente nei tour seguenti. Gimme Shelter è la mia canzone preferita del gruppo e qui parte alla grande, Jagger è mattatore ed introduce Lady Gaga che si lancia in un acuto ed in vocalizzi piuttosto banali, affatto adatti alla drammaticità del pezzo. Senza scomodare l'originale Mary Clayton sarebbe bastata la sola Fisher a tenere alta una canzone che è una meraviglia dell'arte moderna. In Wild Horses Jagger prende fiato e si fa romantico lasciando divertire i due dietro che con le chitarre masticano del polveroso e sfilacciato country-blues, cosa che si ripete con più dinamismo in una splendida versione di Dead Flowers con tutti quei saliscendi e quel profumo di strade, quasi che la droga di cui si canta non sia presagio di morte ma dia una scossa diversa rispetto ai cavalli selvaggi, termine con cui negli anni settanta i junkies chic chiamavano l'eroina. A questo punto entrano in scena due chitarristi blues di recente generazione, Gary Clark Jr. e John Mayer che incendiano I'm Goin' Down di Freddie King con una irruenza tutta giovanile. Quattro chitarre sul palco con Richards e Wood sono una band di fuorilegge da cui è meglio guardarsi. Tellurica, micidiale, tostissima, Jagger canta quel poco che basta per lasciare che la band diventi un'eruzione vulcanica ed insegni al New Jersey di che pasta è fatto il British R&B quando incontra Chicago e il Texas blues. Rock-blues nucleare, senza scorie ed effetti secondari, solo una sventola da lasciare senza fiato. Nemmeno il tempo di prendere fiato e arrivano i Black Keys che incitati da Jagger e soci si buttano a capofitto in Who Do You Love resuscitando Bo Diddley in una versione che sa di psichedelia e di quel blues di casa nelle colline settentrionali del Mississippi con maestri come Fred McDowell e R.L Burnside. Le chitarre friggono, Jagger e Dan Auerbach si rincorrono, la sezione ritmica picchia duro. Si smorza il tasso blues del concerto per far ballare gli americani coi due singoli di allora ovvero l' heavy danceable di Doom and Gloom con Charlie qui in versione martello ed il pop-soul One More Shot, e poi prende il via il karaoke più bello del mondo. Al di là di come la si pensi Miss You gigiona e sfacciata quanto si vuole, è di una piacevolezza estrema, Chuck Leavell con le tastiere ci mette un soffio di jazz, il basso pulsa funk, la batteria pur metronomica suona soffice e quando entra Bobby Keys col sax vorresti saltare indietro nel 1977 allo Studio 54 contornato da belle donne che ballano con te. Divertimento sexy. Di Honky Tonk Woman, altra my favourite thing, non posso dirvi molto perché lo streaming in mio possesso per recensire il disco si interrompe sempre al 46esimo secondo lasciandomi a bocca asciutta, ma ci pensa Keith Richards (chi se non altro) ad inumidirmela con il sound al Jack Daniels di due sue composizioni. Accolto da un fragoroso applauso mette voce (ancora udibile) e chitarra in un residuato di Some Girls, Before They Make You Run insaporita di sassofoni, cori e chitarre twangy in una versione molto southern, e nella classica Happy sporca di uno urbanissimo stile Stax con Ron Wood che blueseggia slide e Fowler e la Fisher che esaltano il mood orgiastico del brano. A questo punto non poteva mancare il vecchio amico Mick Taylor nei dodici minuti feroci, convulsi e furiosi di Midnight Rambler. Il suo tocco è inconfondibile, l'armonica va fuori nota ma lui si lancia in un cruento e caotico assolo che avrebbe messo paura anche allo stesso strangolatore di mezzanotte. Nulla da eccepire su questa versione anche se ne esistono di migliori, ma una volta tanto mi piacerebbe risentire Taylor rifare assieme agli Stones Can't You Hear Me Knocking oppure quella Sway che nell'album con Carla Olson è un vero sabba sonico. Quisquilie, perché quello che arriva dopo è roba da togliere il fiato anche se la si conosce a memoria. Versioni toste, sfavillanti, energiche di Start Me Up, Tumbling Dice, Brown Sugar, Sympathy For The Devil, You Can't Always Get What You Want (grandiosa) dove Jagger fa cantare tutto il New Jersey,Jumpin' Jack Flash ed una terrificante e assatanata Satisfaction nella quale il cantante finisce per diventare una copia di Wilson Pickett. Il padrone di casa Bruce Springsteen partecipa a Tumbling Dice col suo vocione arrochito, gioca di forza e muscoli per farsi sentire in mezzo ai sassofoni indemoniati di Tim Ries e Bobby Keys e ad un Jagger che, trasformato in black singer, ripete a squarciagola gotta gotta gotta.
Dimostrazione della vitalità ritrovata dalla band (è mia impressione che la resa degli show della seconda decade del duemila siano mediamente migliori di quelli della prima, salvo comunque eccezioni), il concerto del 15 dicembre 2012 a Newark testimoniato da Grrr Live! è la nitida fotografia del loro cinquantesimo sul palco ed anche un modo, oggi, per celebrare i sessanta anni di carriera regalando (si fa per dire) il juke box dei loro hits ma in versione dal vivo. Performer eccelsi e businessmen di classe.
MAURO ZAMBELLINI
6 commenti:
Non l'ho ancora preso ma ho sentito diverse tracce in anteprima in rete. Sembra...anzi , sicuramente è appetibile come ogni cosa che esce dai loro archivi.
PS : seppur letto distrattamente, pare che escono con un nuovo album...?
Armando
Armando, questo è un concerto super. Ho letto di un nuovo disco con McCartney e Ringo Starr, speriamo di no.
Grazie Mauro... ma la tua recensione non lascia alcun dubbio in merito.
Livio. Recensione all'altezza di un ottimo concerto.
E ogni dubbio su Honky t.w. (anche x me uno dei toptop hits Stones) è fugato da uno scintillante Chuck Leavell che arricchisce un pezzo già superbo con uno sciccoso pianino 'honky-tonk', appunto.
Midnight Rambler, ancora un apice del loro songbook (sono un super fan di Let it bleed), sì, ne esistono versioni migliori. La sintonia di Mick Taylor col gruppo è troppo lontana nel tempo x rinascere così d'acchito.
Ho già detto la mia altrove, qui confermo che sarà nella top ten annuale. Pare proprio che uno Stones d'archivio non mancherà mai nelle ns playlist
Live spettacolare setlist da urlo …per me possono continuare a buttare fuori concerti . Li sto comprando tutti.
Finora solo bridges to bremen l’ho trovato non particolarmente esaltante . Ma tutti gli altri valgono l’acquisto .
Ps: rolling stone 1973 a firma Lloyd Grossman parlando di The dark side of the moon scrive testualmente “ the great gig in the Sky avrebbe potuto essere più corta o addirittura essere eliminata “.
😂😂😂😂😂
Perle di saggezza…….
Livio. Ahahah, e bravo mr. Grossman. Ma si potrebbe fare un'antologia al contrario, con le topiche dei vari 'critici'. Ma anche dei musicisti: il buon Keith Richards definì Sgt. Pepper 'un mucchio d'immondizia', forse x la deludente riuscita del disco psichedelico degli Stones (Their Satanic), e x il bonario sfottò che i Beatles indirizzarono loro sulla copertina del Sergente (vedasi la polo del bambolotto seduto all'estrema destra)
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