Life in
12 bars è un film di 135 minuti diretto dalla regista Lili Fini Zanuck ( produttrice di Cocoon
e A spasso con Daisy, regista di
Rush-Effetto Allucinante, Breathe e Bessie) che racconta l'odissea
artistica ed umana di Eric Clapton dall'infanzia ai giorni nostri con una
incredibile quantità di reperti tra interviste, filmati, documenti e testimonianze, la maggior parte inedite
provenienti dall'archivio privato dello stesso Clapton. Un lavoro certosino di
ricostruzione di una delle più avvincenti e contraddittorie vite artistiche del
rock a cui ha partecipato lo stesso musicista narrando in prima persona grazie
all'uso della voice-over gli alti e bassi della sua vita, arricchito dai tanti
contributi ricavati dalla collaborazione di amici, colleghi, famigliari. Un
progetto che ha necessitato da una parte la disponibilità di documenti
esclusivi, comprese alcune esibizioni dal vivo e riprese nel backstage oltre a
foto famose ed inedite, lettere e diari personali, e dall'altra un minuzioso
lavoro in fase di montaggio opera di Chris
King uno dei migliori montatori di
documentari ( Amy, Senna, Exit Through
The Gift Shop). Il risultato finale
è un rockumentario emozionante e sincero dove i traumi dell'infanzia vissuti
dal piccolo Clapton, la destabilizzante rivelazione fatta dalla madre biologica
fanno emergere in lui quella rabbia autodistruttiva e quell'amaro senso di
diffidenza nei confronti del mondo che lo accompagneranno per gran parte della
sua esistenza, influenzando sì la sua arte ma anche le sue ossessioni e le sue
molteplici dipendenze dalla cocaina, dall'eroina e dall'alcol. Come racconta lo
stesso Clapton, dopo essere uscito dall'eroina, vivendo come un eremita per
quattro/cinque anni all'inizio dei settanta, e successivamente cadendo in uno
smodato abuso di alcol che compromise più di un concerto e di un tour "nei momenti più bui, la sola ragione per cui
non mi sono suicidato è stato il pensiero che se fossi morto non avrei più
potuto bere". Toccante il momento in cui alla notizia della morte di
Hendrix, l'artista inglese si rammarica non tanto per la sua scomparsa
improvvisa, quanto per non averlo seguito nel'aldilà. Momenti bui raccontati
con cruda onestà, senza filtri ed ipocrisie, il declino di un artista solo
qualche anno prima celebrato sui muri di Londra come un Dio, un talento
inestimabile di chitarrista capace di sorprendere i propri fan abbandonando nel
momento del successo gruppi rivoluzionari come gli Yardbirds, i Cream, Blind
Faith, magari per unirsi a bande di sciamannati come Delaney & Bonnie
&Friends solo per poter suonare il blues con un basso profilo, senza
vincoli e pressioni, dietro le quinte. Proprio la parentesi con la carovana di Delaney
& Bonnie ed il tour con Derek and The Dominos costituiscono la parte più deficitaria di Life In 12 Bars, probabilmente per
mancanza di materiale, mentre molto ricco e documentato è il periodo relativo all' amicizia con George Harrison, l'amore
tribolato con la moglie di lui Pattie Boyd, la realizzazione di Layla
e la collaborazione con Duane Allman ed il produttore Tom Dowd. Amaro, come diverse parti del film, il capitolo "italiano" della vita
di Clapton con la morte a New York del
figlio Conor, avuto da Lory Del Santo, motivo che lo indusse a "staccare"
definitivamente con l'alcol e a disintossicarsi in una clinica americana,
riuscendo a trovare forza e consolazione nella musica, nella sobrietà ed in una
relazione affettiva sana e felice. Una nuova fase della vita culminata nel riconoscimento
del mondo musicale ufficiale dell' album Unplugged e della canzone Tears In Heaven, due dei 18 Grammy Awards di cui è risultato
vincitore, oltre ad essere inserito per
ben tre volte nella Rock and Hall of Fame. Eric Clapton rimane uno dei più grandi
chitarristi della storia del rock n'roll di ogni epoca ma anche un uomo
affascinante che ha condotto una vita straordinaria, per quanto giornali,
riviste, televisioni, biografie avessero detto di lui sul suo passato, quello
che Life in 12 Bars rivela è
talvolta nuovo ed inedito, un film meravigliosamente strutturato che non manca
di onestà e finisce col commuovere. Non poco per un documentario.
Questa recensione è dedicata a Lino Cova, amico e grande fan di manolenta, imrovvisamente deceduto il 3 febbraio. R.I.P
Questa recensione è dedicata a Lino Cova, amico e grande fan di manolenta, imrovvisamente deceduto il 3 febbraio. R.I.P
MAURO ZAMBELLINI FEBBRAIO 2018
4 commenti:
Mi è sempre piaciuto Clapton per il suo stile sobrio e mai sopra le righe, tanto nell'affrontare il blues quanto il rock o in quel suo laidback figlio del grande J.J. Cale. Non riuscendo a vedere il film in questione rimedierò sicuramente con il Dvd appena sarà disponibile. Aggiungendo dico pure, che mi piacerebbe vedere una retrospettiva dedicata anche ad altri chitarristi quali Michael Bloomfield, di cui pare se ne siano dimenticati anche gli stessi appasionati del genere. E' solo un mio sogmo ma spero che prima o poi qualche filmaker ci faccia sopra un pensierino. Un abbraccio a tutti...
Così come lui incontrò il blues quasi per sbaglio tra le canzoni per bambini, io lo vidi nel 92 a Monza andando in realtà per vedere Elton John in un bizzarro tour che condividevano. E li, acerbo sedicenne, rimasi folgorato. Smisi di ascoltare il pop leggero e iniziai ad andare a ritroso nella musica che lo ispirava fino a finire inevitabilmente sulle sponde del Mississipi. E ovviamente per causa sua iniziai a strimpellare la chitarra (imparai "unplugged" che uscirà quell'autunno nota per nota). Quindi alla fine devo a lui, nonostante qualche fase qua e la'artisticamente buia, la nascita della passione per la musica buona che ancora oggi mi arde inside. E il film rende mirabilmente omaggio al percorso di successo dello straordinario artista ma anche a quello di profonda sofferenza dell'uomo.
Puro blues in senso letterale.
Bello davvero e commuovente.
Paul
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